“Gli uomini ombra” di Carmelo Musumeci: un libro che chiede di essere letto
“[…] una persona senza futuro, senza prospettive, senza speranza, senza fine pena mai, che cosa è? Un uomo ombra.”: in queste parole di Carmelo Musumeci è racchiuso il significato del titolo della sua raccolta di racconti, ma soprattutto il messaggio che vuol far arrivare ai lettori.
L’idea che il carcere non sia un albergo ormai è abbastanza affermata: per capirlo, infatti, basta leggere i dati sull’impennata dei suicidi e sullo squilibrio tra numero di detenuti che le strutture dovrebbero ospitare e numero delle persone effettivamente “ospitate”. La convinzione che nessuno ormai sconti più per intero condanne all’ergastolo è, invece, ancora molto diffusa, per cui in molti si stupiranno nello scoprire che Carmelo Musumeci è un condannato all’ergastolo ostativo, quello che non prevede una fine e non consente di godere di alcun permesso o altro beneficio… almeno che non si diventi un cosiddetto pentito. Ma non è il suo caso, perché per lui il pentimento è un fatto interiore (che dovrebbe essere valutato come tale dal sistema penale) e non una scelta da compiere per comodo.
Chi ha avuto occasione di leggere, sul nostro giornale o altrove, qualche sua testimonianza difficilmente sarà rimasto insensibile alla sua sconcertante schiettezza, alla sua invidiabile coerenza morale e alla sua onestà intellettuale. E dopo aver letto Gli uomini ombra resterà conquistato anche dalle sue abilità narrative.
Considerate l’importanza e l’attualità del tema, Musumeci avrebbe anche potuto scrivere un saggio o un’autobiografia, invece ha voluto creare una vera opera letteraria, capace di parlare ala contempo al cuore e alla ragione.
Qualcuno l’ha definito “ergastolano-poeta” ed effettivamente la sua è una prosa lirica, nel senso più alto del termine, capace di rendere poetico anche il male. Così, ad esempio, il carcere viene chiamato, personificandolo, l’Assassino dei sogni e agli elementi naturali che assistono alla violenza più inaudita vengono attribuite reazioni tipiche degli umani (“le stelle per non vedere scapparono. La luna si nascose”). Mai, tuttavia, si ha l’impressione di avere a che fare con tecnicismi fini a se stessi: è, infatti, evidente che all’autore non interessa far vedere quanto è bravo, bensì far conoscere la verità nuda e cruda della vita dietro le sbarre. La sua è dunque una scrittura efficace, che ai toni patetici o vittimistici preferisce le parole schiette e che si sviluppa attraverso frasi brevi, così lapidarie da costringere il lettore – forse neppure intenzionalmente – a soffermarsi su ogni pensiero ed ogni immagine.
Non serve quindi arrivare all’ultima pagina per capire che gli uomini ombra sono più morti che vivi perché – come sottolinea Alberto Loggia nella prefazione – sono stati defraudati persino della speranza, quel sentimento che si dice non muoia mai. E facilmente si comprende, inoltre, come la disumanità di questa istituzione – per come viene di fatto gestita, in particolare per la sua assenza di regole certe – arrivi a colpire anche i familiari dei detenuti.
Il fattore emotività non deve, tuttavia, far perdere di vista la realtà oggettiva dei fatti e condurre a pericolose generalizzazioni, in particolare a criminalizzare l’intera categoria delle guardie carcerarie: questo libro deve semplicemente aiutare a capire che il carcere è un ambiente che tende ad abbruttire tanto i prigionieri quanto i secondini.
Musumeci, peraltro, non si spinge mai a sostenere che debba essere abolito (a differenza di quanto fa, ad esempio, Vincenzo Guagliardo nel saggio Dei dolori e delle pene), nonostante i contributi che precedono e seguono i suoi racconti forniscano dati molto eloquenti: i casi di recidiva sono superiori al 60% tra coloro che hanno scontato la pena in carcere, mentre raggiungono solo il 15% tra quelli che hanno usufruito di pene alternative.
Alla fine di questa lettura forse saranno in tanti a non voler comunque sposare la causa dell’abolizione dell’ergastolo senza se e senza ma, tuttavia saranno senz’altro pochi quelli capaci di negare che questa pena è non solo contraria al senso di umanità ma anche incostituzionale in quanto incompatibile con il comma 3 dell’art. 27 della nostra Costituzione (Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.), quel documento che è un altissimo esempio di tutela dei diritti degli individui.
Marcella Onnis
Redattrice – marcella.onnis@ilmiogiornale.org
Ottima recensione, imparziale e reale, bella come questo libro che veramente merita di essere letto, in ogni caso, in ogni modo la si pensi…
Concordo con quello che ha scritto Nadia. Tu sei la nostra specialista delle recensioni, ma in questa hai davvero superato te stessa. Brava, Marcy, ti sei appropriata della nostra “mission”dando voce a chi voce non ne ha.