GIUSTIZIA: UNA RIFORMA PROPRIO ATTESA?
Troppi ostacoli ne condizionano il farraginoso iter, e intanto i diritti restano confinati nel limbo. Ma per non essere isolati bene sarebbe che tutti seguissimo l’attività della politica giurisprudenziale.
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Chissà quanti sono coloro (oltre ai diretti interessati) che attendono la riforma della Giustizia, parola sulla bocca di tutti e quasi ogni giorno, ma che forse ben pochi (per certi versi anche chi scrive) sarebbero in grado di concepirne il completo significato proprio perché rapportato alla riforma che tarda a passare. Ma cosa contiene questa pentola sempre più bollente e che tarda a spegnersi il fuoco? In questo contenitore vi sono 8 punti che vado ad elencare: sanzioni per le toghe (per far pagare di tasca propria i magistrati se condannati per un errore giudiziario), separazioni delle carriere (per escludere la possibilità che PM e Giudici passino da una funzione all’altra), carcerazione preventiva (l’obiettivo è limitare il carcere ai soli reati ritenuti più gravi, sgravando gli Istituti di pena), abrogazione della legge Severino (abrogare su incandidabilità e cariche elettive per i condannati in via definitiva), regole elettorali del CSM (la modifica della raccolta delle firme per il magistrato che intende candidarsi al CSM), professionalità dei magistrati (intervento sugli Organi che valutano l’operato delle toghe, da aprire anche ai non magistrati), depenalizzazione della cannabis (per depenalizzare la coltivazione ed elininare il carcere per condotte legate alla cannabis), via libera all’eutanasia attiva (abrogare parte dell’art. 579 del Codice Penale sull’omicidio di persona consenziente). Argomenti a dir poco impegnativi che, voglio sperare, tutti i parlamentari interessati abbiano preso visione della relativa e sicuramente copiosa documentazione, ma soprattutto c’è da chiedersi se sono tutti in grado di concepire gli intrinsechi concetti giuridico-legali. Ma perché in questi provvedimenti non si fa menzione ad una possibile ed eventuale “strategia” inerente al fenomeno (mai risolto) dei detenuti innocenti, anche se apparentemente di non facile rivisitazione, sia per il fatto che sono stati oggetto di sentenze esecutive e sia per il loro numero consistente (circa 30 mila nell’ultino trentennio). Per tutti questi casi mi permetto di rammentare l’obiettività del giurista Piero Calamandrei (1889-1956), ossia «La pena non è legata alla sentenza, ma è legata alla stessa assistenza del processo: un soggetto che è imputato e quindi sottoposto a un procedimento giudiziario, di per sé sta pagando una pena anticipata rispetto al suo giudizio di colpevolezza». Tuttavia, sono ben conscio che tutti questi provvedimenti vengono proposti e discussi su base politica, che però spesso si divide non essendo in grado di individuare una linea comune tra i vari partiti… peraltro condizionati dal momento storico; ma mi si lasci dire che in ogni difficoltà di intesa politica si tende sempre a “giustificare” il momento storico. Un alibi? Forse, ma sta di fatto che nel frattempo (tanto ieri come oggi) il destino del Paese è nelle mani di troppi ambiziosi (per il momento sono ancora 945) che, pur avendo un indirizzo politico, a detta di loro, personalmete non intravedo quell’indole filantropica necessaria per ottenere il bene comune. Ovviamente non mancano le eccezioni, ma quali sono? E come individuarle? Anche questi sono i rebus perchè in politica non esiste il tuttologo e, se mai esistesse, sarebbe da equiparare ad un Leonardo da Vinci… Tornando all’origine dell’argomento si continua a vivere nell’attesa affinché la Giustizia rispecchi il più possibile nel concreto i principi della Costituzione, tanto decantata da chi la rappresenta.
E per non essere isolati da questo mondo intricato di “dubbi e misteri”, rammento sempre quanto mi disse anni fa in una intervista l’avvocato e scrittore Agostino Viviani (1911-2009), noto penalista del Foro di Milano e già membro laico del CSM: «La grande maggioranza dei cittadini non si interessa di come la magistratura svolga la sua funzione. Si ritiene che all’onesto non possa capitare di essere coinvolto in questioni per cui si possa mettere in dubbio la probità; ma purtroppo non è così, come gli osservatori meno attenti possono facilmente constatare. Ed allora il suggerimento da dare è semplice: dobbiamo tutti interessarci dei problemi della giustizia per fare sentire ai magistrati che l’opinione pubblica li segue e li controlla. È consigliabile aderire ad associazioni che si occupano di questi problemi e, soprattutto, seguire la vita politica, osservare quali forze in Parlamento si pongono i problemi della giustizia e come propongono di risolverli. Tra l’altro l’adempimento di questo dovere è reso più facile dal fatto che giornalmente, attraverso la televisione, la radio e la stampa si apprende, da un lato come l’organizzazione giudiziaria si comporta e, dall’altro, come le forze politiche reagiscono di fronte ad ingiustizie, talvolta clamorose. Se il Parlamento lascia che l’attività giudiziaria non violi la legge, ma addirittura intervenga quasi a dettare legge, il cittadino deve preoccuparsi e prepararsi a togliere la sua fiducia a quelli eletti che dimostrano di essere succubi della magistratura». E a questo riguardo, mi sembra più che opportuno citare quanto sosteneva il politico e poeta francese Victor Hugo (1802-1885): «Per non aver paura dei giudici, non bisogna essere colpevoli», con la precisazione, aggiungo io, che gli innocenti detenuti hanno temuto pur non essendo colpevoli. E in attesa della sospirata riforma, ogni eventuale referendum non eluda queste anime abbandonate, nostri fratelli e concittadini ai quali un giorno si dovrà rendere conto! Oltre a ciò da sempre sono e mi ritengo una semplice persona, dedicando parte del mio tempo a leggere e osservare deteriminati eventi della vita quotidiana, includendo tra questi anche i risvolti relativi alla Sanità pubblica e privata, e pur non essendo “firma famosa” (e nemmeno ambisco ad esserlo) per il grande pubblico, non significa che le mie considerazioni non siano da confrontarsi con tante altre. Del resto, se tutti avessimo opinioni chiare (e comuni) non esisterebbe conversazione e quindi il contraddittorio; ma se anche mi trovassi d’accordo con la maggioranza, significa che il momento di fermarsi e rifettere. Con questo non intendo fare della “filosofia di comodo”, ma esternare ciò di cui sono convinto da sempre senza volermi imporre a chicchessia; più semplicemente, invece, far giungere la mia voce da un pulpito che non ha bisogno di riflettori… Ed ecco che il concetto di Giustizia lo reclamo per tutti noi, ma soprattutto per coloro che ancora attendono che la loro innocenza prevalga sulla politica, sulla burocrazia e, per l’appunto, sulla costante ingiustizia.