Addio al Canone Rai nel 2023, sarà rimosso dalla bolletta della luce
Diversamente l’Europa non darà i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR; in inglese Recovery and Resilience Plan, abbreviato in Recovery Plan o RRP.
Per anni il Canone Rai è stato oggetto di contestazioni e opposizioni nel corrispondere un importo richiesto sotto varie denominazioni… in assenza di sinonimia. Una doverosa rievocazione di carattere puramente storico-culturale.
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Quanti sono oggi i mezzi di comunicazione? Sono tantissimi, a partire dal telefono, dalla carta stampata, radio e televisione statale (e una infinità di reti private) sino ad arrivare a tutti quei mezzi che sono l’elaborato di internet e quindi i vari social: oltre 250, tra i quali vanno per la maggiore Instagram, YouTube, Facebook, Twitter, Tik Tok, Pinterest, Snapchat, e moltissimi siti e blog più o meno personalizzati. Una panoramica che da anni inonda il mondo della comunicazione tra costi rilevanti, abbordabili e taluni a costo zero… per non parlare degli effetti delle fake news. Ma perché questo preambolo? È presto detto. Restando all’interno del nostro Paese le prime comunicazioni radio risalgono al 1928 e quelle televisive furono avviate nel 1954 dalla Rai, titolare della concessione esclusiva da parte dello Stato. Da questo momento in poi programmi di ogni ordine e grado si sono succeduti, tanto da soddisfare in gran parte il pubblico ma nel contempo anche deludendolo, sia perché la gestione dei tre canali avevano ed hanno un orientamento marcatamente politico, sia per l’inconsistenza di certi programmi e per la sempre più assillante e nauseabonda pubblicità, per quanto necessaria al sostegno delle programmazioni… soprattutto di banale inttrattenimento, mentre rare ed ottime le eccezioni di utilità culturale. Ma un altro fattore ha suscitato, con tanto di strascichi, l’insoddisfazione della gran parte del pubblico, ovvero la cosiddetta gabella che va sotto il nome di “Canone TV”, e su questo è bene fare un po’ di chiarezza. Anzitutto, chi ha inventato il canone tv? L’idea di dover pagare per poter ricevere le trasmissioni (allora solo radiofoniche) nacque in Gran Bretagna nei primi anni del ‘900, e la BBC venne creata nel 1922 come consorzio dei produttori di apparecchi, divenendo pubblica nel 1926; e un vero e proprio canone fu introdotto l’anno successivo, quale pagamento per una licenza a ricevere da parte di chi possedeva una radio e doveva servire come contributo per la produzione dei programmi. In Italia il canone (oltre agli Ordini professionali) fu introdotto dal governo fascista di Benito Mussolini nel 1938, ossia quando le trasmissioni erano già sotto il controllo pubblico, con una legge che lo indicava come canone di abbonamento obbligatorio per chiunque avesse il possesso di un apparecchio e l’importo da corrispondere era di 8 lire. A seguito di ciò ritengo utile e doveroso fare determinate precisazioni.
Generalmente le opinioni sono di diritto, sia pur in parte discutibili, ma quando si tratta di comunicare ufficialmente in lingua italiana, è bene conoscere i termini da esporre e soprattutto che gli stessi non siano sinonimi se l’obiettivo è quello di avere una univoca interpretazione sia lessicale che pratica. In tutti questi anni nel linguaggio comune il Canone Rai ha continuato a chiamarsi alternativamente “Abbonamento TV” e “Tassa di possesso”, tre definizioni che non avevano e non hanno ragione d’essere intese in modo univoco, oltre al fatto di identificare il concetto fiscale… Di norma gli abbonamenti sono una libera scelta come ad esempio quello relativo all’abbonamento a teatro, allo stadio, ad una rivista, etc.; ed è quindi irrazionale che un contribuente si abboni (peraltro per imposizione) ad una tassa fiscale: del resto non ci si abbona alla denuncia dei redditi, alla tassa dei rifiuti, etc. Inoltre, se attraverso il televisore (mezzo di comunicazione sociale) lo Stato produce informazione, è impropria la pretesa di una tassa da parte dello stesso in quanto dall’informazione deriva la conoscenza e l’acquisizione dei doveri (e dei diritti) che il cittadino deve adempiere nei confronti delle Istituzioni, e della società in senso lato. Quindi, corrispondere del denaro (sotto qualunque forma “giustificativa”) per conoscere i propri doveri e diritti di cittadino è irrazionale, o quanto meno pretestuoso giacché, tra l’altro, per essere informato il cittadino deve procurarsi altri mezzi (privati) di comunicazione e corrispondere il relativo costo. Va da sé che l’informazione attraverso un qualunque mezzo di comunicazione è un dovere fondamentale da chi è preposto ad esercitarlo, ed è dovere civico da parte del cittadino acquisirla per essere favorito nello sviluppo delle proprie conoscenze, arricchimemto della propria cultura e un contrbuto alla acquisizione della libertà di pensiero. Ora, se il televisore è considerato (da sempre) un elettrodomestico, e quindi “tassabile” in quanto si è in possesso del medesimo, per analogia e coerenza sono da considerarsi elettrodomestici il frigorifero, la lucidatrce, la lavatrice, la lavastoviglie, etc.; e per assurdo, si dovrebbe pagare una tassa di possesso anche su questi beni… di uso domestico. Quindi, possedere un televisore significa aver acquistato (o aver avuto in dono) un oggetto privato, per il quale se acquistato l’acquirente oltre al pagamento del bene materiale ha pagato una tassa sullo stesso (I.V.A,) imposta dallo Stato. Ed è già questa una tassazione governativa per il possedimento di un bene… privato. Se veramente il Canone (o Tassa di possesso, o Abbonamento che dir si voglia) è una tassa che la Rai (Stato) ha diritto di esigere, perché l’Ente creditore ha “sprecato” tempo e denaro nell’inviare numerosi solleciti ai morosi, anziché attivare un normale contezioso di recupero credito? Non pochi casi pare che abbiano ricevuto più solleciti antecedenti al 2016 ma senza la notifica di successive pratiche di riscossione (con conseguente prescrizione); quindi, una corrispondenza inutile e dispendiosa… A questo proposito il cittadino-contribuente avrebbe il diritto a “denunciare” tale spreco in quanto è denaro anche suo… Tra gli sprechi c’é da rilevare, appunto, che a suo tempo (prima del 2016) diversi sono stati i continui solleciti di pagamento ad utenti che non possedevano o non hanno mai posseduto il televisore, come si rileva da molte segnalazioni-lamentele pubblicate dai mass media. Inoltre va rilevato che in caso di convocazione della G. di F. per gli accertamenti dei “morosi Rai” dell’epoca, secondo l’art. 650 del C.P., lo stesso non prevedeva la convocazione per canone non pagato; ciò perché la “violazione tributaria” in questo caso non era equiparabile a “violazione penale”.
Brevi frammenti legislativi
Rievocando alcune note legislative il R.D.L. n. 246 del 21/2/1938 (siamo in epoca monarchica) riguardava la Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni;due mesi dopo, conla Legge n. 880 del 4/6/1938 si provvedeva ad aggiornamenti in materia; con il D.M. del 19/11/1953 si stabiliva la disciplina dei canoni di abbonamento per la televisione; con la Sentenza della Corte Costituzionale n. 59 del 13/7/1960 si stabiliva la legittimità della riserva dello Stato del servizio televisivo; con la Legge n. 1235 del 15/12/1967 si introduceva l’obbligo di corrispondere il canone di abbonamento all’autoradio congiuntamente alla tassa di circolazione per gli autoveicoli; con la Legge n. 223 del 6/8/1990 si approvava la Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato; con la Legge n. 449 (art. 17, comma 8) del 27/12/1997 veniva soppresso il canone abbonamento per l’autoradio. Infine, con la Legge di Stabilità del 2016 è stato introdotta la seguente novità: il canone Rai è da congiungere alla bolletta dell’energia elettrica, facendo in modo che gli utenti dei servizi ricevano e paghino 90,00 euro all’anno (suddivisi in 10 rate mensili) quale addebito di entrambi gli importi della stessa bolletta. Con questo ultimo provvedimento lo Stato ha praticamente azzerato i cosiddetti “evasori” del canone, ma non ha mai provveduto a risolvere l’incongruenza (durata sin all’inizio dell’ultimo provvedimento), che riguarda appunto l’anacronistico e contemporaneo uso dei termini Abbonamento, Canone Rai, e Tassa di possesso, la cui semantica ne esclude ogni valore di sinonimia. Pertanto, sino al 2015 chi ha corrisposto quell’importo “preteso” non si è mai posto il problema della non sinonimia dei suddetti fatidici termini, italiani ma non appropriati… ancorché ai fini applicativi. Un’ultima considerazione: io credo che tutti coloro che non hanno mai corrisposto il “canone TV”, a parte per ragioni ideologiche peraltro discutibili, e indipendentemente dal possedere o meno un apparecchio di ricezione (qualunque esso sia), erano e sono consci del fatto che l’informazione è potere, la libertà di scelta da parte di essi ha significato e significa libertà di partecipazione al potere, libertà di pensiero, di opinione, di critica, di scegliere se essere massa o singolo, di distinguere, di distinguersi, di consentire o di dissentire, di essere soggetti attivi e non solo passivi della comunicazione… Se non c’è libertà, mi sembra ovvio dedurre che la verità rischia di degenerare a verità di Stato, e quindi ad una sorta di ininfluenza dello stesso, e così anche l’obiettività a cui noi tanto spesso siamo richiamati. In buona sostanza, a parte le incongruenze su descritte, sembra che il canone Rai verrà rimosso dalla bolletta dell’energia elettrica dal 2023, diversamente l’Europa non darà i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR; in inglese Recovery and Resilience Plan, abbreviato in Recovery Plan o RRP), ossia il piano preparato dall’Italia per rilanciarne l’economia dopo la pandemia di COVID-19, al fine di permettere lo sviluppo verde e digitale del Paese. E questo, per buona pace di tutti noi.