L’ANCESTRALE “VEZZO” DELLE RICHIESTE ALLE AUTORITÀ
L’innocenza e la spontaneità di un tempo sono oggi superate dall’individualismo e dallo sprezzante opportunismo.
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Forse l’era della benevola e fiduciosa considerazione delle Istituzioni è ormai superata da un po’ di tempo, tant’è che nei primi decenni del dopoguerra era cosa abbastanza comune che il cittadino si rivolgesse ad una Autorità per un appello o per una raccomandazione… magari anche innocente. Probabilmente allora era molto sentito il senso di appartenenza, sia pur ostacolata dalla burocrazia che cominciava a delinearsi nelle più diverse manifestazioni. Eppure i cittadini, solitamente più ingenui e culturalmente assai modesti riversavano la loro fiducia in quelli che credevano essere i loro “garantisti”, sia per avere una certa attenzione nell’ambito del sociale che per ottenere la cosiddetta “spintarella” magari per un posto di lavoro. Non ho elementi sufficienti in merito per dire in che misura ciò avvenisse, ma ho ragione di credere che tale tendenza non era anacronistica, in quanto tali “suppliche” erano dettate dall’esigenza espressa con quella spontaneità genuina che era propria delle persone umili, figli “superstiti” di una guerra persa e confluiti nella desolazione… ma non privi di speranza. L’Italia era ormai una Repubblica con tutte le difficoltà di una ripresa in ogni ambito, e non tutti erano intraprendenti e per certi versi autonomi, e i bisogni individuali e collettivi erano tanti. Quindi era lecito che taluni osassero rivolgersi alle Autorità appena costituite (come pure quelle in seguito) invocando una deroga in merito ad una normativa, un trattamento di favore, la grazia o un intervento per correggere quella che si poteva definire come un’ingiustizia. Lo stile deferente di queste missive ne caratterizzava il contesto, magari talune scritte da “altre mani” più dotte ma pur sempre rispondenti al… bisogno reale del firmatario mittente. Pensare oggi a quel modo di considerare le Autorità potrebbe non nascondere un velo di modestia e se non anche di innocente puerilità, modi d’essere di cui non vergognarsi perché, in fondo, si trattava di intraprendere un rapporto (sia pur epistolare) tra esseri umani; cosa che oggi, a mio avviso, non sussiste per nulla anche se qualche caso di missiva alle Autorità potrebbe verificarsi. In tempi relativamente più recenti il concetto di raccomandazione ha assunto un tono al limite della liceità, ossia un chiedere in modo “sfrontato” e decisamente individualista e politicizzato; già, perché i destinatari sono sempre loro, quelli che hanno una matrice politica che va oltre il mero concetto di Autorità istituzionale. Basti considerare, come ho più volte scritto, che in questi ultimi decenni non è più possibile per il cittadino essere ricevuto per un colloquio (per quanto motivato) da questo o quel funzionario, ancor meno da questo o quell’assessore; i quali solitamente invitano il cittadino a scrivere una formale e-mail di richiesta e, più sbrigativamente, delegando gli addetti alla loro segreteria. Ecco che questo distacco tra l’Autorità-burocrate e il Cittadino-contribuente denota la mancata trasparenza, aggravata dall’assunzione di quello che io definisco da sempre strapotere (senza virgolette). Personalmente, molti anni fa, mi rivolsi al presidente della Repubblica perché lamentavo l’inefficienza degli Uffici di Collocamento al Lavoro per le categorie protette (Legge 482/1968), quindi una sorta di lamentela-accusa e non una richiesta di favore o di intercessione… Il suddetto mi rispose invitandomi a rivolgermi al Prefetto della mia città di residenza al quale fu inviata la stessa missiva per conoscenza. Ciò nonostante nulla avvenne e, pur nella mia inesperienza dell’epoca in fatto diritto e soprattutto di burocrazia, dovetti affidarmi alla mia “innocente” intraprendenza e attivarmi richiamando ad “alta voce” il rispetto di quella legge. Ciò senza coinvolgere (giustamente) i mass media. In seguito la mia situazione si normalizzò, ma solo grazie a me stesso (senza alcun cenno di vanto), imparando anno dopo anno che se non ci si difende da soli, erudendoci di volta in volta, si rischia di finire nei limbo dei perdenti. Oggi, visto che i mezzi di comunicazione sono sempre più potenti il cittadino tende a rivolgersi “indebitamente” a loro, proprio perché il problema è prettamente di carattere personale, e di conseguenza non rivolgendosi ai referenti interessati. Per contro, però, parallelamente si è incrementato il fenomeno dei riconoscimenti ai cittadini per meriti sociali, o di altra natura, da parte della Presidenza della Repubblica la quale continua “sfornare eroi” ogni anno. Anche se le motivazioni sono giustificate dal buon operato di questo o quel cittadino, a mio modesto avviso, tale consuetudine è come se avesse “soppiantato” (direttamente o indirettamente) il concetto della corrispondenza di richiesta o invocazione alle Autorità.
In buona sostanza poco è cambiato, e oggi più che mai i bisogni (reali) di molti cittadini sono centuplicati; ma purtroppo in coda a questi si sono aggiunti gli pseudo bisogni, ossia gli opportunisti legati a questo o a quel politico, sia esso con ruoli istituzionali o meno. Se all’inizio l’Italia invocava il concetto patriottico dell’unione, della fratellanza e dell’uguaglianza, oggi bisogna ammettere che tali concetti sono invertiti o in remissione, sia pur nel rispetto delle doverose eccezioni. E senza peccare di eresia e tanto meno di blasfemia, posso dire che mi sarebbe più facile essere ascoltato dal buon Dio (che chiamo ogni sera, e quando può Lui mi risponde…), che essere ricevuto da un rappresentante delle Istituzioni. Per fortuna non ho bisogno di “inchinarmi” a quest’ultimo, e mai mi inchinerei, anche perché in circostanze di necessità uso sempre le mie armi: il diritto-dovere di sapere, conoscere e contestare con carta e penna… sempre per raccomandata A/R e non Pec! Altruisticamente vorrei che i miei concittadini mi imitassero in tal senso piuttosto che animare le piazze senza nulla ottenere, e questo alle Istituzioni per certi versi fa molto comodo proprio perché non dovrebbero protocollare eventuali migliaia o milioni di raccomandate, alle quali dare pure seguito con un riscontro il più delle volte olografo. In sostanza, mai chiedere favori (peraltro non dovuti) alle Autorità precostituite, ma avvalersi del rispetto dei diritti che sono sanciti per Legge, ed eludendo a priori tutto ciò che non è normato in quanto rientrante nella cosiddetta “anomia legislativa” e quindi opinabile. In buona sintesi, ben si confà la saggezza dello storico e letterato Cesare Cantù (1804-1895), il quale sosteneva: «Quanti meno bisogni si hanno, più si è liberi». Una saggio aforisma che, di concerto, va di pari passo con l’ormai mio consolidato: «Ubi libertas ibi Patria».