LA REALTÀ DELL’AMIANTO ANCORA CI PERSEGUITA

Notevole l’impegno del nostro Paese e della Comunità Europea per continuare a diffondere la conoscenza della pericolosità di questo materiale altamente nocivo per la salute umana e ambientale, ma ci vorranno ancora anni prima di poter dire fine. La storia di un dipendente che ha saputo tener fronte ad dispotismo aziendale.

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

In trent’anni se ne è parlato e scritto molto, anzi moltissimo, comprese alcune rappresentazioni teatrali oltre a numerosi convegni. Ma di che cosa? Della penosa e ancora non risolta questione dell’amianto, sia in Italia sia in molti altri Paesi europei e oltre continente. In Italia con la legge n. 257 del 27/3/1992 è stata vietata la produzione e l’utilizzo del manufatto asbestoso, anticipando di 13 anni il divieto emanato dall’Unione Europea. E, recentemente, a trent’anni di distanza, il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) hanno organizzato un incontro per fare il punto sulla situazione: quello che è stato fatto e quello che resta da fare per porre fine a questa realtà che per decenni ha causato migliaia di vittime. Dalle note dell’ISS emerge che il carico  sanitario in Italia è stimato in circa 4.400 decessi all’anno dovuti all’esposizione ad amianto nel periodo 2010-2016: 3.860 uomini e 550 donne; di questi, 1.515 sono persone decedute per mesotelioma maligno (più dell’80% dei mesoteliomi è causata dall’amianto), 58 per asbestosi (malattia polmonare causata da inalazione di fibre di amianto), 2.830 per tumore polmonare e 16 per tumore ovarico. Proseguendo nella nota dell’ISS, son stati analizzati i dati sulla mortalità precoce (prima dei 50 anni) per mesotelioma: dal 2003 al 2016 sono stati registrati circa 500 decessi, soggetti che verosimilmente hanno vissuto direttamente o indirettamente in aree italiane contaminate da fibre di asbesto; casi che rappresentano il 2,5% del totale dei decessi per tale patologia nello stesso periodo. Dal 2002 presso l’Inail è attivo il Registro Nazionale dei Mesoteliomi (ReNaM) che, attraverso i Centri Operativi Regionali, svolge attività di registrazione, monitoraggio e sorveglianza epidemiologica dei soggetti con mesotelioma. Inoltre, nel 2016 è stato istituito un Tavolo inter-istituzionale presso la Presidenza del Consiglio, nell’ambito del quale il Ministero della Salute ha coordinato il Nucleo Tecnico Amianto – Gruppo Salute. «Molto è stato fatto – precisa nella nota del 24 marzo scorso il presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro –, tuttavia, dai dati epidemiologici emerge il perdurare di un carico di malattie attribuibili ad esposizioni ad amianto nel nostro Paese, evidenziando che le esposizioni passate e l’amianto residuo rimangono un problema di sanità pubblica sul quale è urgente intervenire. L’esperienza e la cultura dell’amianto maturate in Italia possono inoltre essere certamente d’esempio per i numerosi Paesi dove l’amianto è ancora in uso». Si rende quindi necessario “sensibilizzare” la Comunità europea affinché, dal 1° luglio 2025, tutti gli Stati membri dovranno aver provveduto alla eliminazione dei “prodotti” di amianto (Regolamento UE 2016/1005), e l’eradicazione delle malattie amianto-correlate rientra tra le priorità “ambiente salute” dell’Oms, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. Per tutto questo è auspicabile la riapertura  del dibattito, promosso dal Parlamento Europeo con la Risoluzione dell’ottobre 2021 per la protezione dei lavoratori dell’amianto. L’eventuale rallentamento di queste iniziative ha trovato ragione nell’emergenza Covid, ma ciò non deve certo protrarsi oltre al calendario stabilito. Ma intanto, nonostante gli ultimi 30 divieti, le passate esposizioni e l’amianto residuo, ancora presente, rimangono un problema di salute pubblica e, in occasione dell’evento “Amianto e Salute: priorità e prospettive nel trentennale del bando in Italia”, tenutosi il 24 marzo scorso al Ministero della Salute, è stato fatto il punto sulla situazione attuale.

Danni alla salute a causa dell’amianto – Recenti stime indicano che ogni anno nel mondo muoiono circa 230 mila persone per malattie correlate all’amianto. Tutte le tipologie di asbesto sono cancerogene per l’uomo e sono causa soprattutto di mesotelioma, neoplasia rara che colpisce il tessuto che riveste gran parte degli organi interni (mesotelio), e la forma più frequente è quella che interessa la pleura che riveste i polmoni. Il periodo di latenza, ossia il tempo che intercorre tra l’esposizione alle fibre di asbesto e la comparsa del neoplasia, può durare sino a 40-50 anni. Tale esposizione aumenta anche il rischio di sviluppare tumore del polmone, della laringe e dell’ovaio; inoltre può insorgere anche l’asbestosi, ovvero malattia del polmone.

Raggiunto il picco: i casi caleranno – «Oggi ci troviamo al centro del picco epidemico dei casi incidenti e dei decessi per mesotelioma – ha ricordato Alessandro Marinaccio, direttore del ReNaM – e, nei prossimi anni, è prevedibile una diminuzione, soprattutto per gli uomini, in strettissima connessione con la curva dei consumi». La sorveglianza epidemiologica può trasferire alla sanità pubblica una serie di elementi di conoscenza utili per fare prevenzione, tutela e per produrre evidenze scientifiche. «La sorveglianza epidemiologica inclusiva dell’intervista anamnestica ai soggetti malati – ha aggiunto Marinaccio – consente di portare alla luce circostanze di esposizione meno note, che vanno oltre quelle ben recensite come l’industria dei manufatti in amianto, dai rotabili ferroviari all’industria dei cantieri navali, in fase di costruzione, demolizione e ristrutturazione». Una volta identificate, le fonti di contaminazione dovranno essere bonificate, permettendo di tutelare tutti quei soggetti altrimenti esposti inconsapevolmente.

Esposizione ambientale – La sorveglianza ha evidenziato anche casi di mesotelioma maligno in caso di esposizione non occupazionale, ma ambientale. Tra i 15.845 casi di mesotelioma registrati tra il 1993 e il 2008, l’esposizione alle fibre  di amianto è stata indagata per 12.065 individui, identificando 530 soggetti con esposizione familiare, 514 con esposizione ambientale all’amianto (persone che non sono mai state esposte professionalmente, e 188 esposti attraverso hobby o altre attività creative. I casi dovuti all’esposizione ambientale sono soprattutto legati alla presenza di stabilimenti dell’industria del cemento-amianto in particolare a Casale Monferrato (Al), Broni (Pv), Bari, alle attività di costruzione e riparazione navale di Monfalcone (Go), Trieste, La Spezia e Genova, e alla contaminazione del suolo di Biancavilla (Ct).

La presenza dell’amianto oggi – Attualmente si contano 108 mila siti a rischio censiti nella Banca dati amianto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MISE). Il conteggio non comprende però i 42 siti di interesse nazionale: aree estese, inquinate da amianto e altri agenti considerate pericolose  e disseminate sul territorio nazionale. Nella sola Lombardia le aree contaminate registrate al 31 /12/2021 all’Anagrafe regionale dei siti contaminati sono 1021, ben 492 nel milanese. Per quanto riguarda gli edifici in Italia sono 12 milioni quelli che contengono amianto, oltre 1,5 miliardi di metri quadrati di coperture in cemento-amianto, pari a 22 milioni di tonnellate. A tutto ciò si aggiungano le moltissime condotte idriche in cemento-amianto, materiali abbandonati un po’ ovunque nelle campagne e nelle discariche.

Azioni future – Dall’1 luglio 2025 tutti gli Stati membri della UE avranno dovuto provvedere alla eliminazione dei “prodotti” di amianto. Di conseguenza, l’eradicazione delle malattia amianto-correlate rientra tra le priorità “ambiente e salute” dell’Oms per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile. È dato a sapere che nel mondo il 75% dei Paesi è ancora privo di regole. Un’area ancora troppo estesa che vedrà ancora vittime, inconsapevoli o meno, a causa della irresponsabilità di molti nonostante si sapesse con certezza da molti decenni la correlazione amianto-mesotelioma (polmonare e pleurico).

UNA “BREVE” STORIA PERSONALE

Parecchi anni or sono, quando ero dipendente di una nota Azienda torinese ma di rilevanza nazionale, fui collocato (per 43 mesi) in una delle sue sedi (adiacente quella centrale), palazzo nobile della Torino primi ‘900, in cui si scoprì l’inidoneità dei quei locali (tutti adibiti ad ufficio) in quanto pareti e soffitti erano coibentati con fibre di asbesto (amianto) sin dagli anni ’70. Più specificatamente con una lettera della stessa azienda si asseriva che in seguito agli accertamenti del Servizio Igiene e Sanità Pubblica dell’Asl effettuati nei locali dell’azienda, era stata segnalata la presenza di agenti inquinanti aerodispersi: fibre di amianto contenute nel materiale di coibentazione delle strutture metalliche di sostegno delle solette filtrate negli ambienti interni attraverso fessurazioni determinatesi nei pannelli di controsoffittatura. E dal commento del prof. W.P., consulente della suddetta azienda (lettera del 5/12/1996), lo stesso precisava che i valori, espressi in ff/lt (fibre/litro) riscontrati, erano al di sotto della soglia di rischio. In letteratura medico-scientifica i valori menzionati sono espressi in fibre di asbesto comprendenti alcune varietà: crisotilo, crocidolite, amosite e antofillite, ad eccezione di quest’ultima tutte le altre sono ritenute responsabili; e come si spiega la versione: concentrazione in fibre/cm₃ a quella in fibre/litro? (quesito per me senza risposta). Questa realtà la si è saputa ufficialmente solo dopo che erano stati disposti accertamenti degli esperti nominati dalla Pretura presso la Procura in seguito ai quali, si dimostrò il legame tra l’ambiente di lavoro e la malattia contratta da due colleghi (oggi deceduti), ossia il mesotelioma polmonare. Ovviamente le varie Sigle sindacali insorsero per chiedere chiarimenti all’azienda, informando nel contempo i lavoratori con una serie di comunicati pubblici (ben undici) esposti nelle bacheche dell’azienda (che tuttora personalmente conservo), oltre a vari articoli apparsi sui quotidiani locali. L’azienda fu costretta a chiudere l’edificio e sottoporlo a bonifica e i dipendenti furono dislocati in altre sedi decentrate. Ma intanto il danno era fatto anche perché, siamo nel 1996, l’azienda non comunicò alle autorità competenti dell’esistenza dei manufatti asbestosi presenti nel proprio stabile, nonostante che con la Legge 257/1992 l’amianto fosse stato messo al bando. Contemporaneamente la stessa si rese disponibile a far sottoporre (facoltativamente) i dipendenti interessati a teleradiografia al torace, anche se si sapeva che i sintomi della patologia oncologica (non guaribile) si sarebbero potuti manifestare dopo molti anni e che, di conseguenza, il suddetto esame radiologico non sarebbe servito a nulla. Oltre alla vicenda in sé, assai deplorevole nei confronti dei dipendenti ai quali non è stata garantita la sicurezza sul posto di lavoro, ciò che mi ha sconcertato e indignato è che i vari sindacati non informarono i lavoratori del diritto di una possibile azione legale che si sarebbe potuto intraprendere nei confronti dell’azienda con una denuncia collettiva (una class action, ad esempio) a titolo cautelativo, anche perché se fosse andata a buon fine gli interessati avrebbero potuto beneficiare di un risarcimento… Tale indignazione mi portò ad attivarmi autonomamente e, senza dire niente a nessuno, contattattai un legale per una “Denuncia esposto da parte di privato”. Quando i colleghi e i rappresentanti sindacali furono in seguito da me informati di tale mia azione legale, non recepii alcuna reazione o commento ma dedussi che, ancora una volta, chi scrive, era (e continua ad essere) persona coerente e determinata nel perseguire il rispetto dei propri diritti. Preciso, tuttavia, che per questa vicenda non ho mai serbato rancore ad alcuno, né per l’azienda e né per i sindacalisti e colleghi che non mi hanno “imitato”, e nemmeno ne serberei qualora mi dovessi ammalare oggi di mesotelioma; ma di certo mi sento di affermare che ignoranza attiva e codardia di molti a volte “accompagnano” alla tomba gli esseri umani a volte troppo precocemente. Per fortuna, personalmente non faccio parte di questa famiglia! Ultima annotazione. La suddetta azienda, alla verifica annuale sullo stato di applicazione delle legge che prevede una quota di assunzioni obbligatorie riservate alle cosiddette “categorie protette” (alle quali chi scrive faceva parte) in riferimento alla legge 482/1968, la stessa asseriva tale obbligo una “questione di inciviltà” precisando, testualmente: «Persone che non rendono certo al cento per cento ma che le aziende sono costrette a pagare a stipendio pieno». I sindacati dell’epoca resero pubbliche queste affermazioni, ma di fatto non ci furono né scuse e né inversioni di marcia da parte dell’azienda. A tale riguardo va precisato che tra queste categorie non tutti sono improduttivi: vi sono disabili aventi piena capacità lavorativa, aventi ridotta capacità lavorativa, aventi nulla capacità lavorativa. Nel corso degli anni la (ex) suddetta azienda torinese si “macchiò” di ulteriori deplorevoli comportamenti vessatori verso alcuni dipendenti disabili, imponendo loro di trasferirsi in sedi decentrate (e scomode da raggiungere) senza chiedere loro il consenso come stabiliva (e stabilisce) la legge, oltre ad imporre di sottoporsi nuovamente a visita medico-fiscale per “confermare” il loro stato invalidante… nonostante fosse palesemente cronico ed irreversibile, peraltro certificato dagli Enti preposti. Umiliazioni e mobbing si susseguirono nonostante l’emancipazione legislativa e del diritto, e purtroppo la presunzione e il dispotismo della Dirigenza dell’epoca in alcuni casi ebbero la meglio, ma non nei confronti dello scrivente, soprattutto negli ultimi anni di dipendenza rivendicando a “viva voce” (ma non plateale) il rispetto della propria dignità, avendo affermato: «Homo sum, et humani nihil a me alienum puto», ossia sono un essere umano, e non considero a me alieno ciò che sia umano.

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