PROTAGONISTI DEL SOCIALE ALLA RIBALTA

Non è mai troppo tardi per porre la nostra attenzione su certi riconoscimenti per azioni culturali

e umanitarie, che andrebbero meglio soppesate per non creare un popolo di falsi miti e di illusi.

di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)

Più passano gli anni e più si sommano le ambizioni intese come vanità per meritare questo o quel riconoscimento pubblico. A chi non farebbe piacere salire su un palco o mostrarsi in televisione per ricevere una certa gratificazione, e magari corredata da una certa somma di denaro? In molti casi certi riconoscimenti da parte di Enti pubblici o privati vengono elargiti a “protagonisti” già avanti con gli anni, che hanno dato un contributo per lo sviluppo della Scienza, della Cultura o manifestato per anni azioni di solidarietà umana; in altri casi certi riconoscimenti, seppur di “minor” valore, vengono elargiti a protagonisti piuttosto giovani che, diciamolo pure, non hanno ancora completato la conoscenza del bisogno umano. In ambedue i casi sono certo azioni di merito del tutto positive e plausibili, ma nello stesso tempo ci sarebbe da fare una certa considerazione. Dare encomi di qualsivoglia natura a persone quasi al termine del loro percorso esistenziale, a mio avviso è una sorta di “ripiego”, sia perché gli interessati avrebbe poco tempo per goderseli e sia perché l’intrinseco valore equivarrebbe ad acquietare l’animo…; nel caso i destinatari fossero più giovani tali riconoscimenti incrementerebbero il loro Ego e, in taluni casi, verrebbe meno la loro iniziale dedizione. Per quanto riguarda l’assegnazione del Premio Nobel a protagonisti che si sono distinti in vari Discipline, come è noto comporta l’assegnazione in denaro (non certo modesto) e, a seconda del soggettivo intendimento, tale importo può essere pienamente goduto dagli interessati o donato in beneficienza. Nel caso di quest’ultima propensione non è quasi mai nota tale scelta, ed è forse giusto che sia così, a parte alcune rarissime eccezioni come quella che ha coinvolto il dottor Albert Schweitzer (1875-1965), medico filantropo alsaziano (fondatore del Lebbrosario in Gabon dal 1913) al quale nel 1952 fu riconosciuto il Nobel per la Pace (che per i più curiosi ricordo essere consistito in 33.480 dollari, ritirato l’anno successivo), che spese per completare l’hopital che denominò Village lumière. Purtroppo il nostro Paese di circa 59 milioni di residenti, a differenza di molti altri (a parte l’America che ha riconosciuto e riconosce eroe ogni caduto in guerra oltre confine), mi risulta essere più ricco di “eroi” per il solo fatto di aver compiuto un’azione definita impropriamente eroica; un’inflazione che non ha ragione d’essere sia perché potenzialmente potremmo essere tutti “eroi”, e sia perché tale concetto ha una valenza diversa e ben precisa, come sosteneva Schweitzer (nella foto): «Non esiste l’eroe dell’azione ma della rinuncia e del sacrificio». Una bella differenza!

E proprio a questo riguardo sarebbe utile che tutti coloro che vengono designati per una riconoscenza di un certo prestigio, prima di accettarla dedicassero un po’ del loro tempo ad approfondire alcuni passi biografici del filantropo alsaziano e di qualche altro; e forse, alcuni potrebbero avere qualche ripensamento… Chi mi legge forse mi collocherà tra i disfattisti o detrattori di una consuetudine, mentre sarebbe più nobile riconoscermi come anticonformista che seppur vero non lo nego, ovviamente, e non mi esclude (come tutti) da uno dei Gironi Danteschi, ma probabilmente per essere inserito in quello meno penalizzante… Questa esposizione che non vuole avere nulla di moralistico, è per rivedere insieme i reali valori della bontà il cui eccesso di riconoscimento produce falsi miti ben lontani dalla modestia e umiltà. Non dimentichiamo che i beni terreni sopravvivono all’esistenza umana in quanto materiali, perdendo immediatamente ogni loro valore alla nostra dipartita. Quindi, io credo che il più delle volte sia sufficiente un grazie purché sincero, condividendo pensieri ed azioni verso chi ci rivolgiamo… e nulla più. Per quanto riguarda le popolazioni in estremo disagio è umano ogni nostro agire per solidarietà, purché non etichettabile con una sigla o appartenenza ad un vincolo politico e ideologico: non mi risulta che i filantropi di un tempo (ormai lontano) appartenessero ad una qualsivoglia corrente politica, in quanto diversamente non potremmo definirli filantropi.

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