ESIGENZE E INCONGRUENZE DEL DOPO CRISI PANDEMICA
Molti sono alle prese per recuperare il “tempo perduto”, ma altrettanti devono fare i conti con le conseguenze come la povertà e l’impossibilità di farsi curare nella sanità pubblica
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
La pandemia si è (quasi) conclusa e ora si tratta di riprendere le attività e recuperare, per quanto possibile, quanto si è perduto dal punto di vista occupazionale ed economico. Dopo questi tre anni di sofferenze e restrizioni varie mi viene da chiedere: quali settori hanno sofferto meno la crisi, se non addirittura ricavato di più? Di primo acchito, ad esempio, mi viene da dire costanti introiti li hanno avuti le farmacie, le agenzie funebri, i fiorai e, manco a dirlo, la sanità privata. Nel contempo, però, il tasso di disoccupazione è ancora notevole, e tra i disoccupati ci sono quelli che non per causa loro hanno perso il lavoro precedente, gli infortunati con gravi invalidità, e una certa schiera di giovani che hanno rinunciato agli studi (per volere o per ragioni economiche), ma tra questa popolazione anche meno giovane, ci sono quelli con poca voglia di lavorare dei quali, una parte, ha goduto dello “scellerato” reddito di cittadinanza come se fosse una sorta di compensazione, provvedimento peraltro oggetto di infinite diatribe tra le varie correnti politiche e associazioni varie. Ma in questa realtà bisogna includere gli effetti causati dalla sanità pubblica che, nonostante gli sforzi e i sacrifici di molti operatori, centinaia di migliaia di pazienti hanno lapidato i propri risparmi per farsi curare, altri ancora addirittura hanno rinunciato alle cure e chissà quanti di essi hanno avuto conseguenze… Ma tant’è. La vita prosegue, si dice, e non c’è tempo per fermarsi e leccarsi le ferite cercando di risalire la china, sia pur a fronte di battibecchi e scarse intese tra politici, forze sindacali e associazioni varie. Ma clima permettendo, che tra l’altro ha contribuito a creare ingenti danni in vari settori, parte di un certo ottimismo è dato dalla imminente stagione estiva, un periodo di almeno tre mesi durante il quale in vari settori (in particolare alberghiero e della ristorazione) si auspica di “rifarsi” dei mancati introiti, e gli interessati stanno ben pensando di lievitare il loro listino prezzi. Ciò nonostante, anche le persone non particolarmente abbienti non intendono rinunciare ad una vacanza… costi quel che costi; una sorta di contraddizione se è vero che la crisi triennale appena trascorsa ha messo in ginocchio un po’ tutti. Nel contempo si sollecita di incrementare la prole, un’esigenza nazionale che ha una sua giustificazione sia pur di fronte ai molteplici problemi che comporta creare una famiglia; tra questi, oltre ai disservizi e alla scarsa occupazione, i costi vivi e le problematiche sociali aggravate dalla criminalità quotidiana, per non parlare delle immigrazioni la cui gestione è sempre più difficile e incontrollabile oltre che onerosa. In compenso, si fa per dire, è sempre più numeroso il pubblico che segue lo sport o attività ludiche di un certo respiro e anche questo comporta dei costi; una platea in netta contraddizione con le esigenze in tema di salute per la quale si fanno questioni quando si tratta di pagare un ticket per una prestazione sanitaria. In buona sostanza, c’è chi non rinuncia alla ferie anche con pochi mezzi, e c’è chi è costretto a rinunciare a farsi curare. Per queste ed altre ragioni che sarebbe lungo elencare, il nostro è un Paese non solo delle incongruenze, ma anche della burocrazia. Si prendano, ad esempio, i tempi biblici per ottenere una visita fiscale per il riconoscimento di una palese e grave invalidità, dalla quale deriverebbe un vitale sostegno economico ed eventuali ausili protesico-sanitari; oppure i tempi biblici per definire una causa civile e/o penale con le conseguenze che ne possono derivare e, se si vuole proseguire in tema di burocrazia (argomento di cui mi occupo da molto tempo…senza seguaci), i danni ai cittadini sarebbero infiniti e, pur lamentando questo “cancro” prettamente made in Italy, la si continua a subire mentre da tempo sostengo che la si potrebbe ridimensionare. A questo riguardo mi sento di ipotizzare che se fossi vissuto oltre un secolo fa, molto probabilmente o avrei “sconfitto” il nemico oppure sarei passato a miglior vita per mano di terzi… Questa ipotesi non è mero sentimentalismo e nemmeno immaginaria nostalgia, ma una convinzione che mi accompagna da qualche decennio in solitudine anche perché, come sostengo da sempre, da noi si parla troppo e poco si concretizza, spesso con incompetenza… eppure la patologia burocratica prevede un buon antidoto: basta volere!
Tutte l’opinioni presenti nel sito, corrispondono solo a chi la manifesta. Non sono necessariamente l’opinione della Direzione.