Cinema: Con “Biutiful” Iñarritu dimentica il divorzio da Arriaga
Ormai da anni il pubblico del cinema d’essai apprezza il giovane regista messicano Alejandro Gonzalez Iñarritu per la sua abilità nell’innescare più storie parallele che s’intersecano nei momenti cruciali del film. Era questa la struttura narrativa dei precedenti e fortunati Amores Perros, 21 Grammi e Babel, ma molto si doveva anche all’incisiva penna di Guillermo Arriaga, sceneggiatore di tutti e tre i precedenti titoli, passato recentemente anche lui dietro la macchina da presa.
Un divorzio consensuale, per una coppia artistica che aveva fatto incetta di premi e successi di critica, e che ha costretto Iñarritu a confrontarsi con progetti del tutto nuovi. Così, anche se i primi venti minuti di Biutiful sembrano un omaggio al suo cinema precedente (tanto disarticolata e ramificata appare la trama, con bruschi cambi di scena su personaggi e ambienti diversi: ci troviamo ora in un metafisico bosco notturno sui Pirenei innevati, ora in una laida toilette con due cinesi che amoreggiano, ora in una camera da letto invasa da una musica assordante nel pieno del mattino), ci si rende conto in fretta che stavolta c’è una singola storia portante, centrale e piuttosto forte. È quella di Uxbal (Bardem), uomo abituato ad aggirarsi nei bassifondi dell’immigrazione clandestina del suo quartiere e a gestire il lavoro nero delle comunità africane e cinesi. Avvezzo alle mille negoziazioni che l’illegalità e la violenza delle strade richiedono (dialoga anche coi poliziotti corrotti per garantirsi le coperture necessarie), non smette di trattare neanche tra le mura domestiche, dove deve tenere a bada i colpi di testa e le improvvisate di una moglie allontanata per disturbi della personalità e incuria verso i loro due bambini, che Uxbal alleva prevalentemente da solo, alternando rigidità e intimità.
Iñarritu ha puntato molto sulla bravura di Bardem proprio perché il personaggio da lui interpretato è il pilastro della storia: una volta messo in crisi (metastasi avanzata alla prostata, due mesi di vita) cambieranno tutti gli equilibri, sia quelli del mondo criminale che quelli del mondo familiare. Ha anche saputo sfruttare magistralmente la sua nervosa macchina da presa per mostrarci appartamenti invivibili adornati con disegni di bambini (uno di questi spiega il titolo del film), fabbriche dormitorio degradate dove però ci si dice “ti amo” senza rimanere indifferenti.
Inoltre, ha avuto l’audacia dei grandi autori nel raccontare in modo molto visivo – le luci fluorescenti della città, i presagi nel cielo che i critici italiani non tarderanno a definire “carducciani” – la solitudine e la difficoltà del protagonista e le conseguenze della sua crisi. A tal proposito, va menzionata la bellezza maledetta di quella oscura scena madre ambientata sullo sfondo di un waterfront timidamente illuminato che rivela agli spettatori più distratti che ci troviamo a Barcellona, irriconoscibile fino a quel punto.
Non dissertiamo della catarsi finale, del lento passaggio dal lercio materialismo alla spiritualità di certe scene, della piccola vena soprannaturale che attraversa il film e fa venire in mente Hereafter di Clint Eastwood e il bel finale dove la disorganicità iniziale si ricompone perfettamente, ma la continua tensione dell’opera tra realtà degradata e trascendente è da sottolineare.
Insomma, dal divorzio tra Arriaga e Iñarritu ci guadagna lo spettatore, se è vero che il primo ci ha già regalato nel 2008 un bel film come The Burning Plain (interpretato da Kim Basinger e Charlize Theron) e il secondo con Biutiful si gioca il titolo di miglior film straniero alla notte degli Oscar 2011.
Andrea Anastasi
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