Brevi e modeste Considerazioni sul nostro “Povero” Sistema Sanitario Nazionale
Sotto la lente la carenza di lungimiranza politica, ma anche un invito a risvegliare nelle nuove generazioni l‘amore per una professione nobile quanto lo è prima di tutto l’Uomo
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Estate o no, assenze o meno, sta di fatto che ammalarsi (seriamente) soprattutto in questo periodo e anche durante l’anno, nel nostro Paese richiede una invocazione. Rivolgersi al proprio Santo, o più propriamente al protettore dei malati San Camillo De Lellis pregandolo di intercedere presso il buon Dio, per non ammalarsi o in caso di bisogno di poter fruire della Sanità pubblica nei modi e nei tempi dovuti. Poiché allo stato attuale nel SSN pare che manchino 10 mila medici e 20 mila infermieri, sarebbe auspicabile proprio un miracolo come quello relativo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci compiuta da Gesù descritto nei Vangeli; ma evidentemente ciò non sarà possibile che avvenga, anzi non avverrà mai. E allora che fare? Nessuno ha la bacchetta magica, nemmeno il Governo che attualmente ha allo studio un Decreto in merito, dal quale emerge preventivamente come priorità da risolvere il problema delle liste di attesa. Infatti, tra le misure urgenti all’attenzione, nel giugno scorso è stato discusso un Cup unico regionale e infra-regionale, una piattaforma per il monitoraggio dei tempi, la possibilità di acquisto di prestazioni da strutture private ed estensione degli orari per effettuare visite ed esami nelle giornate di sabato e domenica. Ma in merito a ciò mi chiedo: come può passare una simile proposta se negli orari e turni ordinari, non si riesce a garantire le prestazioni per via della notevole carenza di medici e infermieri? Come sempre, per affrontare un problema che si è creato bisogna prima domandarsi perché si è arrivati a questa situazione, e verrebbe da dire che si sono chiuse le stalle quando i buoi erano già scappati. Io credo che una attenta e profonda analisi degli sbagli della politica del passato potrebbe aiutare non solo a capire il perché di tale fenomeno, che peraltro si va accentuando, ma potrebbe suggerire una possibile strategia di “rimedio”. Ma di rimedio credo che non si possa parlare con l’innovazione della autonomia differenziata, operativa dal 13 luglio che, come sostengono esperti da più parti, aumenterà il divario tra le Regioni italiane; ma non è un caso se a sostenerla sono soprattutto i politici delle Regioni del sud che, per paradosso, in ambito sanitario sono quelle che ricorrono all’aiuto delle Regioni del nord. Inoltre, se gli enti locali si riveleranno inadempienti sulle materie per le quali hanno ottenuto l’autonomia, una clausola consente al Governo il potere di intervenire in merito. Insomma, a mio avviso una sorta di doppione del federalismo e continuità delle diseguaglianze a dispetto della Costituzione a causa della Riforma del Titolo V. Personalmente non sono uno stretto addetto ai lavori, e tanto meno ho una qualunque valenza politica e quindi, anche se volessi ipotizzare, verrei sicuramente messo a tacere… Tuttavia, tornando alle carenze, si può rievocare che illo tempore non si è provveduto ad incrementare un maggior numero di accesso alla Facoltà di Medicina, e pochissimo si è fatto per “motivare” le nuove generazioni quali potenziali futuri medici e infermieri e, il fatto che rispettivamente ne manchino 10 mila e 20 mila, è la ri-prova della inefficienza dei politici delle ultime due-tre generazioni. Inoltre, per tale periodo bisogna considerare un notevole calo della natalità, quindi meno potenziali futuri operatori sanitari; e si aggiunga anche il pensionamento (e pre pensionamento) di qualche migliaio di essi, come pure di altri l’emigrazione in strutture private se non anche all’estero. Si metta infine sulla bilancia le modeste retribuzioni, una carenza aggravata dalla assenza di meritocrazia per capacità e disponibilità. E che dire dell’aspetto meramente culturale della nostra Sanità, della cui efficienza ci si è tanto vantati senza un minimo riguardo per trasmettere le sue origini, come pure nelle Facoltà di Medicina ben poco si è insegnato la Storia della stessa, i cui eventi-progressi se trasmessi alle future matricole avrebbero meno difficoltà ad apprendere attraverso gli opportuni confronti, con il risultato di innamorarsi di più di una professione dal camice bianco, il cui candore dovrebbe essere rappresentato dall’indole Ippocratica e Galenica, con il plauso di tutti quei pazienti che dovranno curare… e guarire. Ma a parte questo sentimentalismo, che non è però fine a se stesso, sarebbe opportuno trasmettere agli studenti (più orientati) ancora prima di intraprendere i Corsi universitari, i valori imprescindibili della vita e della dignità umana… seguita dall’ambiziosa nomina di Dottore e relativo (più consono) riconoscimento economico.
Medico ospedaliero o del Territorio?
Nel corso di questi decenni, nonostante le esigenze della popolazione, ossia con l’aumento delle patologie (con e senza diagnosi) e conseguentemente della disponibilità tecnologica al servizio della Sanità, in Italia sono stati chiusi molti ospedali “minori” (o reputati tali) e quindi una notevole riduzione di posti letto. Ma non basta. La carenza di medici e infermieri ha forse in parte giustificato quei tagli “discriminati”, ma nulla è cambiato perché il ricorso ad una prestazione ospedaliera o territoriale è sensibilmente aumentato, tant’è che le liste di attesa sembrano essere infinite. E ora che si vorrebbe risalire la china c’è bisogno sia di più medici ospedalieri che territoriali, medici di famiglia e pediatri di libera scelta inclusi, e quindi anche infermieri. Ma dovendo orientare il proprio futuro di medico, le nuove generazioni per quale ambito propenderanno? Credo sia difficile ipotizzare una statistica, anche perché immagino che tale scelta potrà maturare durante il percorso universitario che, solitamente, include la frequenza pratica sia in ospedale che nelle Asl del territorio. Ma una volta fatta questa scelta, la stessa dovrebbe essere ispirata dalla consapevolezza che la Medicina è un’Arte, una Scienza, una Professione, ma non soltanto questo. Quindi, quali i “reali” motivi che possono portare un individuo ad intraprendere la carriera medica? Ospedale o territorio ha poca importanza, ma si considerino una vocazione autentica, la necessità, l’aspirazione a trasformare una posizione sociale, il desiderio di diventare qualcuno, la volontà di seguire l’esempio dei grandi, la certezza dell’avvenire… e relativo guadagno. Apparentemente tutte motivazioni valide ma in qualunque caso il medico non dovrebbe prescindere da una forte carica di servizio umano per il prossimo. Di fronte a speranze, angosce e al tormento delle sofferenze umane, egli è chiamato a servire l’uomo nel dolore dell’uomo; e poiché, come sosteneva Massimo d’Azeglio (1798-1866): «Chi soffre è il solo giudice della gran questione del non poterne più», il medico non chiederà al suo simile altra identità che quella della sua sofferenza. Ma si sa che con il tempo la burocrazia ha imposto e impone il “rispetto” dei tempi (“vil pecunia docet”!), e proprio per questa ragione il medico sia ospedaliero che territoriale non deve venir meno alla sua dignità professionale, la cui ricompensa più grande del grazie di un ammalato è quella di poter sorridere di nuovo alla vita. Concludo conscio di avere detto cose scontate per taluni, un po’ meno per altri; ma per tutti trasmesso un mio modesto contributo con l’invito: «Amiamo la Vita, amiamo l’Uomo con o senza fonendoscopio o bisturi!».