Racconto di una personale breve esperienza
Quando il destino ci “impone” un ruolo umanitario da onorare soprattutto verso i meno fortunati
di Ernesto Bodini (giornalista e divulgatore di tematiche sociali)
Alcuni anni fa, a seguito di una mia conferenza sulla Storia dei Medicina presso una sede culturale associativa torinese, mi è stata presentata una signora, il suo nome era Adele Piera. Era già anziana, vedova, ma ancora dinamica, e ricordo anche la sua semplicità e gioiosità nonostante avesse avuto una vita di notevoli sacrifici. Mi è stata presentata per farmi raccontare la figura e l’opera di suo padre, un noto clinico torinese che fu primario oculista per 25 anni all’ospedale Maria Vittoria. Ma oltre a questo ruolo, il cattedratico è stato il pioniere in Italia degli innesti di cornea animale (cane e cavallo) in esseri umani affetti da cheratite herpetica (una malattia virale che portava alla cecità, per la quale sino ad allora non esistevano farmaci antivirali), e che tale intervento ridonava la vista a più pazienti. Dopo aver approfondito ulteriori notizie in merito per la mia passione di Storia della Medicina e di biografo, sono entrato in confidenza con la signora Adele, dicendomi in seguito di avere un figlio adulto, di nome Massimo, e che era affetto da una grave forma di disabilità psico-fisica e che, per ragioni “gestionali” e di assistenza, era ospite in una Comunità locale per persone con disabilità. Questa mamma, tanto amorevole quanto intraprendente ma non totalmente efficiente dal punto di vista fisico, lo andava a prendere ogni fine settimana per tenerselo con sé, un “rituale” che le procurava un certo sollievo; nel contempo era stata nominata tutore del figlio dal Tribunale. Non è passato molto tempo che, proprio per via della confidenza e dell’amicizia che si erano instaurate, mi ha chiesto di diventare co-tutore in quanto periodicamente doveva recarsi dall’altro figlio residente all’estero. Ho accettato senza alcun indugio, a condizione che non vi fosse alcun bene da amministrare e da quel momento, dopo il Giuramento presso il Tribunale, è iniziata la mia esperienza tanto dal punto di vista della solidarietà quanto da quello dell’impegno per certi versi legale. Un coinvolgimento emotivo sotto diversi aspetti, anche per via dell’amicizia ormai consolidata tra lei e la mia famiglia, sempre più partecipe in questo cammino di solidarietà. Ma dopo alcuni anni di serena “partecipazione” amichevole ed affettiva la signora Adele è deceduta e, alle esequie, l’altro figlio è venuto dall’estero, in tale occasione mi ha chiesto se avessi voluto continuare a mantenere il ruolo assunto nei confronti del fratello. Ovviamente non ho avuto alcuna esitazione e, per tale ufficialità, sono tornato del Giudice Tutelare per il Giuramento e trasformare la nomina da pro-tutore a tutore.
Ma nel corso degli anni le condizioni di salute del mio “tutelato” sono in parte peggiorate, e ha dovuto essere trasferito in una struttura diretta da personale religioso e laico della provincia, in convenzione con l’Asl territoriale in quanto dotata di assistenza sanitaria. Andavo a trovarlo di tanto in tanto, anche perché la sua disabilità non gli consentiva di comunicare verbalmente, ma ciò nonostante mi riconosceva e gestualmente manifestava gradire la mia presenza, come anche di qualche suo parente e di suo fratello per mezzo di una piattaforma telematica (skype). La sua permanenza in quell’Istituto, peraltro seguito amorevolmente dal personale e anche da volontari, è stata caratterizzata da un clima di serenità e grande considerazione umana, ed altrettanto costantemente anche dal punto di vista sanitario. Purtroppo, giunto all’età di 67 anni è venuto recentemente a mancare; evento che ha lasciato un vuoto nella struttura ma anche in tutti coloro che lo hanno conosciuto, accarezzato e contraccambiato il suo sorriso dal quale traspariva una grande serenità, manifestazione che gli era congeniale aggraziata dalla spontanea gestualità, volendo dimostrare il suo affetto e la sua riconoscenza. Su questa mia esperienza verrebbe da fare una serie di considerazioni, non tanto per “sottolineare” l’impegno personalmente assunto, quanto invece per richiamare l’attenzione sull’importanza dell’essere solidali con il prossimo meno fortunato, e soprattutto quando in assenza dei genitori si prospetta quel momento noto come il “dopo di noi”. E anche se una struttura privata e/o istituzionale non può sostituirsi agli affetti famigliari, va da sé che va garantita in ogni senso la continuità esistenziale nel migliori dei modi. Un dovere civico ma soprattutto umano poiché la vita è preziosa per tutti, e va sostenuta e rispettata sino alla fine dei nostri giorni.
Nella foto in basso: da sinistra l’autore dell’articolo, Massimo e il fratello Alessandro