La mancanza di un vero ricambio della classe politica, sottolinea “l’impasse” del nostro sistema e del governo

Foto by tpi.it

di Angela Casilli

Ancora una volta, dopo l’ennesimo scandalo politico, che questa volta ha coinvolto un ministro del governo Meloni, chiaro segnale dell’ impasse   in   cui   è   venuto   a   trovarsi   di   recente   l’Esecutivo, televisione e giornali sono tornati a parlare delle élites immutabili, eterno   problema   del   nostro   Paese   con   due   diverse   analisi dell’attuale quadro politico.

La   prima   si   sofferma   sull’imborghesimento   e   sul   conseguente distacco   della   sinistra   dalla   sua   base   tradizionale;   la   seconda analizza il sentimento di ostilità e malcelata rivolta di vasti strati dell’elettorato contro le élites, identificate con la globalizzazione, il multiculturalismo,   l’immigrazione,   il   politicamente   corretto.

Entrambe le analisi evidenziano un sempre più diffuso sentimento di avversione verso una ristretta cerchia di persone in grado di condizionare  la   politica,   che   porta   come   riflesso   condizionato   al populismo. I governi a forte impronta popolare e quanti hanno soldi e potere naturalmente confliggono, ma la storia che ha approfondito questo antagonismo   ha   anche   chiarito   come   le   moderne   società   non possono funzionare senza questi gruppi di potere, definiti élites, purché non siano del privilegio o della nascita, ma del merito.

Purtroppo   non   è   il   caso   del   nostro   Paese.   Infatti   negli   ultimi trent’anni, complici tre fattori come il ristagno economico, la cronica mancanza   di   sviluppo   del   Mezzogiorno,   la   crisi   sistematica   del nostro sistema scolastico e universitario, aggravato oggi come non mai dalla recente pandemia, nessun ricambio significativo c’è stato, anzi le cosiddette élites, hanno manifestato un carattere sempre più ereditario.

Ovunque il titolo preferenziale per accedere al pubblico impiego o ad altri  settori  non è una  laurea o i  meriti acquisiti nel  campo lavorativo, ma l’appartenenza ad una precisa classe sociale, quindi è un titolo ereditario-familiare. E ciò accade nelle università, nella magistratura, nella diplomazia e via discorrendo.

Bisogna   anche   dire   che   non   sempre   il   merito   è   assente,   ma   è sempre più presente la possibilità di affermarlo solo se le condizioni familiari di partenza lo consentono; sovente esse sono il solo titolo preferenziale. In   questa   disamina   va   però   ricordata   l’antica   avversione,   tutta italiana, per la competizione e la trasparenza, unita all’altrettanto antica   disposizione   a   privilegiare   le   relazioni   sociali   sulle competenze,   a   totale   svantaggio   degli   strati   piccolo-borghesi   e meno favoriti dal benessere, e a vantaggio, invece, degli strati più alti della società consentendo ai più capaci e intelligenti di guidare per oltre trent’anni il nostro Paese.

Il risultato non ci conforta, perché sempre meno possiamo contare su quella risorsa rappresentata dalla brillante genialità italiana, così spesso   presente   nella   nostra   storia.   Da   quanto   finora   rilevato, deriva   la   natura   sostanzialmente   chiusa,   iper omogenea, autoreferenziale di questi gruppi di potere, con tre caratteristiche che sono: a) l’età avanzata, b) la scarsa presenza di donne, c) la provenienza  ideologica  di  centro-sinistra,  requisito  indispensabile quest’ultimo per essere ammessi ai vertici della politica. In ultimo, conformismo, carrierismo, ostilità ad ogni cambiamento, riluttanza a prendere decisioni importanti o impopolari. In sintesi, ci troviamo di fronte ad un’oligarchia vera e propria. E questo spiega il vasto sentimento di avversione che oggi, come ieri, suscita in molti.

Tutte l’opinioni presenti nel sito, corrispondono solo a chi la manifesta. Non sono necessariamente l’opinione  della Direzione.

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