AL MOLECULAR BIOTECHNOLOGY CENTER (M.B.C.) DI TORINO RIPRESI GLI INCONTRI SULLA PREVENZIONE
Promossi dalla associazione torinese Più Vita in Salute
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Nella ripresa degli incontri dedicati alla prevenzione, i primi due relatori hanno trattato argomenti entrambi di attualità: Come evitare l’infarto, a cura del cardiologo emodinamista Paolo Russo, e Parliamo di artrosi delle articolazioni, a cura dell’ortopedico e traumatologo Luisangelo Sordo, ambedue dell’Università di Torino. Il primo relatore ha esordito nel rammentare l’importanza della prevenzione e a seguire elencando i vari fattori di rischio cardiovascolare, fattori che si associano ad una aumentata probabilità di sviluppare una malattia cardiovascolare, precisando prima la differenza fra “causa di un evento” e “fattore di rischio”. Le malattie cardiovascolari colpiscono sia maschi (42%) che femmine (38%), e di tutte le morti che si verificano prima dei 75 anni in Europa, sono dovute proprio a malattie cardiovascolari. «In merito alla prevenzione – ha precisato il cardiologo, nella foto – il 50% di riduzione della mortalità da malattie cardiache, è correlata alla “modifica dei fattori di rischio”, mentre il 40% è dovuto al miglioramento delle terapie. Per quanto riguarda le terapie si sono osservati notevoli progressi, come il trattamento trombolitico dell’infarto, l’angioplastica coronarica e la chirurgia coronarica (By-pass), con notevole riduzione della mortalità”. La corretta riduzione dei fattori di rischio migliora l’incidenza della cardiopatia ischemica a lungo termine, l’intervento deve essere individualizzato, e nei pazienti over 65 si hanno dati favorevoli sulla riduzione della cardiopatia ischemica correggendo, appunto, i fattori di rischio. Da considerare che i fattori di rischio interagiscono comportando un aumento del rischio cardiovascolare, e per ridurre questo rischio è necessario identificare e trattare i principali fattori che concorrono al rischio stesso coesistendo nel paziente.». Tali fattoti si dividono in immodificabili (famigliarità, sesso, età), e modificabili (fumo, dislipidemia, diabete mellito, ipertensione arteriosa, obesità e sedentarietà). La cardiopatia ischemica si manifesta nelle donne con un ritardo di circa 10 anni rispetto agli uomini, ma risulta anch’essa associata agli stessi fattori di rischio. Da notare, inoltre, che la differenza tra morbilità e mortalità cardiovascolare tra le donne in età feconda e uomini della stessa età, dipende dalla situazione ormonale… La cardiopatia ischemica aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età: più del 60% dei pazienti ricoverati per infarto miocardico hanno oltre 65 anni. «L’abuso del fumo – ha tenuto a precisare il relatore – aumenta l’incidenza di patologie cardiovascolari e di morte cardiaca improvvisa, e la causa principale di morte e di invalidità tra i fumatori e la cardiopatia ischemica; tuttavia nei soggetti che smettono di fumare il rischio di questa patologia si riduce notevolmente. La sospensione del fumo al momento del by-pass aortocoronarico, determina la riduzione di eventi clinici durante i successivi controlli». Sulla dislipidemia il relatore ha spiegato che vi è una stretta correlazione tra i livelli di colesterolo, trigliceridi e cardiopatia ischemica; ricordando inoltre, che i valori normali sono inferiori a 200 per il colesterolo totale, il colesterolo HDL deve essere inferiore a 40 negli uomini e 50 nelle donne, il colesterolo LDL deve essere inferiore a 100, e 55 nei pazienti diabetici o dopo un evento, inferiore a 200 i trigliceridi. Nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica la mortalità è sei volte maggiore quando il valore del colesterolo è compreso tra 200 e 239 mg% rispetto a valori inferiori a 200 mg%. L’elevata mortalità associata al diabete è in gran parte dovuta all’aumentato rischio cardiovascolare da 2 a 4 volte superiore rispetto alla popolazione normale, alla frequente associazione del diabete con altri fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, obesità, dislipidemia). «Bisogna considerare – ha precisato il clinico – che la popolazione dei diabetici di tipo 2 come soggetta a un elevato rischio di cardiopatia ischemica, sia nel breve che nel lungo termine e, pertanto, come una popolazione da avviare alla diagnostica precoce e al trattamento farmacologico immediato. Il rischio di morbilità e mortalità nei diabetici è uguale a quello della popolazione non diabetica che abbia già presentato infarto miocardico. L’ipertensione arteriosa colpisce in media il 33% degli uomini e il 31% delle donne. Tale evento determina un danno d’organo favorendo eventi come ictus, infarto miocardico (IMA), ipertrofia ventricolare sinistra, scompenso cardiaco, arteriopatia periferica, aterosclerosi cardiaca, insufficienza renale, aneurisma dell’aorta”. Da rilevare inoltre che in media in Italia il 18% degli uomini e il 22% delle donne è obeso, come pure si rilevano non pochi casi di sovrappeso durante l’infanzia e l’adolescenza, e ciò comporta un aumento del rischio di mortalità precoce; oltre alla maggiore incidenza di coronaropatia negli obesi dipende da fattori come l’ipertensione arteriosa e la dislipidemia, e comunque dal ruolo svolto dall’obesità stessa, quale fattore di rischio coronarico indipendente. «Ma anche la sedentarietà è da considerare – ha aggiunto e concluso il dott. Russo –, tant’è che l’attività fisica in associazione alla dieta favorisce la riduzione dei valori del colesterolo LDL e dei trigliceridi, l’aumento dei livelli dei valori del colesterolo HDL e la tolleranza glucidica, oltre a rallentare il processo aterosclerotico. Dunque, è bene non fumare, migliorare il proprio stile di vita attraverso la dieta, una attività fisica regolare, etc.».
Anche l’ortopedia è stata oggetto di argomento dedicato alla prevenzione di alcune patologie come, ad esempio le artrosi delle articolazioni. Ma per ben comprendere il dott. Sordo ha ricordato in cosa consiste la cartilagine. È un tessuto connettivo specifico che ha il compito principale di collegare tra di loro, funzionalmente e strutturalmente, altri tessuti del nostro organismo; si forma dalle cellule dette mesenchimali durante il periodo embrio-fetale creando il primo abbozzo dello scheletro. La quantità delle cellule è variabile a seconda dei soggetti e dell’età degli stessi; la struttura di cui è composto è liscia e necessita del cosiddetto liquido sinoviale presente nelle articolazioni, proprio per lubrificare le parti e facilitare il perfetto scorrimento dei capi articolari. Ma quali le patologie che si possono manifestare? «Una di queste – ha spiegato il dott. Sordo, nella foto – è l’insufficienza articolare, condizione in cui l’articolazione non è più in grado di svolgere la quantità e/o la qualità di lavoro che viene richiesta dal movimento, e ciò comporta un aumento della produzione del liquido sinoviale (versamento), dolore meccanico e limitazione funzionale, dolore infiammatorio; il dolore meccanico compare con l’uso eccessivo delle articolazioni, ma cessa in fase di riposo; il dolore infiammatorio artrosico si manifesta anche a riposo, durante la notte, e peggiora con l’uso dell’articolazione. Il dolore infiammatorio artritico si estende alle dita delle mani, ai polsi e all’anca, ginocchio e spalla; si manifesta con rigidità al mattino, ma migliora con l’uso dell’articolazione stessa». Quindi, anche per questa patologia è possibile attivare una certa prevenzione che può essere primaria, secondaria e terziaria. Nel primo caso con un minor peso corporeo si riduce la probabilità di essere colpiti dall’artrosi al ginocchio; la secondaria è finalizzata ad impedire il peggioramento della malattia, e anche in questo caso riducendo il peso corporeo; la terziaria è finalizzata ad evitare o limitare i danni ed eventuali disturbi derivanti dalla malattia, e ciò attraverso la riduzione del peso corporeo che a sua volta riduce i dolori articolari e migliora la funzione, soprattutto nei pazienti affetti da artrosi degli arti inferiori. «Per quanto riguarda il trattamento conservativo – ha specificato il relatore – utile è la ginnastica di mobilizzazione che risulta essere il mezzo migliore. In merito all’uso dei farmaci sono indicati analgesici, antinfiammatori e cortisonici. Ma gli analgesici da soli non possono rallentare o arrestare la malattia, o ripristinare le strutture anatomiche compromesse, come pure la funzione dell’articolazione o delle strutture periarticolari colpite, ma migliorare il tono, il trofismo e la forza muscolare». Il relatore ha inoltre spiegato le indicazioni per il trattamento riabilitativo in fase conservativa, che consente di conservare la mobilità articolare e prevenire l’instabilità e le deformità; prevenire l’ipotrofia muscolare e le retrazioni miofasciali, superare eventuali contratture, educare ed informare il soggetto per una gestione razionale del problema, e quindi per una maggior economia articolare. «Per quanto concerne la terapia chirurgica – ha concluso il dott. Sordo – la stessa è richiesta quando la limitazione funzionale impedisce o rende difficili le normali attività e le limita, e quando il dolore è una costante, il consumo dei farmaci antinfiammatori o analgesici è elevato e se ne è dipendenti. Infine, si tratta di precisare al paziente che in presenza di tale patologia è da valutare attentamente, sia dal punto di vista clinico che radiografico, che la protesi è un intervento irreversibile; di conseguenza è bene valutare alternative terapie praticabili».
Foto a cura di Giovanni Bresciani