Carceri: la testimonianza di Giacomo P. detenuto a Teramo
Giacomo, ma il nome è fittizio, è stato arrestato un mese fa, in un paese dell’hinterland teramano. E’ accusato di un reato piuttosto grave e rischia una condanna a circa dieci anni di carcere. Non è questa la sede, né il momento, in quanto le indagini sono ancora in corso, per affrontare il fatto che Giacomo risulti più o meno colpevole, siamo qui a riflettere, nell’ambito della nostra inchiesta sul sistema carcerario, su alcune piccole, grandi questioni che un detenuto deve affrontare ogni giorno. E che sanno di assurdo, poiché mostrano il sistema carcerario per quello che è: UN UNIVERSO ALLA ROVESCIA.
Giacomo ci ha spiegato che: se un familiare va a trovare un detenuto e decide di lasciargli dei soldi, deve riempire prima un modulo. Se la cifra depositata supera i 70 euro, allora questi devono pagare un francobollo. Se si lasciano beni di prima necessità, va compilato un ulteriore modulo che costa 20 centesimi. Se, prima di entrare in parlatorio, si devono lasciare le chiavi dell’auto, una borsa, un portafoglio nella cassetta di sicurezza, la guardia penitenziaria chiede 1 euro. (Ma quando si riconsegna la chiave della cassetta l’euro non viene restituito.) All’interno del carcere manca tutto. Medicinali, in primis, Giacomo si è coperto di strane macchie diffuse in tutto il corpo, ma ancora sta aspettando la crema funghicida, ma deve acquistare anche sapone, schiuma da barba, lamette, bagno schiuma, shampoo, caffè, zucchero. Per ricevere qualsiasi cosa bisogna compilare il modulo e pagare, appunto, 20 centesimi. Ovviamente quanto accade a Giacomo nel carcere di Teramo, avviene pur se con modalità differenti, anche nelle altre carceri italiane. Insomma, la casa circondariale di Teramo non fa l’eccezione, ma, anzi, conferma la regola. Ci chiediamo, pur rendendoci conto che sia pressoché inutile tale domanda e lo chiediamo al Ministro di Grazie e Giustizia: PERCHE’? Con i soldi versati dai contribuenti, non si riesce a fornire i generi di prima necessità ai detenuti, che dovrebbero essere rieducati per rientrare nella società civile, una volta scontata la loro pena?
E ancora: perché i familiari, già gravati dall’onere del proprio congiunto in stato di detenzione, devono subire l’ulteriore danno di pagare per qualsiasi cosa questo richieda? Al danno, si aggiunge la beffa…
Le guardie penitenziarie, più che guardie sembrano gabellieri e ricordano quelle del: – Chi sei? Dove vai? Un fiorino – del famoso film di Benigni e Troisi “Non ci resta che piangere”.
Perché se un familiare va a trovare il proprio congiunto il lunedì e consegna il pacco con la biancheria pulita, questo viene consegnato al detenuto una settimana dopo?
Perché con un caldo insopportabile come quello di questi giorni, la doccia un detenuto può farla solo tre volte la settimana e non, se ne sente l’esigenza, tutti i giorni?
Ah, è vero, esiste un regolamento che va rispettato.
Cose risapute. Alle quali non è mai stato posto rimedio. Così il sovraffollamento, il caldo soffocante in estate, uniti alla burocrazia più assurda, all’inefficienza più bieca, al lassismo imperante, all’abuso di potere, fanno dell’universo carcerario un vero inferno. Sento già qualcuno mormorare: “Il carcere non è un albergo chi è lì dentro deve scontare una pena, non andare in vacanza.” Giustissimo. Ma i diritti dell’uomo, i diritti primari, stabiliti anche dalle varie convenzioni e costituzioni dei vari Paesi democratici, o che si dicono tali, quelli non vanno in vacanza. Anzi. Il rispettarli costituisce, senza ombra di dubbio, il termometro per misurare la civiltà di un Paese. E noi, ministro Alfano a che punto siamo?Al punto che il comandante delle guardie carcerarie del carcere di Castrogno, Teramo, ha ammesso di aver pronunciato queste parole::”Abbiamo rischiato una rivolta perché il negro ha visto tutto. Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto…”
Ma se il comandante ha pronunciato queste parole, chi ha massacrato il detenuto?
Francesca Lippi