Tangentopoli story, il 2003: quando Penati finì d’incassare

 

 

 

Continuando la nostra indagine sulle tangenti tra Prima e Seconda Repubblica, arriviamo al 2003, un anno che sembra straordinariamente vicino alla cronaca politica di questi giorni e al caso Penati. Piero Di Caterina, imprenditore interessato ad ottenere una lottizzazione nell’ex area Falk e Marelli di Milano, ha spiegato lo scorso luglio agli inquirenti che a quel fine versò ben 2 miliardi e 235 milioni di lire all’ex consigliere Pd Filippo Penati. Secondo quanto ricostruito da Ilfattoquotidiano.it, i versamenti che avvennero dal 1997 al 2003 sarebbero dimostrabili attraverso una fitta documentazione contabile e in particolare dai conti scudati in possesso a Di Caterina. Insomma, un’inchiesta molto seria, che coinvolge uno degli uomini più potenti dell’odierno secondo partito politico italiano. Penati smise di intascare tangenti nel 2003, e questa data sembra saldare definitivamente, dal punto di vista della diffusione della corruzione, la Prima alla Seconda Repubblica, la maggioranza all’opposizione, il centrodestra al centrosinistra.

Il 2003 è anche l’anno dell’inchiesta del pm Henry John Woodcock sulle tangenti all’Inail: con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa finirono inquisite 76 persone, tra cui spiccarono i nomi di Flavio Briatore, Luciano Gaucci e Anna La Rosa.

Un’altra importante inchiesta del 2003, poi, fece parlare di tangenti militari: la Procura Militare di Padova accertò che girarono mazzette per gli appalti militari di numerose missioni all’estero (Monzambico, Somalia, Albania), attraverso la testimonianza di un pentito non comune, il colonnello Francesco Cosentini, capo sezione casermaggio ed equipaggiamento del Commissariato di Padova. Secondo Panorama.it, “dalle cucine da campo alle bandiere rosso-bianco-verdi, dalle posate in plastica al detersivo liquido, dalla lavanderia da campo al brillantante, gravavano tangenti sugli acquisti”.

I casi di corruzione del 2003 sarebbero davvero troppi per elencarli tutti, ma vale la pena almeno ricordare che il sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso aveva conti correnti dai quali non risultavano magicamente le uscite in denaro, che finirono sotto la lente dei pm durante le indagini sugli appalti comunali truccati. Infine, il sindaco di Brindisi finì in manette dopo aver concesso una banchina all’azienda Edipower per lo smistamento di carbone, probabilmente a seguito di una tangente: lo scandalo prese immediatamente il nome di “Carbongate”.

Andrea Anastasi
 
 

 

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