Appunti di viaggio: ritorno in Tanzania
Una nostra affezionata lettrice, Emanuela Verderosa, ci ha inviato alcuni appunti sul suo viaggio in Tanzania.
Dal suo scritto corposo si evince che ella ha visto questo paese con gli occhi del cuore, vergando le sue osservazioni con un’intensità coinvolgente. Un “reportage” che è lo specchio di una realtà in fase di cambiamento dove ancora, fortunatamente, il senso di umanità e l’accoglienza persistono offrendo spazio alla speranza. (F.L.)
–
Partenza
Sono contrariata per il ritardo della partenza dell’aereo. E i motivi sono oscuri. Mi rassegno. Nell’attesa mi faccio accompagnare da Kavafis, un poeta greco trapiantato nella torbida periferia dell’Alessandria di fine ottocento. Non lo conoscevo. Mi colpì, su una bancarella, lo stile crudo, lapidario ed energico della poesia sulla vita riportata in copertina. E soprattutto un pezzo: “…non sciuparla portandola in giro- in balìa del quotidiano- nel gioco balordo degli incontri- e degli inviti,- fino a farne una stucchevole estranea”. Mi scuote il rollìo. Finalmente, l’aereo decolla. Si innalza con la potenza dei suoi motori nel rovente cielo di agosto. Ed improvvisamente, e contemporaneamente, si acquietano in lontananza l’acuto Kavafis e la concitazione della vita. Quassù la relazione essenziale non è più tra l’esistenza e la sua quotidiana esagitazione. Predomina la relazione terra-cielo. Mondi inscindibili e fascinosi. Sul primo siamo saldamente piantati mentre agogniamo l’altro. E sovente in risposta ad un’antica nostalgia. Ma quanto è diventata difficile e complicata la vita laggiù. E quanto dispersiva e fragile. Spesso spinta al limite dell’alienazione e della frantumazione. Ci servono antenne sempre più potenti per captare ed intercettare il sotterraneo fiume originario ed armonioso entro il quale rigenerare e significare le nostre personali e comunitarie avventure umane. Fiume e matrice dal quale fatalmente ci allontano i miraggi della moderna dottrina dell’apparenza e della superficialità. Ahi! Quanto è vero. Laggiù la vita rischia di diventare realmente una stucchevole estranea.
La procura dei Missionari della Consolata a Dar era, e rimane, una sorta di approdo sicuro, un crocevia di notizie, un luogo dove un universo in transito depone il suo carico di stanchezza e ne riparte ritemprato. Qui persone si incontrano e rincontrano provenienti dai propri paesi o dall’interno degli sperduti villaggi ove operano. Per noi potrebbe apparire un posto scontato anche perché, volendo, ci sarebbero alternative. Ma in passato e in una realtà pionieristica il significato aggregante di questa struttura, come luogo di ristoro del corpo, del cuore, dello spirito, e come termometro dei cambiamenti e dei problemi riscontrati nelle attività sociali, doveva essere notevole e, probabilmente, insostituibile. Oggi volontari, missionari, amici, semplici turisti si ritrovano qui, magari dopo viaggi estenuanti, a mettere in comune le loro impressioni sull’andamento del paese, le loro esperienze di lavoro e di impatto con le realtà locali, le considerazioni sugli itinerari dei viaggi, le notizie politiche dall’Italia e sulle situazioni dell’entroterra. E la curiosità e il desiderio di guardarsi intorno per comprendere l’evoluzione sociale e politica del paese, è sempre molto grande. Una notizia molto recente. Il governo della Tanzania ha stabilito una tassa biennale di 500 euro per tutti i residenti stranieri, siano essi volontari, missionari, commercianti, lavoratori in imprese presenti, ecc. A chi ha fatto notare al ministro competente che queste persone portano già ricchezza al paese sotto forma di scuole, ospedali, imprese e quant’altro, si è sentito rispondere: “Se hanno i soldi per tutte queste cose, allora possono anche pagare la tassa”. Il vento politico sta cambiando? Si sussurra che il presidente attuale stia svendendo il paese agli arabi. Certo, dopo l’eredità politica di Nyerere centrata sul valore della convivenza pacifica tra le 120 etnie del paese, questa svicolata politica risulterebbe, quantomeno, preoccupante. Immancabile l’accenno alla sfrontata corruzione, ormai capillare e corrosiva, con la quale ci si deve scontrare ogni giorno per le necessità legate alle proprie attività sociali in loco. Il mercato della benzina, ancorchè sufficiente ai bisogni, è ostaggio della speculazione. Permane la precarietà delle risorse energetiche essenziali come acqua e luce e la viabilità non ha fatto grandi progressi. E questo succede anche in una città come Dar. Qui, come in tutto il paese, le latrine a pozzo sono comuni e visibili i liquami; i rifiuti (raccolti in maniera irregolare dal servizio apposito) normalmente vengono bruciati o sotterrati. I problemi sanitari e quelli da inquinamento sono reali. Eppure, come risulta dall’esperienza di qualcuno, la Tanzania, rispetto ad altri paesi come la Liberia o come la Kigali rwandese o la Wajir del Kenia che ricordo, è addirittura l’America africana. A leggere certe recensioni che la classificano come uno dei più poveri paesi africani, si stenta a credere. (Fine – Prima parte)
Emanuela Verderosa