Perché leggere “Chiusoametà” di Decimo Cirenaica
Chiuso ametà – Decimo Cirenaica: a destare curiosità bastano già questo titolo in cui la sgrammaticatura – per quel che ne sai, così a primo impatto – potrebbe essere voluta ma anche no e questo nome sicuramente non comune, che sa un po’ di biblico.
È, dunque, improbabile che chi si imbatta per caso in una pagina web che parla di questo romanzo (tipo http://decimocirenaica.tumblr.com/condividiallostessomodo), voglia passare subito oltre. È probabile, piuttosto, che voglia saperne di più e che, magari, decida di scaricare l’e-book (“tanto è gratis e non ci perdo nulla, se non mi piace”, penserà).
File sotto gli occhi, subito dopo la prima pagina che funge da copertina, compare l’indice: chi si aspetta il solito striminzito elenco di capitoli, sezioni e/o parti numerati, con eventuali relativi titoli, resterà piacevolmente stupito nel trovarsi, invece, davanti l’elenco dei titoli dei capitoli, ciascuno accompagnato dal rispettivo incipit.
Per un romanzo, l’incipit è un po’ la prova del fuoco perché se non cattura il lettore dalle prime righe, rischia di perderlo per sempre. Cirenaica, quindi, proponendone ben 18, compie un’operazione in stile “rischia tutto”. Una scelta azzardata, la sua, che però si rivela vincente, perché quell’indice è un ottimo biglietto di presentazione per l’opera: qualunque sia l’impressione generale che il lettore ricaverà alla fine della lettura, sarà sicuramente la stessa che avrà provato nel leggere quelle prime anticipazioni.
Io, per esempio, sin dall’inizio mi son chiesta “ma Cirenaica, originale ci è o ci fa? Scrive così perché se lo sente o lo fa per stupire?”. E quando Decimo-protagonista del romanzo si chiede “Sono solo un provocatore?” è difficile non pensare che in questo interrogativo ci sia dell’autobiografico. A lettura ultimata, comunque, preferisco propendere per la tesi che questo autore originale ci è.
Legata a questa perplessità è poi la sgradevole sensazione, che ho provato inizialmente, di essere davanti ad un testo un pochino pretenzioso e talvolta criptico. È probabile che quest’impressione accompagni (o abbia accompagnato) fino alla fine anche voi, ma mi sento di rassicurare chi ancora non abbia letto il romanzo: che talvolta abbia effettivamente voluto strafare o meno, l’autore ha indubbie qualità e di sicuro non siete davanti ad un’opera del genere L’eleganza del riccio. Per cui, se eventualmente perderete la bussola, sarà di tanto in tanto e per brevi passaggi, non per pagine e pagine.
A confondervi un po’ le idee contribuirà anche il fatto che – come capirete già leggendo l’indice – la narrazione alterna continuamente passato e presente. Non solo: in queste pagine, immaginazione e realtà tendono a fondersi e a volte si tarda un po’ a capire in quale dei due piani ci si stia addentrando. Se non amate Kubrick, comunque vi rassicuro: la lettura non sarà un’esperienza paragonabile alla visione di un suo film. Non succederà, cioè, che alla fine non avrete capito nulla della storia e vi chiederete se il problema siete voi (troppo limitati per comprendere) oppure il film (oggettivamente non decifrabile). Questa tecnica narrativa è, anzi, a mio parere, uno dei punti di forza del romanzo. Dovendo fare un paragone cinematografico, quindi, direi che questo libro somiglia piuttosto ad un film di Tarantino o simili, uno di quelli in cui, piano piano, il puzzle si ricompone … quasi interamente. Qualche interrogativo senza risposta, infatti, forse vi resterà (tipo: quei “a l”, “a la”, sono sintomi di un’allergia alle preposizioni articolate? E quale concetto mai descriverà quest’espressione “chiuso a metà”?!), ma la prossima volta in cui vi imbatterete in Decimo Cirenaica, con molta probabilità, non cambierete strada.
Ed è anche probabile che, se leggendo l’indice vi avrà colpito l’incipit del secondo capitolo («Raggiungerò Luisanna, in Italia, e per tre giorni non saranno lenzuola ruvide a coprirci, né le spighe di giallo sparso a sorprenderci; non saranno le ciliegie di mattina a rilassare i suoi nervi preoccupati di non piacere, né basteranno le mie rassicurazioni: “Cosa pensi?” mi chiederà Luisanna.»), a fine lettura concluderete che val la pena leggere questo romanzo anche solo per passaggi come quello o come questi:
«La mattina è luminosa e il mio sorriso inopportuno, ma io mi sveglio sempre così: spalanco le persiane e mi godo l’ultima danza del cigno: apre le ali solo quando si sente osservato e quel laghetto sembra trasformarsi in un palcoscenico.»
«Ciao. La voce di Anita Santa Cruz è piatta come un lago ghiacciato su cui ci puoi pattinare; chiusa ed essenziale, quella voce, senza sfumature: Ciao Anita, che bello sarebbe pattinare sulla tua voce. Ciao, mentre sgrano elenchi di negazione, in ascolto, la serranda abbassata, e di nuovo troppo vicino alla plastica marrone, respiro polvere umida e ti seguo, férmati, aspetta, dov’eri, ti ho cercata.»