Paralimpiadi: una disciplina sportiva di cultura e “buon senso civico”

Tra storia e … polemiche

Si sa, anche nel mondo dello sport in genere le polemiche non mancano mai (soprattutto in questi ultimi tempi); come pure nelle Paralimpiadi in corso allo stadio olimpico di Londra sino al 9 settembre. Fra queste le “diatribe” che (è penoso rilevarlo) riguardano Oscar Pistorius, l’atleta amputato bilateralmente agli arti inferiori, detentore del record mondiale sui 100, 200 e 400 metri categoria T44. Corre con delle protesi in fibra di carbonio, dopo esser riuscito a convincere la Iaff (International Association of Athletics Federations) in seguito ad un lungo “tira e molla”, che aveva diritto di misurarsi con i normodotati. L’atleta sudafricano, in agosto, ha corso i 400 metri assieme ai migliori della terra. Ha vinto una prima qualificazione, poi è arrivato ottavo nella sua semifinale.

«Dopo il secondo posto nei 200 – riporta un quotidiano – Pistorius ha accusato il rivale di aver “barato” sulla lunghezza delle lame… Se la prende con il brasiliano Alan Fonteles Cardoso Oliverira, sostenendo che le sue protesi non sono regolari: troppo lunghe. Un anno fa era più basso di me di 5 centimetri, adesso è 5 centimetri più alto…». A fine gara, il campione del mondo Kirani Iames ha voluto che si scambiassero la maglietta. Ma al di là delle polemiche ritengo più utile ricordare le origini delle Paralimpiadi ponendo subito un quesito: perché e da quando le persone disabili praticano lo sport? La pratica dello sport per persone “diversamente abili” iniziò nel 1948 presso l’ospedale di Stoke-Mandeville di Londra, un centro di riabilitazione dove venivano ricoverati i paraplegici e i mutilati per le conseguenze della seconda guerra mondiale. Qui Ludwing Gutman avviò un esperimento con scopo riabilitativo e di recupero degli arti colpiti, applicando alla terapia anche lo sport.

L’idea del binomio sport-terapia si rivelò vincente, tanto da far nascere un Centro sportivo per persone disabili, e i successivi Giochi Internazionali di Stoke-Mandville, che si tengono tuttora con la partecipazione di atleti provenienti da molte nazioni. Lo sport per disabili è una realtà presente in tutto il mondo e fa capo alla International Paralimpic Committe. Ogni Paese ha la propria Federazione, la quale raccoglie le società sportive che praticano attività agonistica per disabili. In Italia è presente la Federazione Italiana Sport Disabili (FISD), organo riconosciuto dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Costituita nel 1990 per promuovere e disciplinare l’attività dei disabili, conta oltre 500 società sportive affiliate e oltre 15.000 atleti tesserati. Alle attività sportive della Fisd partecipano sette diverse tipologie disabili: paraplegici, tetraplegici, amputati, cerebrolesi, psichici, non vedenti, ipovedenti.

Lo statuto prevede, oltre alla promozione di attività sportive, la preparazione tecnica, agonistica ed organizzativa delle rappresentative italiane per la partecipazione alle Paralimpiadi e ad altre competizioni internazionali: facilitazione negli studi e ricerche a carattere medico-scientifico, sociale, economico e giuridico nell’ambito dello sport; come pure nella ricerca di soluzioni tecniche per facilitare la pratica sportiva agli associati. La persona “diversamente abile” che vuol praticare sport oggi ha a disposizione molte discipline, totalmente o parzialmente adattate al tipo di menomazione di cui è affetta. Tra queste l’atletica, il basket (in carrozzina), il nuoto, la scherma, il tiro con l’arco, il tennis (da tavolo); alcune sono appositamente inventate, come ad esempio il torball (pallone sonoro) per non vedenti. Un progresso socio-culturale che ha portato alla conoscenza di un mondo sportivo spesso convergente con quello più conosciuto, tant’è che gareggiare con i cosiddetti “normodotati” non è più un tabù.

Diversi i protagonisti che hanno contribuito a superare la soglia della “diversità” (non certo di performance) come l’arciera italiana Paola Fantato (affetta da poliomielite agli arti inferiori), scoccando le sue frecce sui bersagli ai Giochi olimpici “normali” di Atlanta nel 1996; a Sidney nel 2000 la statunitense Maria Runyan (colpita da cecità) si è fatta onore nella corsa dei 1500 metri; il nuotatore sudafricano Terence Parkin (affetto da sordomutismo) ha conquistato l’argento nei 200 rana, battuto solo dall’italiano Fioravanti. Altrettanti ai Giochi olimpici di Londra di questi giorni, tra i quali l’ex pilota di Formula Uno, Alex Zanardi (amputato agli arti inferiori), in gara con la bici a tre ruote; Annalisa Minetti (affetta da cecità) che si è guadagnata il bronzo nei 1500 metri di atletica, un risultato che ricalca quello di Miss Italia e il trionfo al Festival di Sanremo…

La storia ebbe il suo esordio nel 1952 in Olanda con la nascita dei Giochi a livello internazionale, e le Paralimpiadi, la cui prima manifestazione fu inaugurata a Roma nel 1960: vi parteciparono 400 atleti di 23 Paesi. Nel 1976, in occasione dell’edizione tenutasi a Toronto, furono aggiunte altre tipologie di disabilità, e nello stesso anno in Svezia nacquero anche i Giochi paralimpici invernali. Oggi le Paralimpiadi sono l’evento più importante fra i “diversamente abili” impegnati nello sport agonistico e vengono indette Olimpiadi ufficiali come quella di Tokyo nel 1964, Tel Aviv nel 1968, Stoke-Mandville nel 1984, Seul nel 1988 e Barcellona nel 1992. Il numero degli atleti è passato dai 400 del 1960 ai 3195 di Atlanta del 1996 e oltre 4000 alle competizioni tenutesi nel 2000 a Sidney. Tra le ultime Paralimpiadi quelle tenutesi nel 2004 ad Atene, a Torino nel 2006 e a Pechino nel 2008. Quelle in corso nella capitale britannica sono rappresentate da 4200 atleti di 160 Paesi impegnati in 20 discipline. Un incremento non solo numerico ma anche di una estesa cultura dello sport agonistico che, è auspicabile, lasci alle porte sterili polemiche a vantaggio di una sana e “intelligente” competività.

Ernesto Bodini

(giornalista scientifico)

1 thought on “Paralimpiadi: una disciplina sportiva di cultura e “buon senso civico”

  1. Salve Ernesto,

    in quanto “polio survivor” ho frequentato, dal 1975 in avanti, dei cicli di rieducazione motoria presso il don Gnocchi di Torino. Fra una chiacchiera e l’altra i fisioterapisti mi dicevano che anche al don Gnocchi di Torino, fin dalla sua fondazione, si svolgevano attività sportive fra disabili: come dire veri e propri tornei di calcio fra gente che rincorreva un pallone… magari con l’auto di una stampella.

    Non so se avessero copiato dagli inglesi: fatto sta che lo facevano…

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