Perché leggere “Dettagli di un sorriso” (e “Non sto tanto male”) di Gianni Zanata

di Marcella Onnis

C’è chi la sera guarda Report in tv, c’è chi legge Non sto tanto male e Dettagli di un sorriso di Gianni Zanata. La differenza potrebbe sembrare notevole, ma lo è meno di quanto sembri: sia l’uno che gli altri raccontano, infatti, il marcio che si nasconde dietro il velo di rispettabilità o, perlomeno, di accettabilità che ammanta la nostra società. Stolto, infatti, credere che le vicende (compresa la discutibile gestione di un giornale) in cui si trova invischiato Valdo Norman, protagonista degli ultimi due romanzi di Zanata, non abbiano nessun appiglio con la realtà, soprattutto considerato che l’autore è anche giornalista. Certo, si tratta di opere letterarie e non di cronache, ma dice bene lo scrittore nei ringraziamenti finali  di Non sto tanto male: «La storia narrata in questo libro è una storia di pura fantasia. La realtà, si sa, è ben più folle». A metterci in allerta, però, è soprattutto questo passaggio del suo ultimo libro, Dettagli di un sorriso:
«Cagliari è una città che di bello ha una cosa: non mostra mai il suo lato peggiore. Dietro la maschera del falso decoro, si cela il volto della depravazione, dell’inganno e dell’ipocrisia.
[…]

Mi fanno ridere quelli che pensano che Cagliari sia una città diversa dalle altre. Quelli che pensano che certe cose a Cagliari non si facciano. Quelli che pensano che Cagliari tutto sommato non sia nemmeno una città meridionale. Quelli che pensano che a Cagliari la mafia non ci sia. Quelli che pensano che a Cagliari conti soltanto la massoneria.

Cagliari.
Cagliari è un confessionale per anime amletiche. Cagliari ha un cuore tarlato.
Cagliari si fa in fretta a capirla. Cagliari partorisce se stessa. Cagliari non sa dare risposte. Cagliari come una mela, croccante e acidula.
Cagliari che non basta il vento a portar via la puzza dei vigliacchi.
Cagliari che non è vero che c’è sempre il sole

(E qui cagliaritani e sardi tutti ringraziano l’autore per aver sfatato questo luogo comune.)
Dunque, dove sta la differenza sostanziale tra il “metodo Report” e il “metodo Norman”? Innanzitutto, nel fatto che il secondo denuncia le storture in un modo sicuramente più affascinante di un’inchiesta giornalistica; in secondo luogo, il “metodo Norman” consente eventualmente allo spettatore/lettore di placare l’ansia e salvaguardare il fegato rassicurandosi con un “suvvia, è solo finzione!”. Dettagli non di poco conto.

Ma veniamo a questo personaggio: Valdo Norman. Nel primo libro che lo vede protagonista capiamo da subito che è un tipo “geneticamente bastardo”, uno al cui confronto  il Mystery Shopper di Antonio Bachis è un gentiluomo.
Eppure, quando Valdo dice alla sua analista «[…] Siamo tutti diversi da ciò che pensiamo di essere. In fin dei conti, vorremmo essere un altro. […] Sono sicuro che c’è qualcun altro, in giro, […] che magari vorrebbe essere me.», per un attimo viene da rispondergli che ha ragione, che delle volte vorremmo proprio essere lui. Perché, ammettiamolo, le facce di bronzo come lui ci riempiono di sdegno, ma in alcune occasioni anche di invidia: loro sì che hanno capito come va il mondo e non si lasciano fregare; loro sì che tengono sempre il coltello dalla parte del manico; loro sì che cadono sempre in piedi; loro sì che non hanno rimorsi e non si fanno il sangue amaro per avervi diluito i non detti e i non fatti, loro sì che, anche in amore, riescono a conquistare le “prede” ambite … Fino a che Valdo non ne combina una delle sue o ricorda orribili gesta del suo passato e allora concludiamo che no, tutto sommato, preferiamo essere così come siamo. Tuttavia, bianco e nero non sono categorie adatte a giudicare gli animi umani, per cui anche l’essere più cinico, che magari ha compiuto pure qualche gesto imperdonabile, può racchiudere un nocciolo romantico e sensibile. E Valdo Norman non fa eccezione:
«Questa mattina, con una giornata così dolce, con il sole che piroettava in cielo, il balenio dei riflessi sul mare, e la fragranza dell’ambra aspersa sui vicoli della Marina, con i ricordi avvolti nei sortilegi, le parole mute, i gigli sul davanzale; questa mattina, con il vento che si diluiva nel lindore della quiete, nell’impasto salato di un pianto malinconico; questa mattina, mentre guardavo fuori dalla finestra, e dentro di me sentivo lievitare un germoglio di forza; questa mattina, che non era una mattina come le altre, perché le mattine come le altre le conosco bene, le mattine come le altre hanno l’odore acre dell’abbandono e il brivido triste dei rimpianti;
questa mattina, con una giornata così dolce, m’è venuto da pensare che, forse, tutte le cose brutte del mondo fanno parte di un unico sogno orribile.»

In Dettagli di un sorriso qualcosa cambia: c’è un’evoluzione del personaggio (che va a braccetto con  una variazione stilistica rispetto al libro precedente) che lascia sbalordito il lettore. Lungi da me anticiparvi come e perché, visto che uno dei maggiori pregi di questo romanzo sono i colpi di scena e l’intreccio, intessuto con un’apprezzabilissima tecnica, degna di film come Pulp fiction, The snatch, Revolver o Sin city. Vi anticipo solo che Valdo, come ha efficacemente sintetizzato una lettrice con cui ho scambiato qualche opinione, diventa “un personaggio socialmente inaccettabile”, uno che quando, con cinismo, schernisce chi usa espressioni come “il freddo mi intristisce, mi devitalizza” ci sta mostrando il suo lato meno stronzo. Uso questa parola perché sicuramente Valdo gradirebbe ancor meno del Mystery shopper aggettivi più educati. Il signor Norman, infatti, è uno che degli eufemismi non sa che farsene: questo il suo autore lo sa e gli attribuisce un linguaggio scurrile che potrà disturbare qualcuno, ma che è segno di abilità artistica poiché rispetta la “verità del personaggio” (quando mai, nella realtà, un tipo simile userebbe espressioni come “accidenti”, “prendere in giro”, “caspita”).

Concludendo, perché leggere Dettagli di un sorriso (e Non sto tanto male)?

Primo, per quanto detto inizialmente: per capire cosa si muove sotto pelle nelle nostre città.

Secondo, perché se – come la sottoscritta – avete una passione per i sorrisi, non potete perdervi l’ultima creatura di Zanata (ma, per guastarvela bene, vi consiglio di leggere prima l’episodio precedente) e le sue lezioni sul tema, come questa:
«I sorrisi sono come i pensieri: vanno interpretati.
Non un’interpretazione qualsiasi, così son capaci tutti.
Pensieri e sorrisi sono figli della stessa madre. Un sorriso alla rinfusa prima o poi fa una brutta fine, finisce per non essere più neanche un sorriso. I sorrisi non si regalano.
Io mi sono accorto di una cosa. Mi sono accorto che ci sono sorrisi senza dettagli, senza inclinazioni.
I dettagli di un sorriso, invece, sono importanti.

In genere diffido di chi sorride a metà.
Il sorriso a metà è un sorriso che lascia sospesi. Non un passo avanti, non un passo indietro.
Il sorriso a metà è il sorriso degli sposi davanti all’altare, tra nude lacrime e cocci di vetro.
Il sorriso a metà è il sorriso del mondo. Domande e rimandi di Dei senza sfondi. Il sorriso a metà è un sorriso già oriundo. La tela del ragno, la sonda del fiume, un errore rotondo.

I dettagli di un sorriso sono importanti.
»

Terzo, perché ci sono libri che non si propongono di insegnare qualcosa, eppure ­- neanche troppo tra le righe – di messaggi sulla società, sugli esseri umani, sulla vita ne contengono più di uno. Accade quando lo scrittore possiede grandi qualità. E Gianni Zanata di grandi qualità ne possiede molte: moderno nel rispetto delle proprie radici; brillante e sensibile ad un tempo; originale per istinto naturale e non per bisogno di apparire; talento da alchimista nel miscelare musica e letteratura; sguardo lungo ben oltre il proprio naso…
E questi no, che non sono dettagli.

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