L’angolo di Full: “In campana!”
Adelio, una faccia da sei pose per cinque euro e il fusto sottile come una tagliatella tirata a mano, era l’uomo giusto per il colpo: agile, sveglio, anonimo e, soprattutto, leggero come un sughero.
L’obiettivo, rigorosamente segreto, era l’assordante torre campanaria del Comune di Monte Tordo, ormai storpiato in Monte Sordo.
Il parroco, Campana Rovente, non sentiva ragioni. In ultimo aveva inchiodato all’ingresso della chiesa l’intero fascicolo di proteste, esposti e denunce a suo carico titolandolo “la posta del diavolo”.
Per quanto il campanone avesse frantumato vetri e timpani, le denunce non avevano mai oltrepassato la scrivania del Maresciallo locale la cui signora era la devota addetta agli addobbi della chiesa, col riconoscimento ufficiale della Curia che l’aveva nominata Stilista di Dio.
Campana Rovente replicava che la scala pericolante del campanile e la tirchieria dei parrocchiani non permettevano interventi di sorta. In realtà, grazie a una ricca donazione testamentaria, l’impianto campanario era stato totalmente computerizzato ed era proprio l’esiguità operativa a favorire la frenetica attività sonora del prete per il quale, urlare più forte, era un sacrosanto diritto delle minoranze quali sono, per l’appunto, i fedeli praticanti. Oltre a presiedere alla normale funzione oraria, il computer gestiva il movimento dei quattro bronzi per ogni sorta di scampanio: bastava premere il rispettivo tasto.
Capitò in una domenica di primavera, con gli alberi ancora in sottoveste, che il tasto relativo allo scatenato “concerto campanario di Salisburgo”, provocò un suono sincopato, morbido e pieno: una carezza per i timpani e per l’anima. Dapprima, il parroco paventò una momentanea sordità, magari un tappo di cerume, ma uscito di corsa sul sagrato, restò appeso ai sorrisi dei fedeli che giungevano per la messa e agli sguardi estasiati rivolti al campanile. Preso alla sprovvista, il prete giunse persino a ringraziarli dei complimenti e a stringere la mano alla Stilista di Dio che, d’acchito, s’impegnò per una nuova linea di addobbi in sintonia con quello scampanio delicatamente soft.
Durante la predica, Campana Rovente considerò, per la prima volta, che i “buoni ascoltatori” stanno pensando soprattutto ai fattacci propri: un riscontro che ridimensionava lui e i suoi sermoni e lo induceva a edificanti riflessioni, quali la differenza fra arroganza e garbo.
Quel giorno stesso, alla “Osteria del bue rosso”, tre uomini festeggiavano i profondi rintocchi di uno straordinario mezzogiorno. Adelio, sottile come una tagliatella tirata a mano, raccontava le sue acrobazie sulla fatiscente scala campanaria che cadeva a pezzi sotto i suoi piedi e brindava coi due progettisti dell’impresa, rispettivamente musicante e scribacchino locali: elementi che ogni paese vanta o subisce.
Il gongolante Adelio rifiutò il compenso pattuito per l’ardita impresa e s’accontentò del rimborso spese per le dodici bombolette spray di poliuretano espanso col quale aveva foderato la sonorità dei solenni bronzi.
Lo scribacchino aveva sfoderato la Parker e, rapito dall’ispirazione, magnificava sopra un tovagliolo, di traverso a uno sbaffo di vino rosso, la virtù del marcare il tempo senza sfregiarlo. “In ogni senso”, buttò lì a mo’ di chiusura.
Fulvio Musso