L’importanza dell’informazione tra pluralismo e competenza a garanzia dell’eticità tout court

Giornalismo, ieri e oggi

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

Trovo sempre una fonte enorme di informazioni dai quotidiani, periodici, riviste ed ogni altro che leggo, soprattutto libri. Mi dedico agli approfondimenti culturali ed artistici e alle problematiche sociali in genere, ma i miei interessi principali riguardano il settore medico scientifico e sanitario e, devo constatare  che nella maggior parte dei casi, la qualità dell’informazione nazionale è soddisfacente, fonte internet a parte… Ma in fatto di divulgazione quale la realtà piemontese? Da molto tempo nella Regione subalpina si ravvisa una cronica carenza di “voci” alternative (in questi ultimi mesi, ad esempio, due televisioni locali hanno sospeso le trasmissioni probabilmente a causa della crisi generale), capaci di promuovere la pluralità dell’informazione e garantire nel tempo l’indispensabile confronto ed eventuali ulteriori approfondimenti e scambi di opinione. Una carenza, probabilmente, non solo per mancanza di possibili imprenditori ma anche per la difficoltà di “resistere” a chi detiene il monopolio dell’informazione locale… crisi economico-finanziaria a parte. Eppure vantiamo antiche e valide tradizioni in ambito giornalistico (si pensi ad esempio che il quotidiano regionale “La Gazzetta del Popolo” ha vissuto per oltre un secolo: dal 1848 al 1983), ma in generale sono sempre meno, a mio avviso, i giornalisti di settore apprezzati (e non prezzolati) che meritano considerazione da parte dei lettori, sia dal punto vista tecnico-professionale che deontologico. In sostanza, c’è ragione di sostenere che ancora radicata è la “cultura” del nepotismo e del clientelismo più sfacciati che, a volte, condizionano negativamente i risultati dell’informazione, compresa l’obettività…

Ricordo un eclatante esempio di clientelismo (anche se lontano nel tempo, ma rende l’idea configurabile anche ai tempi nostri) che riguarda Mariolina Sattanino, ottima conduttrice del TG2 che, in una intervista rilasciata al quotidiano La Stampa il 22 agosto 1995, ha candidamente dichiarato di essere stata segnalata alla Rai grazie ad una raccomandazione di Pietro Sette, già presidente IRI. Ma a parte i casi di indiscutibile professionalità (da individuarsi nei circa 80 mila giornalisti iscritti all’Ordine nazionale) per i quali, se meritata, ci può stare qualche segnalazione personale, sono sempre stato convinto che in realtà non è una firma a rendere “importante” una testata giornalistica, bensì (per certi versi) il valore dell’argomento trattato (una volta gli pseudomini erano più ricorrenti). Una dimostrazione? Eccola. Si provi a far firmare per un certo periodo di tempo su un periodico locale e di bassissima tiratura un “autorevole” giornalista, e nel contempo si faccia firmare su una testata molto nota e di elevata tiratura un “emerito” sconosciuto, sia pur iscritto all’Albo. Il risultato è facilmente immaginabile! Questa considerazione è quella che io definisco “ipocrisia giornalistica” (o editoriale) di comodo, che va ancora al di là del mero opportunismo. Di questo passo potrebbe prendere forma il fenomeno dello “pseudo” giornalismo, e se così fosse lascio al lettore le ovvie deduzioni.

Inoltre, anche quando qualche lettore si permette di “rettificare” al giornalista (non free lance) quanto di inesatto ha scritto, l’unica risposta è un “no comment!”, od ancor peggio, un assoluto silenzio (che sa tanto di snobismo), per non parlare poi delle rettifiche pubblicate in scarsa evidenza! E questo, mi induce a dedurre che il pianeta dell’informazione è popolato da operatori di serie A,B,C…, tanto che a volte mi capita di leggere (soprattutto sui quotidiani in forma cartacea, e anche su testate on line) alcune inesattezze (firmate) sia in tema di fatti che di descrizioni tecniche che potevano essere evitate se gli articolisti avessero avuto, per così dire, l’umiltà di chiedere delucidazioni agli esperti in materia. Con questi esempi vorrei richiamare l’attenzione sull’importanza del rispetto delle competenze tematiche talvolta eluse dai quotidiani e dai periodici per le ragioni che tutti conosciamo, ma che non tutti hanno il coraggio di “denunciare” pubblicamente… Del resto ci vuole coraggio per alzarsi e parlare, ma ce ne vuole anche per restare seduti ed ascoltare! Si parla tanto della “Carta dei doveri del giornalista”, la quale potrebbe essere di utilità anche se solo morissero quelle scelte di comodo che, non solo mantengono inalterato il tasso di disoccupazione nella categoria dei giornalisti, con conseguente rafforzamento delle corsie preferenziali a discapito della corretta e puntuale informazione. Forse non tutti sanno che l’Editoria (giornalistica) è l’unica fonte che non compare quasi mai nelle inserzioni di offerte lavoro.

Fare giornalismo, o meglio, essere giornalisti, è certamente una grande responsabilità proprio perché è un mestiere, perdon, una professione indubbiamente utile ma sempre più difficile e impegnativa, soprattutto se di specializzazione, quella medico-scientifica in particolare che, in questi ultimi anni ha acquistato una grande centralità sociale direttamente proporzionale alla rilevanza che i mass media, e l’informazione in generale, hanno assunto all’interno della società post-industriale. Peccato che anche in questo campo, soprattutto in Piemonte (ma anche in qualche altra Regione), manchino iniziative imprenditoriali in grado di informare gli operatori di settore, ma anche tutti coloro che sono interessati alla divulgazione delle problematiche tecnico-scientifiche e sociali. Sarebbe quindi opportuno che anche  nella Regione subalpina sorgesse “coraggiosa” una figura votata al monopolio, avvalendosi di giornalisti magari da assumere tramite l’inserzione offerte lavoro (con il vantaggio degli sgravi fiscali)!

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