La filantropia della dottoressa Olga Villa
Ricordo di un medico umile e dal forte carisma umanitario
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
La “convinzione” di Ippocrate credo che sia stata ben appresa e messa in pratica dalla dottoressa Olga Villa, fondatrice dell’ospedale nello Zambia che oggi porta il suo nome. Dopo anni dedicati come medico al servizio del prossimo, sostenuta da una innata generosità ma anche da quel pragmatismo che è tipico di chi vuol proseguire un ideale ama misurarsi con i fatti: non per nulla è stata definita “Schweitzer in gonnella”. Poco incline a “recepire” titoli onorifici come quello di Cavaliere della Repubblica conferitogli dal presidente Pertini, alla dottoressa Villa stava più a cuore l’attività del suo ospedale fondato a Mandi, con la preoccupazione della continuità di questa struttura soprattutto al sopraggiungere della vecchiaia e della malaria che ne hanno segnato il fisico tanto da dover rientrare in patria. Olga era una donna particolarmente minuta, dallo sguardo acuto e una sensualità che ammalia e mitiga le imperfezioni del suo viso e della sua figura ossuta, a differenza delle tre sorelle. Era nata a Torino nel 1916 da una famiglia colta e abbiente: il padre era un violinista romagnolo, trasferitosi a Torino (divenuto secondo violino sotto la guida di Toscanini), la madre, una colta orfana svizzera tedesca. È una donna che passa inosservata, quando vuole, e questo le permette di divenire prima staffetta della Resistenza e in seguito medico di una brigata Garibaldi, la componente partigiana legata al partito comunista.
Si laurea a Torino nel 1940 lavorando alla tesi con il nobel Rita Levi-Montalcini. Dopo il conflitto viene assunta all’Olivetti per assistere i lavoratori nell’avveniristica azienda piemontese. In seguito si trasferisce in Svizzera dove lavora in un ospedale psichiatrico (probabilmente perché attratta dalle teorie dello psichiatra e psicoanalista austriaco Alfred Adler, 1870-1937). Nel 1951 fa ritorno a Torino. Fatica a trovare un lavoro che la soddisfi e accetta il ruolo di medico della mutua in Barriera Nizza. «Quella che vive in quegli anni – precisa Lorenza Salamon, scrittrice – non è la carriera di un medico di successo, né è costretta da particolari gratificazioni: non sente di appartenere alla società borghese intellettuale torinese del tempo né a quel modo di vivere. Pare che abbia sofferto per amore, ma a questo proposito non ci sono riscontri certi, anche per via della sua estrema riservatezza». Si avvicina ancora una volta al credo protestante e si rivolge all’associazione svizzera Mission Paris che si occupa di smistare medici e infermieri in missioni dimenticate dal mondo civile. Olga si rende disponibile a portare il suo aiuto in qualunque destinazione purché di lingua francese. Inizialmente la sua candidatura è ostacolata perché donna, non più giovanissima e senza alcuna esperienza all’estero né di organizzazione ospedaliera. Ma è determinata e nel 1965 ottiene un posto nella missione di Mwandi (Livingstone), un paese a sud dello Zambia, un dispensario fondato nel 1875 e dal 1884 protetto dalla protestante Mission Paris. Dopo non poche difficoltà (come la non conoscenza della lingua inglese e tanto meno del dialetto africano) raggiunge la destinazione. Ed è così che si “inventa” e realizza un ospedale qualificato che per i primi vent’anni manda avanti con l’unico sostegno di una infermiera scozzese e personale del posto. Oltre a curare i malati (per 120 posti letto) si prodiga nel reperire fondi per l’acquisto di materiale sanitario e apparecchiature elettromedicali. Pone le fondamenta di uno degli ospedali più efficienti della regione, e dà vita al primo e unico reparto di maternità di quell’area africana; inoltre riesce a formare alcuni infermieri fra i nativi. Uno dei pochi obiettivi che riporta con fierezza è proprio la costituzione del reparto maternità e, fra i primi compiti che si prefigge, c’è quello di insegnare alle africane a non partorire in piedi: in quella posizione è impossibile aiutare loro e i bambini, che spesso cadevano e morivano.
La vita al villaggio Mwandi è scandita dalla povertà, dalla siccità, dalla fame e dalla malaria che Olga contrae quasi subito, essendo molto fragile. Organizza l’ospedale applicando la disciplina impartitale dalla madre svizzera, sia per quanto riguarda l’igiene che la logistica e l’efficienza. «Fra le tante “insidie” che trova in Zambia – precisa ancora Salamon – vi è la varietà di credi religiosi che faticano a convivere; pertanto decide che all’interno della missione ogni mattina si celebri un culto diverso, e lei partecipa a ognuno senza ostacolarne alcuno». Non è dato sapere le difficoltà quotidiane che Olga deve fronteggiare tanto da non confidare nemmeno durante i rimpatri (uno ogni tre anni) a Torino; così come non si vanta dei successi ottenuti. Lavora con discrezione e umiltà, fino al 1983 quando, in occasione di una visita della sorella Isotta, ottantenne, si rompe un femore: Olga è l’unico medico della missione, gli infermieri non sono in grado di assisterla, si organizza così il viaggio di rientro in Italia. Arriva a Roma accompagnata dalla sorella, la quale manifesta i primi sintomi della malattia di Alzheimer, peraltro non ancora diagnosticata. Nel contempo è febbricitante, pesa 35 Kg., ha 68 anni. Giunta a Torino la dottoressa Olga viene ricoverata al CTO e operata. È stremata dalla fatica; lo Stato italiano non l’ha cautelata dei suoi diritti (dall’Africa non riusciva a pagare alcun contributo e quindi era priva di pensione) e Olga ha potuto contare solo sul sostegno della sua famiglia: per non pesare sui loro equilibri, chiede asilo alla comunità romana di Sant’Egidio dove viene accolta e assistita amorevolmente. L’elegante volto, sia pur segnato dalle prime rughe, è ritratto da alcune foto scattate prima della partenza da Torino per Roma. Si è spenta il 19 febbraio 2002 all’età di 86 anni. Nel 1985 ha ricevuto dal presidente Pertini il Premio Minerva (dedicato alle donne che si sono distinte); nel 1986 è stata nominata cavaliere della Repubblica da Francesco Cossiga. La pubblicazione del 2004 di Francesco Bori, “Per Olga Villa dottore in Africa. Le stelle dell’altro emisfero”, ne approfondisce la vita dedicata ai più deboli e più poveri, e che descrive con grande sensibilità.
L’articolista ha fatto diversi errori nella stesura del suo testo.
Sono da correggere diverse sffermszioni gratuite e fuorvianti oltre che errate.