L’ergastolo è troppo per una vita sola. La testimonianza dell’on. Laura Coccia
Riceviamo e pubblichiamo:
La lettera di Carmelo Musumeci era arrivata inaspettata, un grido di dolore pieno di speranza: esisto ancora venitemi a trovare, sono qui. Chi scrive è un ergastolano, uno che la giustizia degli uomini ha condannato a vivere chiuso in una cella, sempre con la valigia pronta a nuovi, improvvisi e devastanti trasferimenti. Sono quasi 23 anni che Carmelo è nascosto al mondo. Forse è l’ergastolano più famoso d’Italia perché in carcere ha studiato e ha preso la licenza media, il diploma e poi anche la laurea. Ha scritto quattro libri sulla realtà di un uomo ombra e, con il trascorrere di questo tempo infinito, la sua voce non è più stata solo sua ma anche quella dei 1500 ergastolani italiani che non hanno avuto la stessa capacità di lottare per affermare i propri diritti o, più semplicemente, che non hanno saputo arrivare dritto al cuore. Carmelo non ha smesso di battersi e adesso sa che non è solo.
Accettare l’invito è stato naturale.
Quando il cancello si è chiuso alle nostre spalle ci ha attanagliato un gran freddo, non solo metaforico. Ci attende la redazione di “Ristretti Orizzonti” la rivista del carcere sul carcere. Carmelo ci aspetta nel corridoio, fa gli onori di casa, è emozionato, barba e capelli appena fatti, gli occhi rossi.
Iniziamo a parlare. Non siamo lì per fare promesse sterili, ma per ascoltare e cercare di capire un mondo così lontano e diverso dal nostro, quello dei “cattivi”. Davanti a noi ne abbiamo tanti, ognuno con la sua storia, i suoi errori, i suoi sogni e le sue speranze. Sono semplicemente uomini. Uomini che hanno sbagliato, ma non per questo hanno perso la loro dignità e il diritto ad essere riabilitati.
Il freddo è pungente. Molti davanti a noi hanno berretti e guanti di lana.
Parla Carmelo. Prova a spiegare la vita dentro “l’Assassino dei sogni” come lo chiama lui, ci ricorda che i rivoluzionari in Francia avevano abolito l’ergastolo e mantenuto la pena di morte. Secondo lui erano più umani. Un colpo di ghigliottina e tutto finiva. Prova a spiegare l’ergastolo ostativo, quello che ti toglie la speranza in un domani, la certezza di non uscire mai più, finché morte non vi separi. Perché alzarsi la mattina? Lavarsi e mangiare. Che senso ha vivere ogni singolo gesto della quotidianità se domani sarà uguale a oggi e il 2014 sarà uguale al 2013? Perché fare i conti con la propria coscienza, cambiare, capire i propri errori, pentirsi, se tanto si deve morire in carcere? La Costituzione dice che la pena deve essere rieducativa, ma a quale fine se tutto l’orizzonte di un’esistenza si esaurirà tra le mura fredde di un carcere? Carmelo la descrive come una lenta e sadica agonia.
La legge prevede una possibilità di uscita: collaborare con la giustizia. Collaborare vuol dire mettere a repentaglio la vita dei tuoi cari, dei tuoi figli, costringerli a vivere lontano, con una nuova identità. Carmelo di fronte a questa offerta risponde deciso che non può e non potrà mai far scontare il suo errore ai suoi figli, perché questo non diventi una colpa da espiare fino alla settima generazione.
La Corte Costituzionale si è sempre pronunciata contro l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, ma qualche dubbio comincia a sorgere. Il 9 luglio 2013 la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha sentenziato che l’ergastolo senza possibilità di revisione della pena è una violazione dei diritti umani. L’impossibilità della scarcerazione è considerata un trattamento degradante e inumano contro il prigioniero e pertanto viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti umani. È evidente come questo non sia un tema facile, i punti oscuri sono molti, soprattutto perché noi, che viviamo dall’altra parte del muro di cinta ci sentiamo protetti, pensando che i cattivi sono rinchiusi per sempre, lontano dai nostri sguardi e dai nostri pensieri.
Prendiamo il caso di Carmelo che è in carcere dal 1991: chiunque di noi negli ultimi 23 anni ha cambiato il proprio modo di vedere qualcosa, di percepire il mondo, la politica, la vita e lo stesso è accaduto anche a lui. Noi non chiediamo che i vari “Carmelo” delle carceri italiane escano domani dagli istituti penitenziari dove sono rinchiusi, forse neanche dopodomani, ma vorremmo tramutare quella scritta “fine pena mai” in qualcosa di certo, numerabile, comprensibile, affinché torni in loro la speranza di un domani e un motivo per alzarsi la mattina.
Aldo Moro nelle sue lezione universitarie avvertiva gli studenti, ma forse anche il legislatore e i politici:
«Ricordatevi che la pena non è la passionale e smodata vendetta dei privati: è la risposta calibrata dell’ordinamento giuridico e, quindi, ha tutta la misura propria degli interventi del potere sociale, che non possono abbandonarsi ad istinti di reazione e di vendetta, ma devono essere pacatamente commisurati alla necessità, rigorosamente alla necessità, di dare al reato una risposta quale si esprime in una pena giusta».
Sono state presentate due proposte di legge alla Camera per la commutazione dell’ergastolo in pena certa una da Marazziti e l’altra da Speranza. Basta discuterle. Basta poco.