Le launeddas, il suono dell’anima della Sardegna
Può uno strumento musicale costituire un piccolo universo? Sì ed è il caso delle launeddas, “esplorate” a Ussaramanna durante un convegno incentrato sul connubio innovazione e tradizione.
L’8 agosto 2014 si è svolta a Ussaramanna, presso la Casa Zedda, la manifestazione “Suoni di Sardegna per la Sardegna”, che ha dato il la (si può proprio dire) ai festeggiamenti in onore di San Lorenzo.
La manifestazione si è aperta con il convegno “L’arte delle launeddas – L’utilizzo dell’innovazione per valorizzare la tradizione”, moderato con grande professionalità da Ottavio Nieddu. Il giornalista ha subito rimarcato la scelta coraggiosa e lodevole del comitato di San Lorenzo di inserire un simile evento nel programma della festa. Una scelta abbastanza inusuale ma, per Ussaramanna, fino a un certo punto, visto che – come ha ricordato Nieddu – dagli anni ’40 le launeddas hanno sempre fatto parte dei riti in onore di questo santo. Forte è, inoltre, il legame della comunità con il maestro Luigi Lai, al quale il paese ha anche riconosciuto la cittadinanza onoraria.
Andrea Rubiu, presidente del comitato per il 2014, ha fatto gli onori di casa e ringraziato Andrea Corona e tutti coloro che hanno sostenuto quest’idea. «Abbiamo voluto dare il giusto valore a quest’arte che è un simbolo della nostra Terra. Ma anche provare a innovare la tradizione, cosa veramente difficile». Difficile ma non impossibile, come poi ha dimostrato, in particolare, l’intervento del dott. Corona.
Oltre a illustrare come le nuove tecnologie possono essere messe a servizio delle musiche tradizionali, il convegno si proponeva anche di esplorare il lato emozionale delle launeddas, «la bellezza della trasformazione della canna che si fa strumento per accompagnare ogni momento della vita», per usare le parole di Ottavio Nieddu.
TESTIMONI DELLA STORIA DELLA SARDEGNA
E proprio il lato emozionale è stato quello più esplorato dall’intervento del primo relatore, il dott. Ermenegildo Lallai. Musicista, ricercatore, autore di più pubblicazioni sull’argomento e membro dell’associazione culturale Cuncordia a Launeddas, Lallai può essere considerato un’autorità in materia (anche se, probabilmente, per “spirito di servizio verso lo strumento” non si definirebbe tale). «Come viene vissuto oggi lo strumento? Cosa può dare ancora a livello emozionale?» gli ha domandato Nieddu. «Oggi se ne parla molto e questo ci fa veramente piacere» ha esordito, per poi aggiungere, però, che purtroppo «molte volte se ne parla a sproposito», ad esempio definendo le launeddas “una curiosità della Sardegna”: «non sono una curiosità, sono – come le hanno definite – “l’anima del popolo sardo”». Oppure c’è chi – compreso qualche launeddista – data in maniera assolutamente errata la loro origine: Lallai ha ricordato che esistono almeno da 3 mila anni, come attesta il ritrovamento di un bronzetto nuragico raffigurante, appunto, un suonatore di launeddas. Ma potrebbero essere più antiche poiché – ha precisato lo studioso – «i bronzetti riproducevano scene di vita consolidata». Inoltre, nel 1280, prima ancora dell’arrivo degli aragonesi nell’Isola, sono state censite tra gli strumenti allora conosciuti nel celebre codice musicale contenente le Càntigas di Santa Maria. Ciò ci fa comprendere – ha evidenziato Lallai – che «le launeddas sono parte importante della vita della Sardegna e testimoni della sua storia. Sono entrate nel nostro DNA». Ed è sicuramente anche per questo se «oggi sono uno strumento ancora vivo, che suscita emozioni e sentimenti».
DECADENZA E RINASCITA
Ma anche le launeddas hanno conosciuto tempi bui: il loro periodo di decadenza è cominciato negli anni ’20 – ’30 quando – ricordiamo che erano gli anni del fascismo – per organizzare eventi in piazza era necessario richiedere troppe autorizzazioni. Dopo la guerra, però, la situazione non migliorò a causa di una «ventata negativa di provincialismo che colpì tutta la Sardegna e i sardi»: «la televisione ci ha presentato una società molto diversa dalla nostra e ci ha portato a considerare poco importante tutto ciò che era sardo». Un fenomeno che – ha rimarcato ancora il dott. Lallai – ha toccato anche la lingua e che spiega perché persino lo Statuto della Sardegna non contenga alcun riferimento alla cultura locale, a differenza, per esempio, di quelli del Trentino Alto Adige e della Valle d’Aosta. Anche le istituzioni nazionali, del resto, ostacolarono il riconoscimento di questi valori. Lo studioso ha ricordato, in particolare, la vicenda della Legge regionale 15 ottobre 1997, n. 26, volta a promuovere e valorizzare la cultura e la lingua sarde (qui il testo storico), osteggiata dal Governo, in particolare, per aver previsto l’inserimento delle tradizioni locali nei programmi scolastici. Ed è proprio a causa delle resistenze interne ed esterne se oggi – ha rimarcato Lallai – ancora non esiste una vera limba comuna (cioè una lingua sarda parlata e compresa da tutti gli abitanti dell’Isola). Stupisce, quindi, ma non troppo scoprire che verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80 erano rimasti solo 5-6 suonatori di launeddas. Tali musicisti, peraltro, dovettero “convertirsi” alla fisarmonica per riuscire ad attrarre il pubblico e poter poi esibirsi anche con il loro strumento. «Dobbiamo a loro se questo strumento è sopravvissuto» ha affermato Lallai.
PRESENTE E FUTURO
È anche per onorare questo debito di riconoscenza che è nata l’associazione Cuncordia a Launeddas. I suoi membri si sono conosciuti durante un corso per imparare a suonare questo strumento che riuscì ad attirare ben 150 allievi. Terminata quest’esperienza, Lallai e i nuovi compagni di avventura si resero conto che per salvare le launeddas dall’oblio era necessaria una nuova interpretazione dello strumento: non più unicamente solista ma corale. Fu questa consapevolezza a far scaturire l’idea dell’associazione. Contemporaneamente, però, i soci cominciarono un’attività di «ricerca e valutazione delle launeddas come strumento di cultura» perché per molti erano, appunto, solo “una curiosità”.
Al giorno d’oggi esistono tanti launeddisti, anche giovani, ma – ha precisato il dott. Lallai – «per dare prosecuzione alle launeddas nel tempo, bisogna che anche i giovani comincino a fare uno studio sullo strumento che suonano. Ci deve essere una consapevolezza dello strumento, che è un simbolo». Altro ostacolo da superare sono le «vecchie abitudini come le gelosie tra suonatori, che non possono esistere. Chi ragiona così non è amico delle launeddas; chi ragiona così lavora per distruggerle».
Da segnalare, inoltre, che per tanto tempo si è dibattuto sull’origine geografica dello strumento, solo di recente definitivamente assegnata al paese di Villaputzu.
L’ARTE DI COSTRUIR LAUNEDDAS
Dalla «visione romantica» di Lallai – come l’ha definita Ottavio Nieddu – si è passati alla visione “pratica” dell’ing. Giulio Pala, altro membro dell’associazione Cuncordia a Launeddas. Grazie al suo intervento di tipo tecnico, è stato possibile apprendere, innanzitutto, che secondo la classificazione organologica più moderna le launeddas rientrano nella classe degli aerofoni, ossia degli strumenti a fiato, in cui è l’aria a vibrare e produrre il suono. In particolare, si tratta di un aerofono a tubo vibrante e ad ancia semplice battente. Per la precisione, abbiamo a che fare con un triplo clarinetto in quanto ognuna delle tre canne che compone lo strumento ha una lamella vibrante. Le launeddas sono, però, una famiglia di strumenti: come ha chiarito Pala, ne esiste, infatti, un centinaio di tipi diversi, che variano anche per grandezza.
Suonare le launeddas è complicato («sono uno strumento faticoso», ha affermato nel suo successivo intervento il dott. Andrea Corona), ma non meno lo è fabbricarle. «Per poterle costruire bisogna un minimo saperle suonare» ha precisato l’ing. Pala, che prima ha imparato a far questo, poi a crearle.
Le materie prime sono la canna, lo spago e la cera, tutte cruciali, anche se la scelta più difficile è quella delle canne. Queste devono, infatti, essere tagliate in un determinato periodo dell’anno (da dicembre a marzo) e si dice anche – ma non è un fatto scientificamente provato – che il taglio dovrebbe avvenire con la luna piena. Anche il tipo di canna e la stagionatura, inoltre, fanno la differenza. Per le ance e la canna più lunga (su tumbu) si usa la canna comune (o femmina), presente in tutta la Sardegna; per le due canne melodiche (mancosa manna e mancosedda), invece, si usa la canna maschio, più sottile e resistente, ma meno diffusa.
La fase più difficile della costruzione – ha spiegato Pala – è quella delle ance perché è alto il rischio che si spezzino. Ma non meno complesso è accordare il suono delle tre canne, anche quando singolarmente suonano bene.
Se canna e cera non sono mai state sostituite, per lo spago si usano, invece, oggi materiali diversi (di norma, quelli usati dai calzolai che, in passato, erano spesso anche costruttori di launeddas). Sono, inoltre, cambiati gli strumenti utilizzati per costruire lo strumento: accanto agli strumenti tradizionali – ha spiegato ancora l’ing. Pala – hanno fatto il loro ingresso alcuni utensili moderni, tra i quali il bisturi.
Nelle foto, il tavolo dei relatori del convegno e un momento dell’esibizione dei Cuncordia a launeddas, che ha chiuso la manifestazione