La Sclerosi laterale amiotrofica si può diagnosticare precocemente

primo piano di Adriano Chiò

All’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino

Scoperta e descritta oltre un secolo fa, e precisamente nel 1869 dal neurologo Jean Martin Charcot (1825-1893), e definita con questo nome cinque anni dopo nel 1874, la SLA è una malattia neuromuscolare degenerativa che “blocca i muscoli e lascia libera la mente”. Oggi i progressi non mancano: dai geni responsabili alla facilità di diagnosi. Per saperne di più abbiamo intervistato il neurologo prof. Adriano Chiò del Centro Esperto SLA (CRESLA), Clinica Neurologica II, Dipartimento di Neuroscienze “Rita Levi-Montalcini” dell’Università subalpina.

 

di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)

 

primo piano di Adriano ChiòProf. Chiò, la ricerca sulla SLA è in continua evoluzione: dalla identificazione dei geni responsabili della malattia, come il SUNC 1, il C9ORF72 e il Matrin 3, ora si è giunti ad una metodologia di imaging per la diagnosi precoce. In cosa consiste?

“Si tratta di uno studio eseguito mediante tomografia ad emissione di positroni (PET) con un tracciante radioattivo di uso comune (glucosio marcato con Fluoro 18), che permette di identificare la malattia in una fase precoce, ossia non in fase preclinica ma in soggetti che già hanno dei sintomi iniziali della malattia stessa”

Come si è giunti a questo progresso diagnostico?

“Si è trattato di uno studio piuttosto ampio con 195 pazienti affetti da SLA e 40 (controlli) non affetti dalla malattia, che è consistito in un confronto con una complessa metodica matematica eseguita al CNR di Roma dal dott. Marco Pagani e all’IRMET di Torino dalla dott.ssa Angelina Cistaro, che ha permesso di identificare un algoritmo diagnostico tale da raggiungere una sensibilità del 95%. Percentuale notevole se si considera che in Medicina non è molto facile raggiungere il 100%”

Quali specialisti vi hanno partecipato?

“Soprattutto medici nucleari come la dott.ssa Angelina Cistaro dell’Irmet di Torino, e il medico nucleare Marco Pagani che si occupa in particolare delle elaborazioni matematiche; oltre al Gruppo del CRESLA di Torino (diretto da me) che si occupa dei pazienti sia a livello assistenziale sia a livello di ricerca”

E quali le prospettive una volta fatta la diagnosi precoce?

“Questa è un bella domanda! Poiché al momento sono disponibili poche terapie apparentemente avere una diagnosi precoce non dovrebbe essere molto utile… In realtà, pur avendo poche terapie, prima si iniziano meglio è e questo significa “guadagnare” già 4-5 mesi rispetto ad oggi. Inoltre, questo permette di introdurre prima i pazienti negli studi terapeutici; e un’altra ragione è di tipo psicologico in quanto il paziente spesso rimane per mesi in osservazione in attesa di una diagnosi certa, ma oggi con questa metodica possiamo abbreviare sensibilmente i tempi: ricevere una diagnosi è sempre meglio di rimanere nell’incertezza”

Oltre all’Italia quali sono i Centri internazionali particolarmente impegnati sul fronte della ricerca?

“In Europa esiste un Gruppo, l’ENCALS (European Network for the Cure of ALS) che include una ventina di Centri tra i quali Francia, Germania, Belgio, Olanda, Irlanda, Gran Bretagna, Svezia, che lavorano in strettissima collaborazione tanto da formare una vera e propria Rete, con l’obiettivo di giungere a una terapia”

La ricerca è più orientata sulla causa genetica e famigliare oppure anche su altri fronti?

“Attualmente la ricerca è molto più orientata sulla forma famigliare perché è molto più semplice fare ricerca genetica e quindi ottenere risultati più attendibili. Sulle altre possibili cause, come ad esempio quelle ambientali, è tutto molto più complesso. Il Gruppo europeo ENCALS ha in corso un grande progetto (finanziato dalla Comunità Europea) per cercare di capire le cause ambientali e, a questo riguardo, si stanno raggruppando 3 mila casi per il relativo studio”

Oltre al sostegno finanziario di cosa ha bisogno la Ricerca?

“Anzitutto il superamento di ostacoli burocratici. Noi abbiamo un ottimo rapporto con il nostro Comitato Etico, mentre in atri casi la realtà è spesso diversa e, su questo, credo che si debba lavorare molto soprattutto nell’agevolare le “facilites”, ossia l’utilizzo di mezzi e strutture”

L’esordio di questa patologia a quale età si manifesta generalmente?

“L’età media è tra i 60-70 anni, ma purtroppo vi sono casi colpiti in età più giovane (30-40 ann), come esistono casi colpiti in età più avanzata”

Qual è la differenza tra la forma famigliare e quella sporadica?

“Sul piano clinico le due forme sono uguali. L’unico modo per “stabilire” la differenza è sapere se c’è una storia famigliare o di demenza frontotemporale, perché le due malattie si presentano contemporaneamente nelle famiglie e questo ci permette di fare una diagnosi di forma famigliare. Diversamente, si ricorre alla genetica per la ricerca dei geni al fine di individuare la forma famigliare; ma sul piano strettamente clinico, ripeto, non ci sono differenze”

Quanti sono i soggetti affetti da SLA sia in Piemonte che in Italia e nel mondo?

“In Piemonte, in base al registro epidemiologico (che è stato riconosciuto come registro sanitario di alto interesse regionale) vi sono circa 400 pazienti, con 120-140 diagnosi all’anno; in Italia sono circa 5 mila pazienti e circa 1.500 nuove diagnosi all’anno. Non ci sono dati affidabili a livello mondiale, mentre in Europa sono 60-70 mila e negli Stati Uniti-Canada sono circa 30 mila; e poco si sa dei casi nel Terzo Mondo (uno dei grandi “vuoti” per la ricerca sulla SLA)”

Ci sono i presupposti per sperare in tempi più brevi per una terapia se non definitiva, almeno che ne rallenti il decorso?

“Si stanno facendo molti studi a riguardo, sia per capire la causa tanto dal punto di vista genetico che da quello farmacologico, e di altro tipo. Ed è difficile dare dei tempi, però l’idea nostra è che ci stiamo avvicinando molto perché la quantità di informazioni che si ha della malattia è tale che dà buone speranze…”

Quando in un paziente viene diagnosticato con certezza la SLA come reagisce solitamente?

“È evidente che la reazione è immaginabile… Se il paziente viene preso in carico da un Gruppo multidisciplinare ed in modo “opportuno” il più delle volte ne prende atto in modo del tutto cosciente, ma se viene fatta in modo “sbagliato” il paziente è “distrutto”. Il malato di SLA è un paziente “meraviglioso” che, nonostante la gravità della sua malattia, molte volte ha una grande serenità nell’affrontare il decorso della stessa, e questo è anche d’aiuto per noi operatori sanitari”

In questi pazienti la depressione può favorire ulteriormente la riduzione delle difese immunitarie?

“Sicuramente altera la malattia e il decorso è più veloce. È quindi importante trattare anche la depressione. Noi abbiamo un Gruppo di psicologi che seguono i pazienti e anche i loro familiari in quanto il coinvolgimento è di tutta la famiglia”

Attualmente con quali farmaci viene “controllata” questa malattia?

“Con il Riluzolo, un farmaco che ne rallenta l’evoluzione. Stiamo utilizzando inoltre la N-acetil-Carnitina che si è dimostrata efficace nel rallentare ulteriormente la malattia, grazie ad uno studio dell’Istituto “Mario Negri”; ed altre sperimentazioni sono in corso, oltre al trattamento logopedico, fisiokinesiterapico e l’adozione di vari presidi sanitari per il sostegno e la mobilità”

Quali sono le Strutture sanitarie preposte all’assistenza di questi pazienti?

“In Italia abbiamo una Rete di Strutture che sono i Centri SLA riconosciuti dagli Organismi che si occupano delle malattie rare. In Piemonte sono presenti a Torino e a Novara. Ulteriori informazioni sono fruibili sul sito web dell’AISLA”

I mass media riportano sovente che la SLA è una malattia soprattutto degli sportivi. È un luogo comune da sfatare?

“Ritengo di sì perché è da precisare che gli sportivi hanno più facilità ad avere la malattia, ma in realtà la maggior parte dei pazienti con SLA non sono sportivi…”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *