Anche “Le Firme dell’Unione” a favore della donazione di organi e sangue
I giornalisti-scrittori Abate, Muroni, Picciau, Pisano e Tabasso hanno presentato a Monserrato la collana editoriale “Le Firme dell’Unione”, pubblicata dall’Unione sarda. Il ricavato delle vendite della serata andrà Aalle onlus Prometeo Aitf e Thalassa azione.
Ieri, 10 settembre 2014, si è tenuta a Monserrato la presentazione de “Le Firme dell’Unione”, una serie di sei volumi scritti da giornalisti-scrittori dell’Unione sarda, che è anche editrice della collana: “Il sangue della festa” di Anthony Muroni, “La verità imperfetta” di Giorgio Pisano, “Il cattivo cronista” di Francesco Abate, “Racconti e letture” di Flavio Soriga, “Forse non fa” di Celestino Tabasso e “Le carte del re” di Pietro Picciau.
Il principale quotidiano sardo e le sue “Firme” hanno accolto l’invito delle associazioni Prometeo AITF Onlus e Thalassa Azione Onlus a sostenerle nella loro attività di promozione della donazione degli organi e del sangue. Un invito che – diamo a Cesare quel che è di Cesare – è stato accolto con grande generosità: non solo hanno partecipato all’evento ben cinque degli autori pubblicati nella collana (Soriga era assente in quanto, per motivi di lavoro, si trova a Roma), ma l’Unione sarda ha anche donato cento copie di ognuno dei volumi alle due onlus che, con il ricavato delle vendite della serata, potranno finanziare parte dei loro progetti.
Ed è proprio il caso di dire che l’unione fa la forza, visto che a rendere possibile questo risultato non è stata solo l’omonima testata ma l’apporto congiunto di più partner: oltre a quelli già citati, l’Amministrazione comunale, l’associazione Linea M, la Mediateca di Monserrato e il gruppo Facebook “Sa Passilada de Pauli”.
SALUTI E RINGRAZIAMENTI
A prendere per primo la parola nella gremita sala multimediale del Municipio di Monserrato è stato Giuseppe Argiolas, presidente della Prometeo AITF Onlus, associazione che rappresenta i trapiantati di fegato e pancreas della Sardegna. Per prima cosa, il presidente ha voluto ringraziare l’Unione sarda, gli scrittori-giornalisti presenti (in particolare Muroni, nel duplice ruolo di autore e direttore del giornale) e l’Amministrazione comunale per il supporto dato alla promozione della donazione degli organi e del sangue. Argiolas ha poi annunciato che nei prossimi giorni i comuni di Monserrato e Assemini – seguendo l’esempio di altri comuni sardi quali Cagliari, Carbonia, e Iglesias – firmeranno un accordo con la asl per rendere possibile la registrazione della volontà di donare gli organi post-mortem presso l’Ufficio anagrafe.
Che il comune di Monserrato sia sensibile a questa causa è cosa nota, ma il sindaco Giovanni Argiolas ha voluto ribadire che l’Ente da lui guidato crede fortemente nella promozione della donazione. Il Primo cittadino ha anche sottolineato il fatto che, a fronte di un obiettivo condiviso, le risposte concrete del volontariato e della società civile sono sempre più rapide di quelle della politica.
Giunti all’intervento del presidente di Thalassa Azione, associazione che rappresenta i sardi con talassemia, non sono mancate battute e risate: si trattava, infatti, del terzo Argiolas (Ivano) di fila. Tutti e tre monserratini, ma senza alcuna parentela se non quella “d’anima” data dalla condivisione del valore della donazione e, più in generale, della solidarietà. Dopo aver ringraziato tutti, compreso il pubblico, Ivano Argiolas ha spiegato che la loro associazione è relativamente recente e che fino a tre anni fa i malati di talassemia si vergognavano di uscire allo scoperto e di far conoscere il loro bisogno di cure e di sangue. Poi, fortunatamente, hanno preso coraggio, trovando sostegno in altre associazioni come la Prometeo e nei media locali, sia tradizionali che moderni, come le testate on line.
Su invito del presidente dell’associazione di trapiantati, ha fatto il suo saluto anche il prof. Carlo Carcassi, coordinatore del Centro regionale trapianti: «Gli Argiolas sono dei bulldozer della donazione» ha affermato ridendo, per poi aggiungere che comunque ciò è un bene. Carcassi ha evidenziato come donare il sangue sia una scelta relativamente più semplice, perché si può metter in pratica in vita, mentre gli organi (eccetto che i reni) si donano da morti. Per tale ragione ha invitato tutti a prendere questa decisione per tempo, nel corso della propria vita, non lasciando che questo drammatico onere si riversi eventualmente sui nostri parenti. E, a questo proposito, ha rimarcato l’utilità sia dell’istituzione dell’anagrafe dei donatori presso i comuni che del semplice discutere di questi temi.
PISANO E “LA VERITÀ IMPERFETTA”
A fare da conduttore della serata, confermandosi un vero mattatore, è stato Celestino Tabasso, che ha cominciato il giro di interventi con il collega più anziano: Giorgio Pisano, uno dei migliori giornalisti che la Sardegna possa vantare. Il suo romanzo, “La verità imperfetta”, racconta un reale fatto di cronaca nera avvenuto decenni fa, uno di quelli definiti cold case. Da qui la prima domanda di Tabasso: «Perché andare a turbare un passato sul quale si stava già depositando la polvere? Perché violare il diritto all’oblio, ora riconosciuto anche dai giudici e da Google?» Pisano ha spiegato così l’utilità di questa storia, peraltro suggerita dal titolo del romanzo: «Dimostra che la verità non è affatto quella che appare. Alla fine della lettura, dovremmo fare altre valutazioni, senza tradire l’esito della vicenda giudiziaria». Come afferma in queste pagine, infatti, «[…] la verità processuale non coincide necessariamente con la verità storica.»
L’autore ha raccontato che la protagonista della vicenda è ancora viva e che quando lui, fascicolo sottomano, l’ha contattata per spiegarle che intendeva raccontare questi fatti che la riguardavano, ha reagito con irritazione e timore: «Allora è vero che i giornalisti sono delle carogne!»; «Ma il diritto all’oblio lo rispettate?». Reazioni comprensibili e legittime che, peraltro, l’autore ha riportato anche nel libro: «Ho capito che lei sa tutto, che ha il fascicolo processuale sottomano, che si prepara a scatenare un terremoto. Un terremoto privato, però: in fondo, sto pagando perché il giornalismo d’oggi ha bisogno di fare il becchino per vendere qualche copia in più, esumare vecchie salme per conquistare lettori»; «[…] non le nascondo che ho paura. Lo ha detto anche papa Francesco: le parole possono uccidere. Si riferiva al pettegolezzo, alla calunnia. Ha scordato di aggiungere che pure la verità è in grado di uccidere: basta saperla condire come si deve». A tali parole, per di più, danno man forte alcune pesanti affermazioni del narratore-autore sul giornalismo di ieri e di oggi, in particolare questa: «[…] la cronaca di oggi, a mio parere, più che raccontare preferisce raccattare, più che riferire ama spiare, cercare con insistenza un particolare possibilmente torbido per fare colpo sui lettori e sul direttore del giornale».
Come ha vinto la ritrosia e la diffidenza della protagonista della sua storia? Con quello che Pisano stesso ha definito un «ricatto sentimentale»: assicurandole che avrebbe modificato date e nomi in modo che lei stessa non si sarebbe riconosciuta nella storia narrata. A lavoro concluso, ha affermato l’autore, «credo che sia stata felice perché aveva bisogno di parlare di questa storia». Del resto, è stato di parola, come dimostra il fatto che «fino ad oggi nessuno ha scoperto di chi si tratta e, soprattutto, ai lettori di questo non importa nulla». Ed è bello sapere che, per una volta, istinti ed esigenze più “alte” hanno avuto la meglio sulla morbosità di cui normalmente facciamo ampio sfoggio davanti a un fatto di cronaca nera.
Ricollegandosi alla “avversione” che Tabasso nel suo libro manifesta per i noir (in particolare per quelli ambientati in città cui l’autore cambia il nome, ma rende chiaramente identificabili come Cagliari), Pisano ha voluto fare una precisazione: «Il mio libro non è un noir: è una storia un po’ più ampia, raccontata con il ritmo della cronaca, senza digressioni letterarie. Così ho fatto anche con gli altri libri che ho scritto».
Due cose si possono rimproverare a questo autore: la prima è di aver, con questo libro, confuso un po’ le idee su difesa d’ufficio e gratuito patrocinio (oggi sostituito dalla difesa a spese dello Stato), che sono due istituti diversi. Peraltro, potrebbe forse contribuire a rafforzare la convinzione che i difensori d’ufficio, a differenza di quelli di fiducia, non siano avvocati capaci e/o non si impegnino a sufficienza per i loro assistiti. La seconda è di aver affermato «Non sono uno scrittore, sono un cronista»: questo bellissimo romanzo dimostra, invece, che Pisano è entrambe le cose. Per giunta, in un caso e nell’altro lo è ad alti livelli. Cosa rara, anche se molti diretti interessati non se ne avvedono.
PICCIAU E “LE CARTE DEL RE”
Il secondo autore chiamato in causa è stato Picciau che, stando a quanto raccontato da Tabasso sulla sua inclinazione per gli studi letterari e le ricerche storiche, è apparso un po’ come il “secchione” del gruppo. Le ricerche storiche stanno alla base dell’avvincente romanzo “Le carte del re”, per cui leggerlo – ha affermato l’autore – «è come frugare nella nostra memoria storica», intendendo con “nostra” quella dei sardi. La storia narrata parte, infatti, con la morte del giudice Giommaria Angioy, uno degli eroi della rivolta che, a fine Settecento, portò alla cacciata dei piemontesi dall’Isola. Purtroppo, però, questa rivendicazione di dignità si rivelò una breve fiammata: «abbiamo perso una sfida, una grande occasione», «siamo stati straordinari nella cacciata, ma quattro mesi dopo abbiamo accettato che un nuovo Viceré, più inetto del precedente, attuasse la Restaurazione molto prima che ciò avvenisse nel resto d’Europa» ha evidenziato l’autore. Ma si sa che noi sardi siamo dei professionisti delle occasioni mancate come dello scaricare su terzi (l’invasore di turno, per la precisione) la responsabilità di tutti i nostri mali, compresi quelli direttamente causati dalla nostra inettitudine.
«Il mio desiderio – ha spiegato Picciau – era incorniciare la vicenda storica dentro un romanzo avventuresco, elemento tipico del romanzo storico». Sotto la cortina della finzione letteraria, dunque, è possibile ritrovare in queste pagine un ritratto del giudice Angioy, che «non era un rivoluzionario ma un illuminista», e della Cagliari dell’epoca, «che era al centro di interessi e pulsioni e che aveva protagonisti informati sui fatti», in particolare su quanto stava avvenendo in Francia. Nella città, ha spiegato ancora Picciau, «c’era una vitalità straordinaria. Il porto era frequentato da bastimenti svedesi, spagnoli… e c’era anche un covo di pirati di rara efficacia».
Nel secondo e breve giro di domande, Tabasso ha domandato al collega quale feudalesimo combatterebbe oggi Angioy e la risposta è stata immediata: «Quello che sta combattendo l’Unione sarda questi giorni». L’applauso del pubblico è scattato prima ancora che confermasse di star parlando delle servitù militari.
Qualcosa da rimproverare a Picciau e al suo libro? Troppi refusi per un romanzo che, per stile e trama, merita sicuramente attenzione.
ABATE E “IL CATTIVO CRONISTA”
Giunto il suo turno, Abate ha divertito il pubblico raccontando i dettagli di un episodio narrato ne “Il cattivo cronista” e realmente accaduto proprio a Monserrato, all’epoca in cui, per conto dell’Unione sarda, si occupava di cronaca.
Come un po’ suggerisce il titolo, questo libro offre un’immagine sconcertante e destabilizzante del lavoro del cronista, raccontato con sguardo forse anche più cinico di quello di Pisano. Ed è inevitabile per il lettore reagire con interrogativi e diffidenze simili a quelli della protagonista de “La verità imperfetta”. Ma davvero i giornalisti sono carogne? Sì, no, ni, dipende… Ognuno si faccia pure tutte le domande e sia dia pure delle risposte purché, però, non scordi che il mercato – compreso quello editoriale – offre ciò che il pubblico stesso vuole.
Da un punto di vista prettamente letterario, il romanzo ha forse un minor impatto emotivo rispetto, ad esempio, a “Getsemani” o “Un posto anche per me” (“Chiedo scusa” è un unicum e non può essere paragonato ad alcun altro libro di Abate), per cui viene forse da consideralo meno bello di questi. Sbagliato sarebbe, tuttavia, pensare che non sia anche questo un valido romanzo: vi si ritrova, infatti, non solo tutto lo spirito di osservazione e l’ironia di questo scrittore, ma anche la notevole tecnica narrativa e la sobrietà della scrittura che caratterizzano la sua firma tanto quanto l’umanità che sa infondere ai suoi personaggi.
MURONI E “IL SANGUE DELLA FESTA”
Riallacciandosi a una delle affermazioni di Pisano, Anthony Muroni ha esordito con un «Io davvero non sono uno scrittore e non so neanche quanto sono giornalista». Ma che lo sia, anzi, che sia un Giornalista non v’è alcun dubbio.
Ne “Il sangue della festa” ha spiegato di aver voluto inserire esperienze maturate da bambino nel suo paese: «Ho visto situazioni che sembravano una barzelletta, ma non lo erano e, anzi, erano tragiche»; situazioni che avevano per protagonisti «persone ingenue ma genuine, che sono state una grande scuola di vita». «Ricordare queste storie per me è terapeutico» ha confessato, aggiungendo che gli piaceva l’idea di «dare a queste persone un tributo». Non volendo, però, scrivere «un libro leggero, stucchevole, ho deciso di inserirle in una storia ambientata non nel mio paese ma a Cividale del Friuli, una città bellissima, che sembra sospesa, fuori dal tempo e dallo spazio». In conclusione, ha aggiunto che scrivere il libro gli è piaciuto tanto ma che ancora di più gli è piaciuto «vedere l’accoglienza che ha avuto in questa città», un’accoglienza che – ha fatto notare a ragion veduta – è stata molto più benevola di quella che avrebbe avuto se avesse ambientato la storia in un paese della Sardegna.
Su domanda di Abate, nel secondo giro di interventi, Muroni ha poi chiarito la pronuncia e l’interpretazione del sottotitolo del suo libro: “Mortu in die nòdida”, che in sardo significa “ucciso in uno dei giorni più importanti”. Ossia, come ha spiegato l’autore, quando è in corso una faida, può accadere che chi deve ammazzare qualcuno decida di aggiungere una pena alla pena, negando ai familiare dell’ucciso anche il diritto a far festa.
TABASSO E “FORSE NON FA”
Giunti al turno di Tabasso, il ruolo di “intervistatore” non poteva che prenderlo Abate, cui lo legano non solo amicizia e lavoro ma anche lo stesso senso dell’umorismo. Su sua richiesta, dunque, Tabasso ha spiegato come sia arrivato a scrivere “Forse non fa (Dieci errori da non fare a Cagliari)”: «Il libro doveva essere una guida sensoriale di Cagliari e doveva scriverla lui», ha detto riferendosi al collega, ma aveva un contratto con Einaudi. Non potendo occuparsene personalmente, quindi, ha proposto all’editore (Caracò) di affidare il compito appunto a Tabasso, sostenendo che era bravo. Ma, ha confessato l’interessato, in realtà, lui non aveva mai scritto un libro.
A detta dell’autore, una delle parti più sensate di “Forse non fa” è quella in cui si sofferma sulla pronuncia corretta di Nuoro: “Nùoro” e non “Nuòro”, come dicono tanti “continentali” ma anche, purtroppo, molti sardi. Un’altra parte – davvero spassosa – su cui ci si è soffermati durante la presentazione è quella dedicata ai diminutivi in uso a Cagliari: Bibi, Cicci/Cici, Ninni… In proposito, Tabasso ha precisato che dovrebbe aggiungere un seguito per spiegare che «le nuove generazioni hanno la y». Vorremmo quindi informarlo che, perlomeno nel Medio Campidano, anche gli over 30 sono cresciuti a suon di “y” …e non riescono ancora a liberarsi da questa dipendenza.
Tra una risata e l’altra non è comunque mancato, anche da parte sua, il serio invito ad acquistare sul posto i volumi della collana «perché sovvenzionano una buona causa».
LA CHIUSURA DEL CERCHIO
Trapiantato e socio della Prometeo AITF Onlus, l’intervento finale non poteva che spettare ad Abate: «Questo evento nasce per supportare le nostre due associazioni. Noi siamo qui solo ed esclusivamente per supportare il lavoro che fanno, affinché non si fermino». E poi ha aggiunto: «Siamo qui anche per chi sta lottando al Brotzu e al Microcitemico» (ossia nei due ospedali che, a Cagliari, assistono, rispettivamente, i trapiantati di fegato e pancreas e i malati di talassemia).
Una degna conclusione per questa piacevole iniziativa culturale e solidale che ci ricorda che si può parlare con autorevolezza di argomenti seri anche senza essere seriosi.
Foto Giuseppe Argiolas