Intervista al neo chirurgo Emanuele Zavattero
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Classe 1983, piemontese, figlio di medico, è oggi specializzato in chirurgia maxillo-facciale, con una Tesi su “Comparison of the outcomes of complex orbital fracture repair with and without surgical navigation system. A prospective cohort study with historical controls” (Confronto dei risultati del trattamento delle fratture orbitarie complesse con e senza sistema di navigazione chirurgica. Uno studio prospettico di coorte con controlli storici), conseguendo la massima votazione con dignità di stampa. Ha superato il Concorso per avere il Dottorato di Ricerca in Tecnologie applicate alle Scienze Chirurgiche. Attualmente svolge attività di clinica ospedaliera nella Divisione di Chirurgia Maxillo-Facciale (centro di riferimento nazionale), diretta dal prof. Guglielmo Ramieri, all’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza di Torino. Esempio questo, che a mio avviso rispecchia non solo una scelta professionale di nicchia, ma soprattutto l’espressione di maturi intendimenti umani e professionali nei riguardi di un futuro dalle migliori aspettative per la Sanità pubblica.
Dottor Zavattero, perché medico?
“Molte scelte di vita avvengono per caso, ma la mia scelta è stata dettata da esempi di vita di persone a me molto care… Quando si cerca di emulare il pensiero di qualcuno a cui si tiene lo si fa anche nei gesti e nelle sue scelte, siano esse professionali o no”
Cosa ricorda dei primi anni del Liceo Classico?
“Ricordo il “terrore” che mi incuteva la statua di Camillo Cavour posta all’ingresso dell’omonimo Liceo, che identificavo nelle “impegnative” materie di Latino e Greco; ciò nonostante rifrequenterei lo stesso Liceo, una esperienza che assimilerei allo sport: ti piace dopo che l’hai fatto, non mentre lo pratichi”
Quali sono state le maggiori difficoltà durante il periodo accademico?
“A differenza dei miei colleghi la mia esperienza è stata quella di cercare la mia giusta strada riferendomi in particolare ai sei anni di università, perché scegliere di fare il medico vuol dire tutto ma anche niente… In quel primo periodo, che ha preceduto i cinque anni di specializzazione, si è trattato di capire se fare il medico oppure no. Personalmente la difficoltà maggiore è stata la scelta di fare il Chirurgo in alternativa a quella di Ricercatore”
Qual è stato, almeno all’inizio, il suo rapporto con lUniversità?
“Il mio approccio con l’Istituto è stato un po’ difficile perché per i primi anni le materie comprendevano poca clinica, e difficilmente riuscivo a confrontarmi; ma nel complesso devo dire che il rapporto è stato comunque appagante, forse perché ho potuto studiare e frequentare nella Facoltà dell’ospedale San Luigi di Orbassano (To), in quanto l’Ateneo a mio parere rispecchiava e rispecchia per certi versi quello americano”
Quale è stata la scelta (e perché) della Specializzazione?
“Durante il periodo accademico (i primi sei anni di Medicina) ho maturato il desiderio di fare il chirurgo perché volevo dedicarmi ad un’attività prettamente manuale, in abbinamento ad interessi intellettuali. Individuando l’orientamento per la chirurgia plurispecialistica come neurochirurgia, otorinolaringoiatria, maxillo-facciale, in quest’ultima ho trovato la massima espressione del mio agire professionale, trovando in essa alcuni riferimenti che sono stati finora i miei maestri”
Quanto sono servite le basi acquisite al Liceo per poi entrare in Università?
“Il Liceo Classico mi è servito molto in quanto in più occasioni mi sono trovato a riflettere su molte cose. Durante la frequentazione ho potuto studiare materie e sviluppare pensieri ancora attuali: il Latino e il Greco, ad esempio, sono state materie di grande aiuto”
Il suo ultimo percorso accademico, ossia quello della Specialità, ha richiesto molta pratica rispetto alla teoria?
“Sull’aspetto della pratica la nostra realtà accademica è un po’ carente rispetto a quella anglosassone o a quella americana. Se si vuol fare il chirurgo la pratica, anche iniziale, te la devi “procurare”, e questo perché è ancora troppo disgiunta da quella teorica, ma se ci si impegna si trova poi chi ti può aiutare a fare, e magari a fare di più…”
Dovranno passare ancora anni prima che possa dire: “Sono veramente un medico!”. Quali sono i suoi propositi in merito alla “particolare” specializzazione che ha scelto?
“In merito alla mia scelta ho intendimenti ambiziosi e volontà di intraprendere, con il proposito di rendere “routinarie” quelle che adesso sono considerate “piccole eccellenze”, e questo, andrebbe a vantaggio sia del chirurgo che del paziente. Ritengo che la mia sia un’idea democratica della Chirurgia ed in cui credo; del resto, non è possibile che l’eccellenza venga usata solo come vetrina, ma deve essere fruibile da tutti gli operatori e da tutti i pazienti, al fine di aumentare la sicurezza dell’intervento e la predicibilità di migliori risultati terapeutici”
Non cé da stupirsi che il primo momento di sconforto il medico lo abbia proprio lindomani della laurea. Le è capitato questo momento prima di iscriversi alla Scuola di Specializzazione?
“No, e questo più per fortuna che per altro, anche perché avendo già deciso cosa intraprendere, sono riuscito ad entrare subito in Specialità. Comunque, questa sensazione più di incertezza che di sconforto, l’ho avuta verso la fine del Corso quinquennale della specialità, ossia ero incerto se orientarmi verso l’attività pubblica o privata, e soprattutto in considerazione del fatto se restare in Italia o andare ad esercitare all’estero”
Oltre al rispetto della deontologia medica e ad un corretto comportamento etico, cosa è chiesto oggi al giovane medico?
“Di primo acchito distinguerei chi fa chirurgia da chi fa clinica medica. Dal mio punto di vista credo che l’attività del chirurgo che, per certi versi, definirei un po’ “ostile”, richiede molta passione, curiosità e disponibilità, ancor meglio se in buona collaborazione. A questo riguardo mi sovviene uno scritto di Michele Serra: “L’elogio del tempo da perdere”, un chiaro riferimento al percorso di poeti, cantautori e personalmente aggiungerei anche di chirurghi; come dire che all’inizio fare il chirurgo è stare ad osservare, ma in realtà non è tempo perso perché costituisce un investimento”
Quindi, quella del medico è una scelta di vita e anche un po’una missione. Come pensa di affrontare delusioni, insuccessi e magari anche attimi di sconforto?
“Ritengo che il mestiere di chirurgo è in parte “solitario”, e quando subentra lo sconforto egli è solo con se stesso, ma essendo il suo un percorso fatto di passione totalizzante, il più delle volte non mancano persone a lui di riferimento (colleghi, amici, familiari, gli stessi pazienti, etc.) che lo possono aiutare a risollevarsi e ad andare avanti”
Cosa prevede per il futuro della Sanità italiana, in considerazione del perdurare della cosiddetta spending riview?
“Anche se sono agli inizi della carriera noto che nella attività di “routine” ci sono delle carenze nel sostegno della professione: spesso chi decide non fa questo lavoro e non concepisce che non è possibile risparmiare su ciò che sono le necessità di base. Del resto oggi il progresso dimostra che la tecnologica è necessaria, ha un costo e deve essere garantita. Anche per questo un’attività specialistica può diventare un’eccellenza”