“Undici per la Liguria”: sei motivi per acquistarlo e leggerlo
Da circa un mese è disponibile “Undici per la Liguria”, antologia firmata da undici autori di casa Einaudi, “liguri, di nascita o adozione”: Ester Armanino, Giuseppe Conte, Ernesto Franco, Riccardo Gazzaniga, Maurizio Maggiani, Bruno Morchio, Rosella Postorino, Carlo Repetti, Ferruccio Sansa, Michele Serra ed Enrico Testa.
Ed ecco sei motivi (uno per ogni euro del suo modico costo) per cui val la pena acquistarlo e, naturalmente, leggerlo.
1. Perché con un modesto contributo consente di aiutare la scuola dell’infanzia “San Fruttosio” di Genova, danneggiata dall’alluvione dello scorso autunno. E che i nostri soldi arriveranno a destinazione ce l’assicura la seria e positiva esperienza dell’antologia “Sei per la Sardegna”, anch’essa curata da Marcello Fois, con cui Einaudi e i suoi autori sardi hanno contribuito alla ricostruzione della piazza di Bitti.
2. Perché il suo costo è inferiore al suo valore letterario: i testi sono, infatti, tutti di pregio (e non è un fatto scontato, soprattutto quando c’è l’urgenza di mettere in piedi un progetto benefico). Peraltro, quasi tutti i racconti sono a tema – legati, cioè, all’alluvione, alla natura e/o alla Liguria – e ciò rafforza l’intento solidale dell’iniziativa, donandole anche una dimensione “formativa”.
3. Perché, tramite “Angeli” di Maurizio Maggiani, ci ricorda che gli uomini possiedono doti positive, per cui, quando si manifestano, non dovremmo considerarle come qualcosa di straordinario, eroico, divino. Significativo questo passaggio, chiaramente riferito ai giovani volenterosi che hanno contribuito a ripulire la città e che sono stati subito ribattezzati “angeli del fango”: «E se vogliamo che siano angeli è perché vogliamo nel contempo che sia chiaro che non è cosa di questo mondo la gratuita generosità. Che non ci venga richiesta, perché non è cosa che appartiene all’umana natura. […] Stabiliamo che la regola del comportamento umano è l’inanità, l’irresponsabilità, l’egoismo. E ci benediciamo e ci assolviamo tutti quanti, e ci mandiamo a casa con tre Pater Ave Gloria a vedere in televisione come stanno andando le cose in questo maledetto mondo corrotto e infame».
4. Perché ci costringe a confrontarci con le nostre paure e la nostra vigliaccheria che ci portano ad augurarci che certi drammi non ci tocchino mai e a far finta che non ci riguardino, anche se accaduti a un passo da noi, come ci ricorda Ester Armanino con il suo racconto “Nessun rischio”. Restare indifferenti, non è accettabile: sarebbe presuntuoso, egoistico e irresponsabile. Non lascia, infatti, scampo la prefazione alla raccolta, che certamente molto deve a Marcello Fois: «La nostra condizione attuale è quella di una generazione che non può più voltarsi dall’altra parte. […] Piogge straordinarie, certo, imprevedibili., certo. Ma anch’esse rese più aggressive da scelte fatte in stagioni in cui l’attenzione e la prevenzione erano ritenute secondarie».
Ancora una volta “ce la siamo cercata” e solo per caso il cataclisma ha colpito una regione piuttosto che un’altra, una città piuttosto che un’altra, una casa piuttosto che un’altra: «L’acqua batteva sui vetri con la furia di cui è capace la natura quando viene provocata. È almeno un secolo che la provochiamo per renderci la vita più comoda, spostarci più velocemente, stipare la vita di beni irrinunciabili e accumulare profitti blindando la terra sotto una massiccia calotta di cemento e riversando nell’aria sostanze che la rendono torbida e infetta.» (da “Il postino suona sempre due volte” di Bruno Morchio). Bene faremmo, dunque, a tremare, sentendo le parole de “Lo spirito del torrente” cui dà voce Giuseppe Conte: «[…] continuano, io vengo matto a vedere che continuano … […] … ci sarà la resa dei conti, te lo dico io, chinerà il cielo sulla terra come alle origini, rotoleranno giù tronchi e fango, io e i miei fratelli diventeremo furiosi, diventeremo vandali, e spazzeremo via tutto, uccideremo, senza guardare in faccia nessuno […]».
5. Perché deve essere di tutti noi la domanda che si pone Michele Serra ne “L’impiegato di Biella”) e che «[…] è sempre la stessa: perché questo Paese non riesce a cambiare mentalità, abitudini, cultura sociale, neppure quando cambiano le condizioni oggettive del suo vivere? Neppure quando la crisi chiederebbe di ripensare, di ragionare, di cambiare?»
Puntare il dito su Tizio o Caio, su questo o talaltro errore non serve, perché, come ci ricorda la prefazione, «[…] le recriminazioni non servono, servono azioni efficaci.»
Quali soluzioni, quindi? Difficile trovarle, ma l’importante è che tutti cominciamo a fare qualcosa, seguendo la via indicata da Bruno Morchio ne “Il postino suona sempre due volte”: «Pentirsi, chiedere scusa, gettare la spugna sembra l’ultima chance che viene concessa alla politica. Di risolvere i problemi non se ne parla. Invece è magari di questo che abbiamo bisogno per salvare la città. Smettere di inseguire il facile consenso e cominciare a studiare le malattie e provare a curare. Cercare risposte immediate, concrete, possibili. Soluzioni che saranno parziali e non definitive, ma necessarie per non affogare ora. E dopo, con il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà, compiere uno sforzo collettivo per progettare il futuro. […] Non mi faccio illusioni: tutto ciò che può contrastare il male sarà parziale e non conclusivo. Perché ai guasti della denatalità, dell’invecchiamento, della deindustrializzazione e del dissesto ambientale non c’è rimedio che sia facile e prontamente efficace. E quello di cui avremmo bisogno è uno sforzo di ricostruzione nutrito di cultura, conoscenza e pazienza».
6. Perché il festival di Sanremo è finito, ma la Liguria ha ancora bisogno della nostra attenzione.