Tempi e modi delle riforme, ma la storia, si sa, è un movimento ciclico…
“Ed ora subito le riforme!”: questo il grido di battaglia di Carroccio e alleati (i rapporti di forza all’interno della coalizione ormai sono invertiti) all’indomani delle amministrative del 28-29 marzo.
La domanda nasce spontanea: ma cos’è cambiato dopo queste consultazioni? Quale dato nuovo renderebbe ora necessarie e possibili riforme che prima parrebbe non fossero attuabili?
“Il Pd adesso non ha più scuse!” dice la maggioranza.
Altro interrogativo: perché, è il Pd che sta al governo da 2 anni e che dispone di più della metà dei seggi nelle due Camere? Se c’è qualcuno che potrebbe aver finora cercato scuse, è proprio il centrodestra. È dalla sua discesa in campo, sedici anni fa, che Berlusconi sbandiera lo slogan del cambiamento, che agita lo spauracchio del presidenzialismo e annuncia la fine del bicameralismo perfetto. Ma, fino ad oggi, la parte seconda della Costituzione non ha sentito che un lieve prurito. Eppure, il potere e i numeri per dare il via al cambiamento li ha. Quindi perché questa attesa? Perché questo bisogno di interpretare come un lasciapassare i risultati di votazioni che, seppur rilevanti, non forniscono un quadro esaustivo degli umori dell’elettorato nazionale?
“Il popolo ci chiede le riforme”: ce lo ripetono ogni giorno i partiti della maggioranza, in primis il Pdl, costantemente in contatto con lo Spirito dei cittadini italiani. Come tutti sappiamo è lui, lo Spirito (cioè noi, la nostra essenza) a dettare l’agenda politica: oggi la giustizia, domani l’eutanasia, dopodomani di nuovo la giustizia, la settimana prossima l’aborto e il fisco, quella dopo di nuovo la giustizia (bisogna pure permettere a questo povero Presidente di lavorare!) …
È curioso, però, che scendendo in strada il popolo parli di impiego perduto, di pensioni che forse non riceverà mai, di una sanità zoppicante, dell’acqua che dovrebbe restare pubblica, delle università patrimonio dei baroni, degli ordini professionali che perpetuano i privilegi in danno dei nuovi arrivati oltre che dei clienti e via dicendo: quasi nessuno parla, invece, di forme di governo e di sistemi parlamentari. E questo accade non perché i cittadini siano tutti ignoranti, individualisti e poco lungimiranti, ma semplicemente perché hanno (abbiamo) delle priorità che, forse, non coincidono con quelle che i loro (nostri) governanti ci attribuiscono.
Tuttavia, nulla vieterebbe ai nostri rappresentanti di attivare più percorsi di riforma che, paralleli, interessino tanto questioni politiche quanto i temi economici e sociali che più stanno a cuore al’italiano medio.
Peraltro, anche riguardo alle grandi riforme, il centrodestra ha una posizione piuttosto bizzarra, vista l’intenzione di stravolgere tutto tranne ciò che, palesemente, costituisce un fallimento: l’attuale legge elettorale, forse l’unica al mondo a consentire che la vittoria venga assegnata ad una forza politica che, sostanzialmente, non ha vinto (pensate agli esiti delle politiche del 2006). Quella legge che, non a caso, i suoi stessi ideatori definirono a suo tempo “una porcata”.
Attualmente, infatti, l’unica vera preoccupazione di Berlusconi & friends è rafforzare l’esecutivo. Però, questo governo che è stato capace di portare avanti progetti fortemente innovativi (quali il federalismo tanto caro a Bossi o la riforma del pubblico impiego voluta da Brunetta), a cui non è mancato il coraggio di approvare provvedimenti contestatissimi (dall’opposizione e non solo) in materie particolarmente delicate (come la legge sul legittimo impedimento) e che non ha mai temuto lo scontro con gli altri poteri dello Stato (Presidente della Repubblica, Consiglio superiore della magistratura, Corte costituzionale …), tutto sembra meno che un organo dotato di strumenti deboli.
Forse qualcuno dimentica anche che quando i Padri costituenti optarono per la forma di governo parlamentare, non lo fecero a caso: a dettare questa decisione fu la consapevolezza che un esecutivo troppo forte può favorire svolte autoritaristiche, come accaduto col fascismo nel precedentemente assetto costituzionale.
Per qualcuno il quasi secolo trascorso da allora potrebbe sembrare un’eternità e per certi versi lo è, soprattutto quando si tratta di svecchiare sistemi e normative inadeguati al contesto attuale, ma ci sono scelte che, toccando l’essenza stessa di una Nazione, richiedono di essere accuratamente ponderate. E sotto questo profilo un secolo è ben poco. Non dimentichiamo che la Storia è un movimento ciclico …
Marcella Onnis