Scacco italiano alla morte improvvisa, guarita la sindrome di Brugada

Successo italiano senza precedenti al mondo nella lotta alle aritmie cardiache maligne responsabili della morte improvvisa, un fulmine a ciel sereno che solo nel nostro Paese uccide almeno 50 mila persone all’anno. Vite stroncate sul nascere, a volte sotto i riflettori di una partita di calcio come è successo al centrocampista Piermario Morosini, 25 anni, crollato in campo il 14 aprile 2012 al 31esimo minuto di Pescara-Livorno. Displasia aritmogena del ventricolo destro il nome del killer inchiodato dall’autopsia, una patologia genetica ‘cugina’ della Sindrome di Brugada che oggi trova alle porte di Milano una cura definitiva. Venticinque pazienti guariti, liberati per sempre dall’angoscia di svegliarsi ogni giorno sapendo di portare nel petto una bomba a orologeria. Vivono così oltre mezzo milione di connazionali, molti dei quali malati senza saperlo.

L’autore della scoperta destinata a entrare nella storia della medicina si chiama Carlo Pappone, nome ben noto alla comunità aritmologica mondiale: in curriculum 150 mila cuori operati, 295 pubblicazioni, 12 mila citazioni, impact factor superiore a 1.200. Beneventano, classe 1961, dal 1 marzo dirige l’Unità operativa di Elettrofisiologia e Aritmologia dell’Irccs Policlinico San Donato, inaugurata oggi alla presenza del governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni e del cardiologo spagnolo Josep Brugada. Nel 1992 è stato lui, insieme al fratello Pedro, a fornire sul ‘Journal of American College of Cardiology’ la descrizione più completa della sindrome che porta il cognome di famiglia e causa il 15-20% delle morti improvvise fra gli under 40.

E ora è proprio Brugada a firmare insieme a Pappone l’articolo della svolta, che apparirà in ottobre su ‘Circulation EP’ dopo un’anticipazione pubblicata in agosto sulla versione online della rivista. Una tecnica di ablazione ‘al bersaglio’, che con una corrente elettrica a radiofrequenza brucia selettivamente le cellule cardiache responsabili della patologia genetica ereditaria, dopo averle individuate attraverso un mappaggio elettromagnetico del ventricolo destro. Quattordici i pazienti protagonisti dello studio, maschi come praticamente tutti i malati di Brugada, età media 39 anni, già portatori di un defibrillatore impiantabile. Dal giorno dell’intervento (il primo è stato eseguito lo scorso novembre) hanno l’elettrocardiogramma normale e nessun segno clinico di malattia, e possono sperare nell’espianto del defibrillatore. I medici lo ritengono fattibile “dopo un anno senza sintomi e con Ecg normale”.

Per gli esperti non si può che chiamarla “rivoluzione”. La notizia, afferma Pappone, “sarà molto importante per tutti quei pazienti che, consapevoli di avere la Sindrome di Brugada, vivono nel terrore delle conseguenze della loro malattia. Altri tentativi per eliminarne i sintomi, e in particolare le aritmie, erano stati eseguiti nel passato con buona percentuale di successo. Ma non avevano come obiettivo l’eliminazione completa della malattia. Questo – precisa l”elettricista del cuore’ – è il primo studio al mondo in cui una malattia genetica può scomparire applicando una speciale corrente elettrica attraverso un sondino che raggiunge la superficie del ventricolo destro”.

L’intervento è in anestesia generale e prevede un ricovero di 3-4 giorni. “Con un ago, pungendo la parte inferiore dello sterno – spiega Pappone – introduciamo un sondino che viene spinto fino a raggiungere la superficie esterna del cuore (l’epicardio) e ne rileva i segnali elettrici. In questo modo ricostruiamo l’anatomia e l’attività elettrica dell’organo, individuando con precisione il punto esatto del ventricolo destro in cui si esprime la malattia. Quella è la zona da bruciare” e a seconda dei casi può essere più o meno estesa: “Da alcuni centimetri quadrati a molti, fino ad arrivare a un terzo dell’intero ventricolo. In base all’estensione della patologia potranno quindi essere necessarie da 5 a 30 applicazioni di energia a radiofrequenza. Nelle forme più aggressive, poi, oltre alla Brugada possiamo trovare una displasia del ventricolo destro. Nel 15% dei pazienti le 2 condizioni coesistono e si potenziano l’una con l’altra, aumentando ulteriormente il rischio di morte improvvisa”.

Dei 25 guariti (dopo i 14 casi pubblicati gli interventi sono proseguiti), 8 sono stati operati nel Ravennate al Maria Cecilia Hospital di Cotignola, dove Pappone ha lavorato prima di arrivare a San Donato Milanese e dopo gli anni trascorsi all’Irccs San Raffaele di Milano. Gli altri 17 sono stati curati al Policlinico San Donato dove tutta l’équipe del medico si è trasferita. “La tecnica che abbiamo messo a punto – puntualizza l’ideatore – richiede mezzi (l’intervento costa all’ospedale circa 10 mila euro a fronte di un rimborso regionale-Drg di 6 mila, quindi vuol dire che per ogni procedura perdiamo 4-5 mila euro), ma soprattutto esperienza e competenza. La nostra intenzione, dunque, è quella di creare un centro di eccellenza per la diagnosi e la cura della Sindrome di Brugada. Un polo per attrarre pazienti da tutto il mondo”.

I numeri non sono piccoli. “In Europa la Sindrome di Brugada ha una diffusione relativa – riferisce Pappone – e in Italia si stima nascano da 0,4 a 1,7 bimbi malati ogni 10 mila, con una prevalenza dello 0,7-2,5%. Ma questo dato sale al 6% in Francia, all’11% nelle nazioni del Medio Oriente e al 12% in Thailandia”.

I ‘bambini Brugada’ vengono alla luce con dentro “un orologio che indica l’ora in cui il loro cuore un giorno si fermerà, e la grande sfida è identificarli prima che accada. Dei pazienti italiani, uno su 3 è ad alto rischio di morte improvvisa e un terzo di questi non sa di avere la patologia. O perché non ha mai fatto un Ecg, o perché inizialmente nel tracciato l’alterazione non compariva. Oppure perché la prima manifestazione clinica della malattia è stata la morte per arresto cardiaco”. Una verità scoperta troppo tardi, magari da una scritta sull’autopsia.

“In genere – continua lo specialista – questi pazienti muoiono in concomitanza con una febbre alta, una malattia infettiva o un”overdose’ alimentare. La malattia è scritta nel Dna e in particolare è legata al sesso maschile. Tanto che in alcuni Paesi del mondo, ad esempio in Thailandia o nelle Filippine, quando in una famiglia segnata da altri casi di morte improvvisa viene alla luce un maschietto lo vestono da femmina”. Un disperato tentativo di ‘depistare’ la sorte, di sfuggire a quella che si considera “una maledizione, una malattia oscura. La Brugada è infatti una patologia autosomica dominante, il che vuol dire che se il padre ce l’ha anche il figlio ha il 50% di probabilità di soffrirne”.

“Oggi siamo in grado di identificare solo un gene responsabile, positivo nel 25% pazienti – prosegue Pappone – ma resta scoperto l’altro 75% e l’ipotesi è che siano coinvolti tanti punti del Dna. In molti casi alla Brugada si associano altre patologie come displasie aritmogene o sindromi del QT lungo e corto”, con un effetto moltiplicativo sul pericolo di morte improvvisa.

“Finora – ricorda ancora l’esperto – l’unica terapia possibile per i pazienti con una diagnosi era l’impianto di un defibrillatore, una sorta di pacemaker che eroga la sua scarica quando il cuore si ferma”. Non una cura bensì un palliativo, il tentativo di prevenire l’irreparabile. “Oggi nel mondo vivono molte migliaia di uomini portatori di un defibrillatore impiantabile perché affetti da Sindrome di Brugada ad alto rischio di morte improvvisa”. Per questi, e per l’esercito di malati che ancora devono scoprire di esserlo, è da oggi disponibile la prima vera cura. “L’unica che ha dimostrato di eliminare la patologia” fulminandola al cuore.

Il gol è frutto di un ‘assist’ Italia-Spagna, la cui traiettoria incrocia anche i Caraibi. “Era un giorno di giugno del 2014 e mi trovavo a Cuba – racconta l”uomo dei 150 mila cuori’ – Anche Josep (Brugada, ndr) stava provando a entrare nel Paese dagli Usa, ma ha avuto un problema con il visto. Quando gli hanno riferito che mi trovavo lì mi ha telefonato e la sua chiamata mi ha raggiunto mentre avevo di fianco il ministro degli Interni. Pochi minuti dopo Josep passava la frontiera. Allora gli ho detto che avevo un’idea per guarire la ‘sua’ sindrome, e che il modo migliore per ringraziarmi sarebbe stato quello di farmi provare. Lui era scettico, ma in ottobre è venuto a Cotignola e ha dovuto ricredersi”. Fonte: adnKronos

Nella foto: Carlo Pappone, inventore della tecnica

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