La scelta è sempre possibile. Parola di Paolo Di Paolo
La scelta è tema tipico delle discussioni filosofiche ed etiche, ma anche la letteratura può dire la sua. Non era facile dimostrarlo in circa mezz’ora – questa la durata degli incontri del ciclo “Accenti” del Festivaletteratura di Mantova -, eppure Paolo Di Paolo lo scorso 8 settembre, ci è riuscito benissimo. La versione integrale dell’incontro – e del resto del ciclo degli Accenti di questa XX edizione – è disponibile in streaming sul sito di Festivaletteratura; di seguito, invece, una sintesi di quanto abbiamo ascoltato con le nostre orecchie in diretta.
UNA SCELTA È SEMPRE POSSIBILE – «Il grande romanzo moderno è una sequenza di scelte» ha affermato lo scrittore, citando come esempio “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni e il personaggio di don Abbondio, da quasi 90 anni messo alla berlina per la sua incapacità di decidere. Eppure, ha fatto notare Di Paolo, «è molto difficile essere diversi da don Abbondio». Metafora della sua condizione è la strada “a foggia d’un ipsilon” che il curato sta percorrendo nel momento in cui Manzoni lo presenta al lettore: «Quella ipsilon è il bivio davanti a cui si trova don Abbondio», il quale «sente che non può scegliere, ma in qualche misura sta già scegliendo». Dunque, «la letteratura insegna che c’è sempre da fare una scelta», qui come in altri esempi celebri citati da Di Paolo, tra i quali l’opera “Aut-aut” del filosofo Søren Kierkegaard in cui questi afferma che «il tempo della scelta è tutto il tempo della nostra vita».
Lo scrittore si è dichiarato decisamente «contrario all’elogio generico della lettura, ma favorevole a consigli particolari». E tra questi ha incluso “Nemesi”, romanzo scritto da Philip Roth nel 2010 e destinato forse a restare l’ultimo, posto che – ha ricordato – lo scrittore americano ha annunciato che non ne scriverà più. Una scelta che affascina il collega italiano «perché siamo in un tempo in cui tutti scriviamo. Siamo una società di grafomani, un po’ imprudenti». Ma il suo consiglio non cade su “Nemesi” per questo, bensì perché mostra che una scelta è sempre possibile e che chi cede a quello che lo stesso protagonista definisce «l’incantesimo della paura» poi può ritrovarsi assalito dai rimorsi.
LA SCELTA EROICA NON SALVA L’UMANITÀ – I personaggi dei libri, dunque, si trovano continuamente a dover fare delle scelte, proprio come gli uomini in carne e ossa. Secondo quella che Di Paolo chiama «mistica pirandelliana», «sono i personaggi a guidare chi scrive» ma, a suo parere, ciò è vero fino a un certo punto perché «i burattinai siamo noi». L’importante è «non scegliere per loro, non giudicare le loro scelte». Anche perché, nella finzione come nella realtà, «la scelta più convincente sembra quella eroica […], ma è una pia e consolante illusione che la scelta di un singolo salvi l’umanità».
LA RESPONSABILITÀ DELL’ESSERCI – Le scelte eroiche sono, dunque, inutili oltre che rare? O sono, al contrario, le uniche a contare? No, è la risposta indiretta di Paolo Di Paolo a questi due sottintesi interrogativi. Ne è la prova Piero Gobetti, cui ha dedicato il suo ultimo libro, ancora non disponibile in commercio. Gobetti «era antifascista senza rendersene conto»; questa consapevolezza diventò matura, però, giunti al «punto di non ritorno: l’omicidio Matteotti», contro il quale prese netta posizione. Ciò scatenò l’ira di Mussolini che – caso raro, ha rimarcato Di Paolo – firmò personalmente un telegramma in cui chiedeva al Prefetto di Torino, città in cui Gobetti abitava, di «rendere nuovamente difficile vita a questo insulso oppositore di governo e fascismo». Gobetti, però, non si lasciò intimorire perché «voleva ricostruire una posizione di scelta in un tempo in cui sembrava impossibile».
I suoi tempi erano certo molto diversi da nostri, ha affermato Di Paolo, precisando che «viviamo un tempo che non ci chiede troppo di scegliere», un tempo all’insegna della «deresponsabilizzazione» in cui «la scelta radicale, quando c’è, destabilizza». Il testamento morale di Gobetti, però, si mantiene attuale e possiamo fare nostra, in particolare, quell’esortazione che rivolse a se stesso in una delle sue ultime annotazioni: “Essere se stessi dappertutto”. Gobetti, infatti, non si rassegnava a lasciare Torino e ad abbandonare le sue battaglie perché era convinto che l’importante è «esserci e non necessariamente fare» e che «restare e provare a fare» è comunque utile, anche se poi non si riesce. E, ha chiarito Paolo Di Paolo, «esserci significa tenere gli occhi bene aperti. Non è necessario essere eroi», anche perché «nell’apparente anti-eroismo di ciascuno di noi c’è una possibilità di scelta».
La foto in alto è di Silvia Onnis