L’omicidio di Pasolini raccontato da Carlo Lucarelli
Se c’è qualcuno che può convincermi che sia possibile occuparsi di cronaca nera con serietà e rispetto, quello forse è Carlo Lucarelli. Complice la sua aria rassicurante e paciosa, ha un modo di raccontare fatti tragici, magari anche scabrosi, umanamente professionale ed equilibrato, attento cioè a distinguere i fatti dalle ipotesi e ad arginare l’inclinazione alla morbosità e alla dietrologia che i misteri, piccoli e grandi, tendono a instillare in tutti noi. Utile, quindi, oltre che interessante seguire, durante la XX edizione del Festival della letteratura di Mantova, l’incontro di venerdì 9 settembre 2016 in cui ha parlato dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini, argomento cui ha dedicato il suo libro “PPP. Pasolini, un segreto italiano”.
Quando Pasolini fu ammazzato, Carlo Lucarelli aveva 15 anni e vedere la foto del suo corpo straziato fu per lui «una cosa che mi scandalizzava», perché quello non era solo un uomo morto: era un intellettuale di cui aveva letto qualcosa e che apprezzava perché «Pasolini è uno che quando ti dice una cosa, te ne fa venire in mente un’altra. Su qualcosa sei d’accordo, su altro no ed è questo che, secondo me, un intellettuale deve fare».
Dunque, «la particolarità della morte di Pier Paolo Pasolini è la particolarità di Pasolini stesso: essere tante cose contemporaneamente». Il che in parte spiega perché, dopo più di 30 anni, ancora non sia chiaro cosa avvenne in quella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975. E, a suo parere, non lo sapremo mai, «almeno che le altre persone che hanno partecipato all’omicidio non vengano a dirci la verità». Del resto, lo stesso Giuseppe (Pino) Pelosi, unico finora condannato per la sua morte, «aggiunge via via pezzetti di verità». Per Lucarelli «la morte di Pasolini è un tipico segreto italiano», in quanto da un lato esiste una verità giudiziaria (Pino Pelosi l’ha ucciso in reazione a sue sgradite avances), dall’altro c’è una serie di incongruenze e dubbi.
Innanzitutto, prima di morire fu massacrato, per cui sembra poco plausibile che l’omicidio sia stato opera di un solo ragazzino, che peraltro riportava addosso giusto poche gocce di sangue. Anzi, secondo Lucarelli, Pelosi non l’ha proprio ucciso, né da solo né con altri.
Pare, inoltre, che Pasolini e Pelosi si conoscessero e che forse quel giorno avessero un appuntamento. In particolare, secondo una delle versioni della storia, i due avrebbero dovuto recuperare delle “pizze” che erano state rubate da uno stabilimento (insieme ad altro materiale) e per le quali era anche stato chiesto un riscatto. Ci sono, quindi, «tanti elementi che fanno pensare a un agguato». Perché questi «sono anni in cui si ammazza per la politica o con la scusa della politica», in cui ad ammazzarsi a vicenda erano anche i ragazzi e in cui «si ammazzava chi non ti piaceva». Emblematico quanto accadde a Franca Rame che – ha ricordato – fu rapita e ripetutamente stuprata perché era comunista. Allora «Pasolini fu ucciso perché era “un frocio comunista”? Ci sta questa volontà “politica”», ha affermato Lucarelli, supponendo che l’omicidio potesse essere un modo per dare un “segnale”.
Tuttavia, il motivo potrebbe essere più complesso e magari legato al libro che stava scrivendo, “Petrolio”, nel quale riportava «cose troppo precise su argomenti troppo scottanti». Però, «in Italia quasi mai i giornalisti e gli intellettuali vengono uccisi per questo», anche perché di solito «esiste un muro di gomma per cui, dopo la notizia, non succede niente», a meno che, ha aggiunto Lucarelli, non ci sia qualcuno (magari un magistrato) che porta avanti le cose e fa sì che si producano delle conseguenze. «In Italia la cosa più pericolosa non è dare risposte: è fare domande, soprattutto se ottieni risposte», ha affermato, aggiungendo che è in questi casi che può arrivare “l’avvertimento”, anche sotto forma di omicidio. E per lui questo potrebbe essere quanto accaduto al giornalista Mauro De Mauro che indagava sulla morte di Enrico Mattei, come successivamente fece Pasolini per “Petrolio”.
Cosa dunque è successo? «Io so quello che non è successo: per me l’ultima ipotesi è che sia stato ucciso per aver chiesto a un ragazzino di fare ciò che non voleva fare. Poi vengono le altre ipotesi: non piaceva; aveva scoperto qualcosa…». In ogni caso, a suo parere, «anche la prima ipotesi ci dice tanto dell’Italia di quel tempo» e «sapere la verità cambia poco: ci interessa sapere perché in tutti questi anni non si è arrivati alla verità, perché – involontariamente o volontariamente – ci sono stati depistaggi». Che è poi ciò che avviene in tutti i segreti italiani, ha rimarcato aggiungendo che anche questo «ci spiega cos’è l’Italia». Lucarelli ha, tuttavia, evidenziato che per l’omicidio Pasolini «il depistaggio non è molto evidente: si notano anomalie, ma non è certo che ci fosse un complotto». Per certo, però, «c’era la volontà di non avere rotture di scatole» e «questa verità giudiziaria è la spiegazione che chiude tutto».
La versione integrale dell’incontro e del resto del ciclo degli Accenti di questa XX edizione – è disponibile in streaming sul sito di Festivaletteratura.
Foto Silvia Onnis