Quando i protagonisti famosi lasciano qualcosa di sé

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siparioArtisti che vanno, artisti che vengono: una sorta di “turnover” anche nel mondo del palcoscenico. È di questi giorni la scomparsa del notissimo Paolo Villaggio, che per generazioni ha calcato le scene suscitando irrefrenabili ilarità in due e più generazioni. Una comicità che personalmente non mi hai mai “strappato” un sorriso, come del resto molti altri suoi colleghi che tuttavia meritano “onore” e rispetto, se non altro per aver contribuito a “scoperchiare” eventi di vita rispecchianti in decenni la quotidianità italiana, ma dando anche “lustro” agli aspetti più ameni, il tutto con ironia e comicità talvolta intelligente tal’altra meno… accattivante. Ma quale messaggi trarre da queste trame? Indubbio che i momenti di spensieratezza “regalati” da Villaggio e Company hanno confortato molte famiglie, ma l’ilarità fino a che punto è servita e serve? I protagonisti dello spettacolo non hanno certo la bacchetta magica per risolvere questo o quel problema dei loro spettatori e dei loro fans, ma è indubbio che i maggiori vantaggi sono dei primi sia per il godimento della popolarità (con estensibili effetti mediatici di non poco conto), sia per i (a dir poco) lauti guadagni. In effetti non sono molte le persone che si arricchiscono… divertendosi, e forse con una fatica discutibile, protagonisti dello sport compresi. Va da sè che ciascuno di noi fa delle scelte di vita, quasi sempre condizionate a monte da un pregresso destino e per talune persone assai appagante, ma che i quotidiani dedichino due o più intere pagine per la scomparsa di un attore lo ritengo un eccesso; analogamente, ricordo che per la morte di Mike Bongiorno addirittura gli onorarono i funerali di Stato, ma sappiamo bene chi era a quell’epoca il capo del Governo! Come sempre e in tutti i casi gli eccessi non hanno mai nulla (o poco) di razionale, perdendo di vista la sobrietà e l’umiltà quali valori imprescindibili della considerazione umana comune. E credo che questa sia la filosofia della vita (o almeno parte di essa) in quanto l’uomo non fa la storia, ma la storia siamo noi.

E.B.

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