Puntuali considerazioni sociologiche… che inducono alla riflessione
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
Per la nostra “povera” società non c’é requiem. Quotidianamente assistiamo inorriditi (chi più, chi meno) ad una interminabile scia di eventi d’ogni sorta, mentre da noi in politica le spasmodiche attenzioni sono per questo o quel candidato a “Premier”. Una rincorsa con l’intento (a mio parere più ideale che concreto) a voler sanare i nostri tanti dissesti: economico-finanziari, occupazionali, di sanità pubblica, di istruzione, abitativi, geologici, di tutela della propria incolumità, etc. Ma nel frattempo la popolazione invecchia con tanto di pass per contrarre “gratuitamente” una o più patologie, come se non bastassero i “regali” offerti da madre Natura; e pochi o nessuno si rende conto che di fronte ad un destino quasi segnato la nostra identità va depauperandosi sempre di più, inesorabilmente, come se secoli di storia umana nulla avessero insegnato. Nei secoli scorsi per il cattivo comportamento umano si additavano colpe, ad esempio, alla famigerata Inquisizione, alla schiavitù, ai molteplici conflitti fra le diversissime popolazioni sparse sulla Terra, giustificando che tutto ciò rispecchiava le culture delle varie epoche; ma oggi, proprio perché abbiamo raggiunto traguardi come il benessere fisico e materiale, e maggiori opportunità relazionali attraverso i modernissimi mezzi di comunicazione, viviamo in condizioni che spesso rasentano l’irrazionalità tanto da continuare a sopprimerci l’un l’altro… anche per banali motivi.
E tutto questo è il vero destino dell’Umanità? Oppure è il caso di vantare uno spazio di ottimismo per le attuali e future generazioni? Per rispondere a questi quesiti io credo che sarebbe utile “rispolverare” i lasciti testamentari delle esperienze dei nostri dotti antenati: da Socrate a Sigmund Freud, da Immanuel Kant ad Albert Schweitzer, per citarne alcuni. Anche se tra i noti filosofi e pensatori alcuni hanno manifestato del pessimismo (Kierkegaard e Schopenhauer, ad esempio) bisogna considerare la loro epoca esistenziale e quindi il loro vissuto; ma nel contempo far propria la loro saggezza basata sul dialogo, sul confronto e sulla spiritualità come quella manifestata soprattutto da Soeren Kierkegaard. Tempi bui, severi e per certi versi misteriosi i loro, ma riavvicinarsi al loro sapere potrebbe essere un espediente per affrontare la vita, sia pur effimera, con spirito di considerazione e rispetto per tutto ciò che è vita che vuole vivere…!
Ora, se la saggezza dei dotti ha quindi un valore, vorrei invocare quel credo che così grida: «Nessuno è più libero di una piuma al vento, come nessuno è più degno di colui che invoca il rispetto della propria dignità». Un aforisma (peraltro concretizzabile) che vuole essere un monito verso tutti coloro che si rendono responsabili di ogni sorta di nefandezza atta a procurare sofferenza e morte al prossimo. E se Socrate potesse parlare loro, li renderebbe consapevoli di essere affetti della loro ignoranza la cui affezione non che essere causa del male altrui. Questi adepti della cosiddetta ignoranza attiva non hanno certo alcuna virtù come ricerca della verità, in quanto la virtù non si acquisisce con la nascita ma si conquista con l’impegno, con la ricerca che porta alla conoscenza e quindi alla consapevolezza del bene. A questo concetto fa eco quanto sosteneva Kierkegaard, il quale sosteneva: «La vita di un individuo sembra valorizzata dalla presenza di tante possibilità realizzative, ma in realtà la vera conseguenza di queste possibilità non è che una profonda angoscia che si sviluppa nell’animo umano. Questa può divenire talmente intensa da gettare l’uomo nella disperazione che deriva dal rapporto che il singolo instaura con il proprio Io. L’Io può accettarsi per come é ed optare per la piena realizzazione del sé, ma in tal caso emergerà la limitatezza delle capacità umane, mettendo così a rischio il conseguimento della scelta compiuta». È un concetto ovviamente filosofico che al tempo stesso, a mio parere, richiama quanto scritto in apertura all’articolo, avvalorato dalla ferrea affermazione di Albert Schweitzer il quale sosteneva che per l’uomo veramente etico ogni vita è sacra, inclusa quella dal punto di vista umano che sembra di ordine inferiore. E forse è proprio per questo che l’uomo, credendosi superiore rispetto ai suoi simili, si arroga il diritto di ledere la loro dignità… sino a sopprimerli. Ecco che il destino dell’Umanità sembra segnato… senza possibilità di ritorno ai valori esistenziali dettati dalla Genesi e dal buon senso.