In arrivo un sostegno economico ai caregiver
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
Oggi, più che mai, è il caso di parlare di crisi del cosiddetto “Welfare State” (Stato Sociale), ovvero Stato di sicurezza. Espressione che riguarda tutti i provvedimenti che lo Stato prende per difendere (?) i ceti sociali più deboli nel campo dell’assistenza, della previdenza e della sanità. In merito a ciò di questi giorni la nascita del Fondo per il sostegno dei caregiver familiari, in quanto la Commissione Bilancio dello Stato ha varato all’unanimità l’emendamento che stanzia 60 milioni di euro suddivisi nei tre prossimi anni: 2018, 2019, 2020 a copertura finanziaria di interventi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura “non professionale” del caregiver familiare. Tale emendamento definisce questa figura come «la persona che assiste e si prende cura del coniuge, di una delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado, anche di un familiare di terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in continua e lunga durata, o sia titolare di indennità di accompagnamento». Anche se non è dato a sapere quanti sono in Italia i caregiver che potrebbero avere diritto a tale sostegno economico, e volendo ipotizzare una presenza di circa 200.000 persone, va da sé che il plafond di 20 milioni di euro l’anno sarebbe a dir poco insufficiente; inoltre, l’impegno di ciascun caregiver è generalmente 24 H su 24 per tutto l’anno… senza riposo; ma poi, per averne diritto, quale deve essere il tetto massimo dichiarato dagli interessati nel loro ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) che, certificato tramite un attestato, consente ai contribuenti a basso reddito di accedere a prestazioni sociali e servizi di pubblica utilità a condizioni agevolate? Conosco famiglie che versano in condizioni di totale assistenza e, anche se possiedono l’appartamento in cui vivono, ad esempio, non è detto che debbano essere esonerate da tale sostegno economico. Del resto vivere in quattro mura (proprie) non incrementa il già misero bilancio di molte famiglie con un congiunto grave a carico; ma un’osservazione salta all’occhio di tutti: tale emendamento nasce proprio in prossimità delle prossime elezioni (primavera del 2018), come fa notare il torinese Domenico Cramarossa che da oltre 30 anni assiste in tutto e per tutto la moglie affetta da una grave forma di Parkinson, lungodegente allettata, e che spesso deve ricorrere ad aiuti assistenziali esterni (anche in forma privata), nonostante il non meno importante aiuto della figlia, oggi 32enne che, dovendo aiutare il padre in tale ruolo, non ha mai potuto avere un lavoro e che in prospettiva vede il suo futuro sarà privo di una pensione per sopravvivere… con il solo “conforto” di aver alleviato in qualche modo le sofferenze della madre coadiuvando il padre nel ruolo assistenziale 24H su 24. «Ritengo di poter sottolineare – dice senza mezzi termini Cramarossa – che assistiamo sempre più ad un tentativo di “privatizzazione” della Sanità, che invece deve rimanere pubblica. Ad esempio, con l’introduzione di “ticket” e “superticket” quali contributi al pagamento dei Piani di Assistenza Domiciliare (PAI), con delega a Cooperative ad hoc, solo perché la casa in cui si vive costituisce reddito non considerando che magari il proprio figlio disoccupato assiste assieme al proprio familiare con la prospettiva, nell’ipotesi di una lunga degenza, di ritrovarsi anziano e senza mezzi economici…».
Ma ai fini di un eventuale diritto a tale sostegno quale caregiver, le preoccupazioni di Cramarossa (nella foto) vanno oltre perché si chiede in che misura e in base a quali parametri si dovrebbe determinare il “quantum” economico che percepirebbero gli aventi diritto, a chi si devono rivolgere gli stessi, e a quali procedure devono attenersi per fruire tale riconoscimento. Quesiti e considerazioni che emergono anche da più parti, ma con la differenza che non tutti sono in grado di far sentire la propria voce e fare le proprie rimostranze, tant’é che la ovvia conseguenza è che l’emendamento troverà la sua concretezza senza essere contraddetto o sottoposto a doverose spiegazioni di merito. È quindi inutile, a mio avviso, parlare di crisi ed intervenire con un misero emendamento di sostegno che a malapena basterà per “soddisfare” le esigenze di un numero piuttosto esiguo di caregiver. Sappiamo che da sempre (ad eccezione degli anni ’60 ed inizi anni ‘70) lo Stato sociale funziona male e che appesantisce il Bilancio dello Stato soprattutto alla voce sanità, pensioni e da alcuni anni anche oggi occupazione. Non è luogo comune che si vanno sempre più perpetuando sprechi, favoritismi, connivenze, evasioni che vengono assorbite dalla burocrazia: una malattia endemica tutta italiana che pare non avere alcun rimedio, soprattutto se la maggioranza dei cittadini rispecchia quanto sosteneva Alessandro Manzoni (1785-1873): «Noi uomini siamo in genere fatti così: ci rivoltiamo sdegnati contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi». Una constatazione lapidaria che si pensava appartenere al XIX secolo ma che purtroppo si è trascinata sino ad oggi, e ciò sta a significare che una società si giudica da quanto riserva ai suoi figli bisognosi… forse perché ognuno ha necessità di fare qualcosa di cui non vergognarsi per sgravarsi la coscienza, e tra questi (i politici, tanto per intenderci), emergono sempre quelli che decidono per gli altri senza aver mai vissuto in corpore vili un’esperienza in cui sofferenza e povertà di mezzi sono il loro unico sostentamento…