L’imponente pubblicità dei consumi
di Ernesto Bodini
(giornalista e opinionista)
Ogni anno dicembre richiama maggiore attenzione sia per il culmine della stagione invernale, sia perché comprende le festività natalizie e di fine anno. Un appuntamento con il calendario ma anche con le innumerevoli proposte di carattere alimentare (ricche di leccornie e non di meno di ipercalorie), oltre ad offerte per acquisti e vendite nei più svariati settori del consumo. A monte di tutto ciò è inevitabile la pubblicità attraverso i più diversi mezzi di comunicazione, in particolare gli spot televisivi che, soprattutto in questi ultimi decenni, non mancano di “fantasia recitativa” con immagini e annunci che talvolta rasentano l’irrazionalità… Eppure, tali annunci non nascono per caso o per volere delle emittenti, ma su commissione di sponsor e titolari di beni pagando profumatamente e concordando quali interpreti individuare, quale copione devono “recitare” e quale scenografia mandare in onda tentando di carpire l’interesse del consumatore. E poco importa se il “recital pubblicitario” può piacere o meno, l’importante è che produca un effetto mediatico stuzzicando la fantasia e l’interpretazione del consumatore tanto da invogliarlo a credere che il prodotto, così presentato, è il migliore e al passo coi tempi… Da sempre si è detto, e si dice, che la pubblicità è l’anima del commercio senza soffermarsi, però, se la presentazione di questo o quel prodotto viene fatta con un minimo di razionalità e di piacevolezza, oppure se la stessa va oltre i confini del buon gusto e della liceità rappresentata da espressioni talvolta non poco allusive… Molti ricorderanno la pubblicità su carta stampata e soprattutto televisiva degli anni ’50 e ’60 in particolare, i cui prodotti venivano presentati con grazia, sobrietà e molto buon gusto; inoltre, gli “interpreti” e gli speaker si rivolgevano al consumatore con il “voi” (o il “lei”) e non con il “tu” peraltro senza mai imporre, a differenza di oggi i cui annunci-proposte vengono fatti con toni talvolta decisamente autoritari. Inoltre, per dare una maggiore incisività ed autorevolezza al messaggio, spesso lo spot pubblicitario è rappresentato da questo o quel testimonial, generalmente un personaggio famoso che può essere una star del cinema, dello sport, della canzone, etc.
Negli ultimi anni il sommarsi degli spot televisivi ad intervalli più o meno regolari ha creato atteggiamenti di disturbo e di esasperazione nel telespettatore-consumatore, e solo verso la fine degli anni ’50 con l’invenzione del telecomando il loro assorbimento è stato più attenuato avendo la possibilità di interrompere la pubblicità cambiando canale. Ma questa innovazione è stata sufficiente? A quanto pare non sembra sia perché sono aumentate le emittenze private sia perché i messaggi si vanno sempre più moltiplicando e ad intervalli sempre più ravvicinati, e con proposte “avvenenti” quasi a mandare in ansia il telespettatore e magari disorientandolo ulteriormente. Quindi quali i benefici della pubblicità odierna? Certamente il proseguimento del consumismo che, a mio avviso, per quanto riguarda i prodotti alimentari, ad esempio, dovrebbe essere più dettagliato sulla utilità per l’organismo e meno ricca di coreografia in quanto tenderebbe ad illudere più o meno direttamente il consumatore…
Classico è l’esempio dei fast food (cibo veloce), catena di distribuzione alimentare di origine anglosassone, e ampiamente diffusa in tutto il mondo dagli anni ’80, in cui presenta, oltre ad altri prodotti, il classico panino imbottito di carne e contorni vari abbinato ad una bibita gasata, senza spiegare il relativo apporto calorico e le relative conseguenze… Infine, chi colpevolizzare? Gli inserzionisti-committenti, i mezzi di comunicazione, i pubblicitari o i consumatori? Io credo che la risposta sia facilmente intuibile: nessuno escluso, ma laddove viene meno il buon senso e la razionalità per “imporre” la vendita di un prodotto, parimenti non deve venir meno il buon senso e la razionalità di chi deve godere di un bene… che male non faccia. Anche per questo verrebbe da ricordare che molti si preoccupano di star bene, assai più che di vivere bene, e finiscono per vivere male non sapendo selezionare il reale dal fantasioso.