BREVE RICORDO DI HELOISA DUNSHEE DE ABRANCHES, L’ULTIMA FEDELE COMPAGNA DI ALBERT BRUCE SABIN
di Ernesto Bodini
Solitamente ci ricordiamo (doverosamente) di personaggi illustri quando ci lasciano dopo aver vissuto un’esistenza dedita alla professione per il bene dell’umanità, ma quasi mai delle persone che hanno condiviso la propria vita con loro, con amore e particolare dedizione. È il caso di Heloisa de Dunshee de Abranches (nella foto, 1917-2016), terza moglie di Albert Bruce Sabin (1906-1993). Nata a San Paolo in Brasile, figlia più giovane di Antonia Augusta e Clodod Dunshee de Abranches, si trasferì ancora giovane a Rio de Janeiro, dove si laureò in Giurisprudenza, ma senza aver mai esercitato l’attività forense. A 21 anni sposò Aryaman Jardin ed ebbe due figli: Eduardo Sergio e Carlos Eduarrdo. Si separò a 34 anni e andò a lavorare al Jornal do Brasil, uno dei più importanti quotidiani della nazione. E in Brasile nel 1971 incontrò Albert Sabin in occasione di un ricevimento in suo onore. Lo scienziato a quel tempo era già riconosciuto per aver realizzato il vaccino antipolio, ma continuava le sue ricerche proprio in Brasile. Si sposarono a New York nel 1972, una unione che ha visto Heloisa (di dieci anni più giovane) al suo fianco negli affetti e negli impegni di lavoro e di relazioni istituzionali. Per un certo periodo vissero in Israele dove Sabin era presidente del Wiesmann Institute; in seguito tornarono negli Stati Uniti stabilendosi di volta in volta in diverse città. La fedele compagna lo seguì nelle sue campagne per sradicare la polio, spostandosi da un Paese all’altro, tra cui Cuba, che fu il primo a debellare completamente la polio. Nel 1981 si trasferirono definitivamente a Washington dove Sabin lavorava al National Institutes of Health (NHI) di Bethesda nel Maryland. Nei successivi decenni lo sostenne mentre continuava il suo lavoro come consulente del National Cancer Institute, dove era professore di Biomedicina presso il Medical University of South Carolina, e consulente senior presso il Fogarty International Centre for Advanced Studies del NIH. La loro collaborazione e il loro impegno nell’espansione delle coperture vaccinali li ha portati in giro per il mondo, dove hanno ricevuto da più parti espressioni di incoraggiamento e sostegno. Dopo la morte dello scienziato polacco, nel marzo 1993, Heloisa continuò la sua vita mettendo a frutto il retaggio del marito tanto da fondare l’Istituto Sabin Vaccine, in collaborazione con un gruppo di scienziati. L’Istituto, tuttora attivo e amministrato da Amy Finan, è dedito alla lotta alle malattie infettive attraverso la ricerca e programmi di vaccinazione. «Heloise Sabin – ha dichiarato Philip Russell, presidente del Sabin Vaccine Institute – era una persona straordinaria e dotata di particolare determinazione per l’impegno verso questo Istituto. La sua dedizione all’eredità di suo marito, nel combattere le malattie dell’ignoranza e della povertà, ha contribuito a guidare l’Istituto sin dalla sua fondazione. Oggi piangiamo la perdita di un grande campione e amico (il riferimento è ad Albert Sabin), ma l’eredità e l’impegno di Heloisa continueranno ad ispirare tutti noi per molti anni a venire».
Anch’io, seppur brevemente, ho conosciuto la signora Heloisa Sabin nel 1987 a Torino, in occasione di un congresso internazionale su “I Farmaci nel mondo” presieduto proprio dal prof. Sabin. Non mi fu però facile avvicinarla per una eventuale intervista; ma ricordo che alcuni giornali, come l’allora quotidiano torinese Stampa Sera, hanno riportato alcune sue affermazioni. In un’intervista la giornalista Daniela Daniele la descrisse una donna dal viso allegro e dalla battuta facile, e alla domanda: “Non le pesa mai il vivere accanto ad una personalità come quella di Sabin?”, la signora Heloisa (nella foto accanto di Stampa Sera), candidamente rispose: «No, con la mia personalità, anche se la mia vita ruota, interamente, attorno alla sua. Lo ammiro infinitamente, è un uomo grande e, soprattutto, autenticamente onesto. D’altra parte, le sembro triste?». No davvero.
La signora Sabin, che è stata anche direttore onorario di “Americans for Medical Progress”, negli anni ‘90 è intervenuta anche sul problema della sperimentazione animale a tutela delle vite umane, e in occasione di alcune sue affermazioni precisò: «Coloro che hanno beneficiato direttamente della ricerca sulla polio, compreso il lavoro di mio marito, pensano che vincere la vera guerra contro la polio sia stato altrettanto semplice, abbracciando un movimento che denuncia lo stesso processo che ha permesso loro di aspettarsi una buona salute e un futuro promettente». Una ideologia dei “diritti degli animali, secondo Heloisa Sabin, che era vicina a gruppi come il “People for the Ethical Treatment of Animals”, il “The Human Society of U.S.” e il “Fund for Animals”, che rigettava l’uso degli animali da laboratorio nella ricerca medica e negava il ruolo che tale ricerca ha avuto nella vittoria contro la polio. E a questo proposito Sabin, poco prima della sua morte, disse a un giornalista: «Non ci sarebbe potuto essere nessun vaccino orale per la polio senza l’uso di innumerevoli animali, un numero enorme di animali». In effetti, nel corso della sua lunga attività di ricerca, Sabin ebbe a disposizione 9.000 scimmie e 140 scimpanzé sui quali sperimentò la virulenza dei nuovi ceppi che si andavano formando.
La signora Heloisa Sabin è scomparsa il 12 ottobre 2016, all’età di 98 anni, ed è sepolta accanto al marito nel cimitero di Harlington, e prima di morire ebbe di lui questo ricordo: «Mio marito era un uomo gentile, ma era insofferente verso chi rifiutava di riconoscere la realtà o di cercare risposte ragionate ai problemi della vita. Della schiera di pionieri della ricerca sulla poliomielite fanno parte non solo gli scienziati, ma anche gli animali da laboratorio che giocarono un ruolo fondamentale nel porre fine alla polio e nell’arrestare molte altre malattie per le quali oggi abbiamo vaccini e cure. Gli animali continueranno ad essere una parte tanto vitale quanto gli stessi scienziati che li studiano nella battaglia per eliminare il dolore, la sofferenza e la malattie dalle nostre vite». E per quanto doloroso sia avvalersi della “collaborazione passiva” di questi animali per lo sviluppo della scienza medica, non credo che Sabin non abbia avuto per loro ogni volta un senso di pietà e di rispetto, coma dimostra la foto accanto.