UN SIGNIFICATIVO INCONTRO ALL’OSPEDALE MOLINETTE DI TORINO
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Un incontro medico-sanitario rivolto alla popolazione, che si è tenuto nei giorni scorsi nell’aula magna dell’ospedale Molinette, ha posto l’attenzione sulla nuova organizzazione per le future generazioni di medici di Medicina di Emergenza e Urgenza, e di Medicina Interna dell’Università di Torino, seguita da una tavola rotonda sul tema “La continuità delle cure: l’assistenza prosegue dopo l’ospedale”. Il prof. Giuseppe Montrucchio, direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina d’Emergenza-Urgenza dell’ateneo subalpino (in collaborazione con il prof. Gian Carlo Avanzi, direttore della analoga Scuola di Specializazione all’Università degli Studi del Piemonte Orientale) ha rievocato le origini torinesi in ambito ospedaliero della Medicina d’urgenza, che non coincidono però con la nascita della Scuola di Medicina d’Urgenza, i cui primi specializzandi compaiono nel 2008 e i primi specialisti in tale disciplina nel 2014. Ma quali sono le finalità della Medicina d’Urgenza? «È una specializzazione – ha spiegato il relatore – fondata sulle conoscenze e sulle capacità della prevenzione e della diagnosi, e di conseguenza il trattamento degli effetti di emergenza-urgenza: malattie e traumi che colpiscono i soggetti di ogni età affetti da ogni possibile manifestazione clinica o disturbo comportamentale. Si tratta di una branca della Medicina che richiede il sapere, il saper fare e il saper essere». L’obiettivo prioritario della Scuola di Medicina d’urgenza consiste nel ridurre mortalità, morbilità e disabilità connesse a patologie acute e croniche, tenendo conto della sofferenza dei pazienti affidati al clinico. Storicamente il primo Pronto Soccorso (PS) di Medicina d’urgenza è stato istituito all’ospedale Molinette nel 1961 e, sino al 1992 (periodo in cui i locali erano esigui e pochi i pazienti), l’attività era orientata verso il salva-vita e le prestazioni erano minime; ossia il paziente veniva accolto e trasferito in una corsia di ricovero ordinario. Ma quando l’Università ha cominciato a pensare di occuparsi della Medicina d’urgenza? «Quando il prof. Paolo Cavallo Perin, allora direttore di Specialità di Medicina Interna – ha ricordato Montrucchio –, ha pensato di proporre a me e al prof. Franco Veglio, che eravamo suoi collaboratori, questa nuova “realtà” clinica, oggi sempre più indispensabile. Così abbiamo iniziato insieme ad organizzare ogni anno dei seminari di Medicina Interna, prima, e di Medicina d’Urgenza, dopo, ai quali invitavamo esperti di diverse competenze; e al termine dell’anno accademico veniva pubblicato un Trattato supplementare a cura della rivista scientifica torinese Minerva Medica. Un testo che introduceva un atto formativo per tutti gli allievi, affrontando casi clinici e le relative risposte diagnostico-terapeutiche; insomma, un lavoro che tuttora prosegue per la pratica clinica quotidiana». La Rete formativa della Scuola di specialità di Medicina d’emergenza-urgenza fa capo alla Città della Salute e della Scienza, e le sedi satelliti sono gli ospedali di Cuneo, di Aosta, e i torinesi Martini, San Giovanni Bosco, il San Luigi di Orbassano (To), di Pinerolo (To), e ognuno dei quali prevede un responsabile.
Purtroppo, ha voluto sottolineare il clinico Montrucchio, il Ministero ha imposto ai direttori delle Scuole di specialità di riconoscere la docenza ai medici ospedalieri che però non hanno i relativi requisiti, quali 14 lavori in dieci anni, 303 partecipazioni e una valutazione di “impact factor” maggiore di 14. «Questi criteri – ha precisato – non hanno nulla a che vedere con la pratica clinica di tutti i giorni. È una proposta iniqua del Ministero, e noi crediamo non solo di non poter aderire, ma di indire una petizione di contesto…». Da notare che la Scuola di Medicina Interna e di Medicina d’urgenza in questi anni hanno sviluppato diversi filoni di ricerca di tipo traslazionale e clinico, in particolare per quanto riguarda la sindrome coronarica acuta, l’asepsi, l’ecografia d’emergenza e la dissecazione aortica. «Per il futuro della Medicina d’urgenza – ha concluso il cattedratico – pensiamo che sia da correlare a diverse proposte: l’attivazione della Medicina di simulazione, la collaborazione con le Università di Toronto e di Londra; e un progetto che vedrà impegnata la Scuola di Medicina d’urgenza di Torino, che consiste nel poter mandare i nostri specializzandi a Kampala in Uganda (Progetto “Torino-Kampala”), mentre un altro lavoro sarà dedicato alle malattie infettive, oggi sempre più ricorrenti nei nostri Dipartimenti di emergenza».
Più risorse e maggior dialogo tra Ospedale e Territorio per garantire le ecellenze a fronte delle cronicità e delle pluripatologie
Alla tavola rotonda moderata dal giornalista Rai Daniele Cerrato (nella foto), sono intervenuti esperti in varie discipline medico-politico-sanitarie, come il prof. Franco Veglio (direttore del Dipartimento di Scienze Mediche) che ha “invocato” la necessità di un modello innovativo relativamente alla formazione, avendo come centralità il paziente; una competenza che preveda le problematiche ancora esistenti tra Territorio e Medicina emergenza-urgenza; a ridosso il prof. Roberto Albera (direttore del Dipartimento di Scienze Chirurgiche) ha sottolineato che bisogna privilegiare la capacità pratica oltre che la didattica. «È una Medicina che confina con l’assistenza – ha precisato il neo direttore della Tutela della Salute piemontese dott. Danilo Bono – in quanto la parte sociale ha prevalenza proprio di tipo assistenziale, e pone l’esigenza di riflessioni sui ruoli e sulla necessità della loro valutazione… La Regione in futuro terrà conto nel bilancio quanto richiede l’esigenza sanitaria e sociale, coinvolgendo medici specialisti e medici di medicina generale (medici di famiglia, ndr), avendo per centralità il paziente». L’intervento del dott. Giovanni La Valle (direttore sanitario della A.O.U. Città della Salute e della Scienza) ha posto l’accento sul fatto che bisogna garantire le eccellenze, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei pazienti “complessi”, senza perdere di vista i necessari costi di determinate scelte. A tal riguardo è intervenuto il direttore generale dell’Asl Città di Torino, Fabio Valerio Alberti, rammentando che oggi abbiamo la possibilità di accedere a tecnologie innovative e relative eccellenze. «Un altro scenario – ha aggiunto – riguarda la comunità che è prevalentemente di soggetti pluripatologici i quali richiedono adeguati interventi per i propri bisogni, e la “sfida” consiste nella presa in carico soprattutto dei pazienti cronici; come pure va incrementata la formazione, in parte “rallentata” dalla scarsa comunicazione tra ospedale e territorio… La formazione deve seguire determinate modificazioni come le diverse esigenze dei pazienti, le strutture disponibili e la situazione demografica, oltre naturalmente ai costi: le risorse regionali esistono ma bisogna meglio valutarle ai fini dell’appropriatezza, anche se di fatto non sarà possibile incrementarle». A conclusione della tavola rotonda è intervenuto il dott. Roberto Venesia, consigliere dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Torino, che ha posto l’attenzione sulla carenza di medici, soprattutto dei medici di famiglia; quindi si tratta di ampliare le borse di studio per la Specialità di Medicina Generale (attualmente ancora insufficienti), e questo alla luce di una demografia che cambia, delle ricorrenti cronicità, dell’aumento dell’età media, etc. Problematiche che, secondo Venesia, richiederebbero l’istituzione di una Rete per la salute. Resta però da stabilire, a nostro avviso, con quali criteri e quando la relativa attuazione.