A CHI GIOVANO I QUIZ TELEVISIVI?
Produttori, sponsor, concorrenti e presentatori: un quartetto affascinato dalla notorietà e dai guadagni
di Ernesto Bodini (giornalista e opinionista)
Non c’è dubbio che l’irruenza che entra nelle nostre case si può manifestare in diversi modi. Ad esempio, vi sono programmi televisivi, come alcuni giochi a quiz, che i presentatori conducono con una veemenza a dir poco esasperata, incitando i concorrenti con elevato tono di voce, ossia gridando, in particolare quando si tratta di evidenziare la somma di denaro vinta sino a quel momento; il tutto infarcito di scroscianti applausi del pubblico abbinati a manifestazioni canore di vario tipo… e di non pochi decibel. Io credo che gran parte degli italiani (tanto per stare in casa nostra) siano affascinati da questo modo di concepire un programma (oltre a quelli di carattere sportivo), in cui l’ostentata enfasi spesso non ha limiti. E non si tratta di concorrenti modestamente istruiti e acculturati, ma anche fior di professionisti e di laureati che intendono provare l’ebbrezza dello scenario televisivo: fama e notorietà, oltre ad una possibile vincita in denaro, più verosimilmente in gettoni d’oro. Ma ciò che maggiormente indigna è che i presentatori sono i primi ad esultare dando rilevanza al denaro in palio (grazie agli sponsor), e a decretare il campione dei campioni: perché ha saputo rispondere (e spesso ad indovinare) ad alcune domande? È pur vero che se non ci fosse in palio il denaro od altri premi non vi sarebbero concorrenti, e di conseguenza nemmeno tali programmi; ma è altrettanto vero che l’eccessiva ambizione come anche l’avidità il più delle volte fanno perdere di vista (e nessuno se ne accorge) il senno della sobrietà e della modestia. Queste mie osservazioni-considerazioni sicuramente non saranno condivise da alcuno, o comunque da pochi, come pure la velata critica agli autori di questi format che, a mio avviso, non sono certo paragonabili a quelli di qualche decennio fa. Mi pare di ricordare, ad esempio, che alcuni dei “precursori” di questi giochi a quiz come “Lascia o raddoppia?” o “Il Musichiere”, andati in onda rispettivamente dal 1956 al 1959 e dal 1957 al 1960, avevano una impostazione più “composta” e nell’espressione dei concorrenti non si ravvisava una eccessiva smania di vincere, ma il piacere di gareggiare e confrontarsi con più spontaneità ed umiltà. Ma i tempi sono cambiati e con essi usi e costumi, come pure il modo di intendere la vita materiale: forse perché la televisione era agli albori, oppure perché non c’erano altre distrazioni; oltre al fatto che oggi con i molteplici canali televisivi sono incrementate le esigenze della pubblicità e, di conseguenza, le innumerevoli proposte di programmi. Inoltre vi sono dei programmi con il pubblico in studio invitato appositamente per fare da claque, ossia per applaudire (spesso a comando della regia o del presentatore) o fischiare, quindi non solo per sostenere la performance del concorrente ma anche per completare quella coreografia che, a mio avviso, sa tanto di ipocrisia. Inoltre c’è da aggiungere che, determinati programmi, fanno bella mostra di sé perché in parte finalizzati alla beneficenza, come dire che: «Se non ci pensa lo Stato, ci pensiamo noi». Ma oltre ad aver fatto le mie “severe” e personalissime osservazioni, vorrei fare una proposta. Invece di mettere in palio del denaro, visto che si legge poco, sarebbe più utile e intelligente mettere in palio una serie di libri o enciclopedie, ma mi rendo conto che ciò è anacronistico e pertanto non vi sarebbero concorrenti… Del resto, anche se libri ed enciclopedie hanno un costo, non emettono lo stesso suono ed effetto visivo del denaro contante. Anni fa fui invitato a partecipare ad un concorso giornalistico (nel bando non era esplicitato il premio), e sul momento esitai perché ritenevo di essere un privilegiato nel conoscere il tema del concorso: si trattava di sviluppare la biografia di un notissimo pesonaggio storico del secolo scorso; ma fui caldamente sollecitato a non desistere. Tuttavia, accettai anche in considerazione della mia professione. Ebbene, con mia sorpresa vinsi il primo premio (in quel caso denaro messo a disposizione da Enti privati) che, per ragioni di ovvietà non potei rifiutare… Tale esito mi confortò in ragione della mia profonda conoscenza della biografia di quel Personaggio, ma in fondo restai intimamente ancorato ai miei principi… Da allora sono passati diversi anni, e altre occasioni analoghe non mi sono mancate, ma non volli mai partecipare ad altri concorsi od inziative simili, appagato unicamente dal poter dire e diffondere quello che penso e quello in cui credo: attraverso i miei articoli e le mie conferenze, un premio che per me non ha prezzo! Vorrei concludere rammentando che del resto nessuno legge più, al giorno d’oggi, salvo quelli che scrivono e pochi altri. Anche per questa ragione il mio aforisma dice: «Una camicia in meno per due libri in più», che osservo scruolosamente.