Il nostro weekend solidale a Nuoro e Oliena con la Prometeo AITF onlus – 3^ parte
di Marcella Onnis
Come anticipato, la seconda tappa del mini-tour della Prometeo AITF onlus è stata Oliena, uno dei paesi più duramente colpiti, lo scorso novembre, dal ciclone di cui le campagne mostrano ancora il triste ricordo. E qui, peraltro, che, durante l’alluvione, mentre accompagnava in ambulanza una persona in gravi condizioni, ha perso la vita l’agente di polizia Luca Tanzi.
Ma, nonostante gli eventi drammatici che più volte l’hanno colpita, Oliena continua a distinguersi per la sua generosità e solidarietà, anche quando si tratta di dare una nuova vita a qualcuno. Come ha precisato l’assessore alle Politiche sociali Antonello Cossu è, infatti, il Comune sardo con la più alta percentuale di donazioni per abitante (negli ultimi dieci anni sono state sei le famiglie che hanno acconsentito al prelievo degli organi di un loro caro).
Qui l’associazione ha organizzato, per la sera di sabato 19 gennaio 2014, un’assemblea rivolta a tutti i cittadini. Anche in quest’occasione, però, i ragazzi hanno avuto un ruolo determinante. In particolare, lo ha avuto la leva del ‘95: un bel gruppetto di ragazzi vispi, tutti dotati di felpa identificativa (rosa fashion per le ragazze, nera per i ragazzi), personalizzata sul davanti con il proprio nome o soprannome e arricchita sul retro da una frase significativa: “Il pensiero unisce ciò che la distanza separa”. La distanza che, con il pensiero, questi neomaggiorenni sono in grado di coprire è ampia e dolorosa perché è quella che li separa da Mathias Biscu, il loro coetaneo che, tre anni fa, ha perso la vita in un incidente stradale. Il suo sacrificio, però, non è stato vano: ha consentito, infatti, di salvare cinque persone con un trapianto. Per ricordare l’amico e il bellissimo atto d’amore della sua famiglia, lo scorso 21 dicembre questi ragazzi hanno organizzato una giornata di informazione – con la presenza dell’educatore Lorenzo Braina – e di intrattenimento – con esibizioni di canto a tenore, cui hanno partecipato alcuni di loro e persino piccoli cantanti. Il loro senso civico – un concetto un po’ retrò che, tuttavia, in questo caso è davvero appropriato – e il loro spirito solidale è emerso anche durante l’assemblea alla quale hanno dedicato un ascolto attivo. Prova ne sia il fatto che, dopo l’incontro, alcuni di loro si siano subito premurati di compilare una “card del donatore” (ossia una tessera con cui è possibile esprimere la volontà di donare gli organi post-mortem).
Oltre a questi giovani, tra il pubblico – numeroso nonostante la concomitanza con altre manifestazioni – c’erano anche tanti adulti, compresi familiari di donatori. Naturalmente erano presenti anche Graziella e Gianfranco Biscu, genitori di Mathias, che, dopo la loro coraggiosa scelta, hanno cominciato a svolgere attività di promozione della donazione degli organi. Descrivere a parole, senza risultare melensi e quindi poco attendibili, ciò che queste due persone riescono a trasmettere anche a chi li incontra per la prima volta è molto, molto difficile: c’è nei loro gesti, nei loro sguardi una purezza d’animo, una dolcezza e una generosità tanto rara quanto avvolgente, rassicurante. Nel loro calore c’è la prova vivente che anche un dolore così grande, forse il più orribile che esista al mondo, si può vincere. Non lo si può cancellare, ma è possibile almeno impedirgli di inaridire il cuore. I genitori di Mathias non si sono chiusi in se stessi né hanno ritenuto che con il loro “sì” quel giorno si siano liberati del dovere (e del piacere) di fare qualcosa per gli altri. Al contrario, continuano a darsi da fare per sostenere le iniziative degli amici di Mathias, per contribuire ad assicurare loro un futuro sereno. Graziella, inoltre, segue ragazzi con disabilità grave e altri normodotati che, però, hanno delle problematiche serie. Lavorano tanto, ma nelle loro giornate c’è sempre tempo per gli altri, giovani e adulti. Se la Prometeo AITF Onlus ha con questo grazioso paese «un rapporto speciale» – come ha voluto rimarcare il presidente Giuseppe Argiolas – è proprio grazie a loro e alle altre cinque famiglie di donatori, grazie alla «straordinaria solidarietà» che Oliena esprime.
L’incontro serale è stato introdotto e moderato dal dott. Stefano Dedola, che con grande naturalezza e accortezza ha saputo bilanciare i momenti commoventi con alcuni aneddoti divertenti. Come ex responsabile dal day hospital del Centro trapianti di fegato dell’ospedale “G. Brotzu” di Cagliari, ha voluto ricostruire brevemente la storia di questa struttura, nata nel 2004 con il supporto del Centro trapianti di fegato di Torino (la struttura che ha eseguito il più alto numero di trapianti di fegato in Italia e in Europa) e giunta, quindi, al suo decimo anno di attività. La possibilità di praticare i trapianti di fegato in Sardegna – ha raccontato Dedola – ha posto fine ai cosiddetti “viaggi della speranza”, cioè alle trasferte che le persone in lista per un trapianto, accompagnate dai loro familiari, dovevano necessariamente affrontare per subire l’intervento fuori dall’Isola e, successivamente, per effettuare i necessari controlli post-trapianto. Viaggi che, è facile comprenderlo, comportavano notevoli disagi e difficoltà, anche di tipo economico. La nascita di questa nuova struttura, completa di professionisti appositamente formati a Torino, ha, inoltre, determinato un miglioramento della qualità dei servizi offerti dall’ospedale e, in generale, da tutta la sanità sarda. Le innovazioni, peraltro, non sono finite: il dott. Dedola ha annunciato che il Centro trapianti di fegato di Cagliari si sta, infatti, preparando per realizzare il trapianto di fegato da vivente. «La Sanità buona funziona e bisogna tenersela stretta.» E chissà cos’altro ancora potrebbe offrire se, in tutta Italia, venissero gestite correttamente e onestamente le risorse disponibili, si è domandato più tardi, in un momento di riflessione tra pochi intimi, Severino Picciau, nuovo tesoriere della Prometeo AITF Onlus. A tutti noi piacerebbe proprio poterlo toccare con mano questo risultato…
La manifestazione è servita non solo a promuovere la donazione degli organi ma anche a fare corretta informazione sui trapianti. Ad esempio, rendendo noti dati tutt’altro che scontati come il fatto che spesso i malati apparentemente più gravi, quali quelli con neoplasia al fegato, hanno una sopravvivenza più alta rispetto agli altri trapiantati (la sopravvivenza media è di 20-25 anni). Oppure, spiegando, come ha fatto il dott. Runfola, che cos’è la cirrosi, di cui si parla tanto ma non sempre con cognizione di causa. Il nome deriva dalla forma che fa assumere al fegato, a bozzi, e può avere varie cause quali infezioni virali, abuso di alcool o di alcuni farmaci. Porta l’organo a indurirsi e a non funzionare più; in alcuni casi, inoltre, sulla cirrosi possono anche svilupparsi tumori epatici. Conduce il malato alla morte, ma oggi – ha spiegato il chirurgo – i farmaci consentono di allungargli la vita e di limitare le problematiche connesse al malfunzionamento del fegato, anche se «ciò che spezza “la storia” della cirrosi è solo il trapianto.» Se causata da virus, la cirrosi può ripresentarsi anche dopo l’intervento, ma esistono farmaci che la combattono in maniera più efficace rispetto a quelli che si assumono prima del trapianto.
Dopo di lui ha preso la parola la dott.ssa Napoleone, che ha raccontato la sua esperienza nella duplice veste di anestesista prima e rianimatrice oggi: quello di anestesista «era un lavoro più sereno perché il paziente risorgeva a nuova vita. In Rianimazione è tutto più difficile: spesso il paziente muore e quando accade, si deve chieder ai familiari il consenso al prelievo degli organi. Ma qui ho trovato grandi risposte: sono i familiari stessi, spesso, a chiedere se è possibile donare.» Il rispetto mostrato dai rianimatori per il loro dolore e il loro coraggio («la donazione è un atto molto forte e molto triste.» ha voluto ricordare la dottoressa), fa sì che si instauri un rapporto d’affetto anche con loro, non solo con i trapiantati («Continuiamo ad avere contatti con le famiglie di donatori.»). Un’immagine ben diversa da quella di sciacalli con cui, purtroppo, un tempo li si dipingeva. «È molto pesante anche per noi rianimatori, ma lo dobbiamo fare perché dopo c’è la parte più bella: il trapianto.» C’è un legame fortissimo tra trapiantato e donatore (anche perché, come dicono gli spagnoli “Sin donante no hay trasplante”, “Senza donatore non c’è trapianto”), ma la riconoscenza verso quest’ultimo è forte anche per il medico, al punto da mettere gratuitamente a disposizione il proprio scarso tempo libero per appuntamenti come questi: «Ci impegniamo nella sensibilizzazione – ha detto il dott. Runfola – perché ci sentiamo tutti debitori verso chi dona.»
Le domande del pubblico non si sono fatte aspettare e a rompere il ghiaccio è stata una brillante ragazza della leva ‘95, desiderosa di sapere se, nel caso in cui un paziente debba arrivare da lontano per l’intervento, l’organo possa diventare inutilizzabile. «Si corre! » le ha risposto il dott. Runfola, con la stessa prontezza con cui rispondono medici e pazienti quanto arriva la notizia che c’è un organo disponibile. E poi ha aggiunto che «le ore a disposizione non sono così poche, ma non c’è tempo da perdere. Il cuore soffre molto l’ischemia (cioè l’assenza di ossigeno), mentre il fegato regge di più.»
La stessa ragazza ha chiesto anche numi sull’età massima e minima del donatore, ottenendo risposta dalla dott.ssa Napoleone: «Attualmente l’età è salita tantissimo. Si prelevano organi anche da persone di ottant’anni, purché siano in buone condizioni. L’età non è più una barriera. Al momento in Sardegna non esiste un programma di trapianti pediatrici per cui gli organi si prelevano anche dai bambini, ma si trapiantato fuori dall’Isola.» Il limite, dunque, non è dato dall’età ma dalla salute del donatore: nel caso di malati di tumore, ad esempio, difficilmente si procede con il prelievo perché il trapiantato, in quanto immunosoppresso rischia che le cellule tumorali si riproducano nel suo organismo. Ma a distanza di anni da un intervento di rimozione di un tumore, se il paziente era guarito, può diventare donatore. Non solo: in caso di tumori ad uno stadio iniziale, l’organo viene comunque proposto al ricevente, perché il rischio è basso, e se questo accetta, dopo il trapianto viene inserito in un apposito registro e monitorato. In questi casi, però, ricevente e donatore devono avere la stessa età. Nel caso in cui, invece, il paziente abbia subito un infarto potrà donare organi diversi dal cuore.
«E un portatore di epatite B può donare gli organi?», ha chiesto uno dei presenti. «Dipende dalla forma. – ha risposto il dott. Runfola – In caso di epatiti B passate, per cui non c’è più virus nel sangue sì, perché esistono terapie farmacologiche che consentono di azzerare il rischio che i virus si difondano nel ricevente. Si studia caso per caso, cercando per ogni donatore il giusto ricevente.» I maggior i problemi si hanno, invece, con l’epatite C: nel 40% dei casi, infatti, si ripresenta la cirrosi da essa causata e, a volte, si rende necessario un secondo trapianto. Oggi, però, si stanno sperimentando dei farmaci che potrebbero guarire pure questa forma di epatite. Anche per quanto riguarda le malattie autoimmuni, l’idoneità a diventare donatori può essere stabilita solo caso per caso, a seguito degli esami che vengono effettuati durante le 6 ore di osservazione previste dalla legge.
Abbiamo accennato prima al trapianto di fegato da vivente, un argomento che ha destato curiosità nei presenti: se è facile comprendere come sia possibile con il rene, visto che ne possediamo due, è certo meno immediato immaginare come sia possibile praticarlo per quest’altro organo. È possibile perché – ha spiegato la dott.ssa Napoleone – «il fegato ha due parti , una più grande (lobo destro) e una più piccola (lobo sinistro), quindi lo si può dividere e trapiantare su un’altra persona la parte più piccola, che poi si sviluppa. Non diventa mai come un fegato normale, ma è sufficiente per avere una funzionalità completa dell’organo. Anche il fegato di un donatore morto si può dividere (con il cosiddetto trapianto split) e dare la parte più piccola ad un bambino.» I bambini per altro, ha spiegato il dott. Dedola, sono quelli che soffrono di più in attesa del trapianto, per questo sono i primi che ci si preoccupa di salvare. Tra l’altro, pur disponendo nel nostro Paese di sole 6-7 strutture per il trapianto pediatrico, l’Italia è tra i centri di eccellenza per questo tipo di intervento. Ma, tornando al trapianto di fegato da vivente, la parte più piccola del fegato può andare anche ad una persona di statura minuta. «È un trapianto molto più complesso, – ha specificato il dott. Runfola – quindi si fa in pazienti in grado di supportare un decorso post-operatorio più faticoso che per chi riceve un fegato intero. E pure il donatore deve stare bene dopo l’intervento. Poi è possibile solo tra consanguinei.» Chiarendo altri dubbi dei presenti, il chirurgo ha spiegato che la cistifellea o colicisti è un semplice serbatoio della bile e che se anche si riceve la parte di fegato che ne è priva, si sta bene comunque, esattamente come accade dopo interenti in cui viene asportata.
Che il discorso centrale sia sempre la donazione ormai dovrebbe essere un dato appurato. E centrale, pertanto, non poteva che essere anche il bellissimo intervento di Gianfranco Biscu: «Le persone che donano sono classificate come eccezionali e, purtroppo, lo sono perché non ce ne sono tante. Ci terrei tanto che tutti uscissimo da qua col proposito di convincere almeno altre 3-4 persone a prendere questa decisione, ad allungare, con un semplice gesto, la vita di un’altra persona. Bisogna parlarne perché, come è successo a noi, queste cose capitano all’improvviso e allora bisogna ricordare ciò che si diceva, parlandone magari davanti a un servizio televisivo su in incidente stradale. Risolvere questa cosa è una banalità: il Comune, le scuole, possono farsi portatori di questa opportunità. Si può parlarne ad un ragazzo che viene per farsi rilasciare la carta di identità. Siamo eccezionali e non vorremmo esserlo.» Poche parole, cariche di emozione ma chiarissime, in grado da sole di abbattere muri di pregiudizi, resistenze ed egoismi.
Diventare donatori post–mortem è semplice: come hanno ricordato i medici, è sufficiente anche scrivere il proprio nome e cognome seguito dall’espressione di tale volontà in un qualunque foglietto di carta. Più difficile, invece, è prender questa decisione per i familiari, come ha ricordato la dott.ssa Napoleone, per questo «la cosa principale da fare è parlarne»
Per quanto riguarda il coinvolgimento dei comuni, opportunamente chiamati in causa da Biscu, il presidente Argiolas ha ricordato che diversi comuni della Sardegna, quali Cagliari, Carbonia, e Iglesias, si sono già attivati per registrare, presso l’Ufficio anagrafe, le dichiarazioni di volontà e che presto lo faranno anche altri comuni, tra i quali Oliena.
Foto Prometeo AITF Onlus