A Torino I MOLTEPLICI ASPETTI DELLA MEDICINA DI GENERE

Conferenze ai Lunedì della Prevenzione e della Salute nella sede del Molecular Biotechnology Center

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Quattro gli interventi su un tema di grande attualità e che coinvolge più Discipline mediche: la Medicina di genere. Il primo ha visto tra i relatori la dott.ssa Tiziana Claudia Aranzulla (nella foto), cardiologa alla A.O. Mauriziano sul tema Il cuore delle donne che, riferendosi ad un suo lavoro del 2013, ha spiegato che su sulla popolazione italiana osservata per 14 giorni, in tutti i pazienti con sindromi coronariche  acute ad alto rischio, si è notato  che l’offerta di una terapia interventistica era minore  nelle donne, ma anche i vari farmaci particolarmente efficaci venivano somministrati meno nelle donne e, nonostante queste fossero “sotto trattate”, avevano più complicanze rispetto agli uomini. «Ma la cosa più importante – ha spiegato – era mostrare non il genere non femminile in quanto tale, ma l’invio alla sala di emodinamica che riduceva le opportunità, e ciò a dimostrazione della “discriminazione” a monte. È un problema europeo e si è voluto osservare se permanevano le differenze legate al sesso, e perché venivano negate le terapie invasive alle donne, con il risultato che queste erano più anziane, più malate, trattate meno e morivano di più in ospedale indipendentemente dall’età». Ma tutto ciò perché ? «Le risposte sono state diverse – ha precisato la relatrice – in quanto più incidenza di insufficienza renale, minor ricorso in sala di emodinamica, pazienti più malate, più anziane e quindi meno trattate. Ma a parte le risposte, nonostante le Linee  Guida siano neutre a riguardo, ancora oggi il sesso femminile è un fattore predittore negativo per l’utilizzo delle metodiche invasive, ed è associato a maggior mortalità intraospedaliera». Ma ciò nonostante la malattia cardiovascolare è la principale causa di morte nella donna in tutto il mondo; a tutte le età la mortalità è aumentata negli ultimi trent’anni e soprattutto è in aumento la mortalità per infarto nelle donne tra i 45 e i 49 anni, ma anche oltre i 40. E quali le differenze? «Le malattie cardiache – ha precisato – non sono una prerogativa dell’uomo; tuttavia vi sono differenze biologiche in quanto rispetto agli uomini sono più longeve, più forti dalla nascita, più complesse, più malate anche perché giungono all’osservazione medica più tardi…; sono comunque meno rappresentate negli studi clinici con meno informazioni specifiche e meno trattamenti. I fattori di rischio sono molteplici come quelli genetici e quelli modificabili (vizi voluttuari, l’ipertensione, diabete (soprattutto in menopausa), dislipidemia, obesità, scorretto stile di vita, gli “scambi sociali”, etc.». I fattori protettivi nelle donne sono gli estrogeni: maggior prevalenza di malattie autoimmuni, reumatologiche, infiammatorie e muscoloscheletriche, oltre alle terapie come il cortisone e i relativi effetti collaterali. Gli estrogeni proteggono perché hanno effetto antinfiammatorio, anti piastrinico e riducono la formazione della placca antisclerotica. Per quanto riguarda i sintomi (atipici), soprattutto nelle donne con meno di 40 anni, la cardiologa ha ricordato essere in luogo del classico dolore al petto o irradiato al braccio sinistro: costrizione al giugulo, dolore interscapolare, dolore al braccio destro o a entrambe le braccia, dolore alla mandibola o ai denti,  dolore gastrico, sintomi di indigestione, sintomatologia respiratoria “bronchitica”, nausea o malessere generale, sudorazione fredda profusa, sensazione di angoscia, vertigini, stanchezza inspiegabile, ritardo tra inizio sintomi e afferenza al cardiologo. «La probabilità di ricevere una diagnosi errata – ha precisato – è 7 volte maggiore nella donna rispetto all’uomo in P.S. La descrizione del sintomo, per i vari pregiudizi, comporta  un ritardo di diagnosi che, dopo un attacco cardiaco, si rivela molto importante tanto da determinarne la mortalità… E durante una sindrome coronarica acuta l’ECG può essere non diagnostico soprattutto nelle donne, e quando la donna arriva alla coronarografia ci sono ancora differenze come in tutto l’iter diagnostico… Ma bisogna considerare che vi è una diversa distribuzione della malattia coronarica, in quanto nella donna si riscontra una malattia più diffusa con eventuale complessità nel trattamento. Tuttavia, ci sono donne che arrivano correttamente alla diagnosi, ma che all’esame della coronarografia non si riscontra una lesione che restringe la coronaria…. Vi sono inoltre delle situazioni legate al dispiacere (assai frequenti) che simulano un infarto ma che tale non è». Ulteriori sono le differenze nelle donne in tutti gli iter clinico-sanitari: dalla diagnosi alla individuazione del sintomo e alla cura, come pure le procedure interventistiche sono effettuate meno nelle donne, e i risultati non sono dei migliori anche perché le donne hanno le coronarie più piccole, più tortuose, più malate e vanno incontro anche a maggiori sanguinamenti…, come pure la mortalità è meggiore nel sesso femminile. È evidente che esiste realmente un “gap”, ma è opportuno aumentare la consapevolezza, la comunicazione, la cultura e la sensibilità dal punto di vista del medico. E anche se i farmaci hanno una documentata efficacia, esiste una sotto prescrizione nelle donne. Quindi Medicina maschilista? «Non proprio – ha precisato la dott.ssa Aranzulla – anche se gli studi  in questo ambito sono più diffusi nella popolazione maschile, ma pazienti trattati da medici donne vanno meglio che pazienti trattati da medici uomini; ma in realtà la qualità del trattamento non dipende dal genere ma dalla qualità del medico e dalla qualità dell’ospedale, e di altri fattori come il ritardo diagnostico». La dott.ssa Aranzulla è referente responsabile per la cardiologia interventistica al neonato Centro Cardio Donna dell’ospedale Mauriziano, dedicato alle donne per problemi di cardiopatie, soprattutto giovani donne in età fertile e nella fascia di età dai 30 ai 50 anni. Il Centro è gestito da medici e infermieri donne per “garantire” l’ascolto da parte di donne e per la dovuta sensibilità e riservatezza nell’esecuzione di esami e procedure che implichino la nudità del torace. Una iniziativa che non implica necessariamente la Medicina di Genere, ma una più “mirata” dedizione alla donna cardiopatica o presunta tale.

La prof.ssa Chiara Bendetto (nella foto), direttore della S.C. di Ginecologia e Ostetricia all’ospedale Sant’Anna di Torino, è intervenuta sul tema La prevenzione genere-specifica nel percorso di vita della donna, un percorso che dovrebbe essere continuo, ma quando deve iniziare? «In utero, anzi, ancora prima – ha precisato – in previsione di una gravidanza. Per investire sulla salute delle generazioni future, ossia investire sulla salute delle future mamme, quindi sulle donne in età fertile. «I primi 9 mesi – ha spiegato – possono “influenzare” tutto il resto della nostra vita, in quanto secondo molti dati scientifici hanno dimostrato che, a seconda di quanto avviene durante la gravidanza, si potrà  “riprogrammare” funzionalmente e strutturalmente  gli organi: l’ambiente può influenzare il rischio di sviluppare alcune malattie”. Infatti, è stato dimostrato che alcune malattie “non trasmissibili” (non infettive) hanno origine nella vita intrauterina, ossia il rischio maggiore o minore di sviluppare determinate patologie può dipendere cosa sia successo durante la  gravidanza: in caso di obesità, diabete, ictus, infarto, ipertensione, etc.». È noto che le differenze di genere iniziano in utero, e uno dei meccanismi fondamentali di tutta l’esistenza umana è quello dell’adattamento agli stimoli esterni: ci sono delle notevoli differenze nella capacità di adattamento già all’interno dell’utero. Le relative strategie sono diverse a seconda che il feto sia un maschio o una femmina. Se l’ambiente materno è avverso la strategia maschile è minimalista… e ciò si associa ad un alto rischio come il verificarsi di un parto pre-termine, o la morte in utero nel caso in cui si verifichi un altro evento avverso durante la gravidanza. La strategia femminile è molto diversa e articolata: la placenta risponde a questo ambiente uterino non ottimale con molti cambiamenti di geni e proteine, finalizzati a far crescer meno il feto, a risparmiare energie pur non raggiungendo dei livelli patologici. Questo tipo di risposta funzionale facilita la sopravvivenza del feto, ma al prezzo di una aumentata vulnerabilità nel corso di quella che sarà la vita fuori dall’utero. «I neonati pre-termine – ha precisato la relatrice – hanno un maggior rischio di distress respiratorio fetale appena nati, e sembra che questo sia dovuto al fatto che gli androgeni interferiscono in qualche modo la produzione di sostanze che rivestono gli alveoli polmonari, in modo che il polmone riesca ad espandersi e a non collassare. Una volta nati la prevenzione dipende dalla famiglia con tutti gli accorgimenti per la buona crescita del nascituro. C’è da tener presente della suscettibilità che dipende dal genere in considerazione dei fattori di rischio modificabili, solitamente maggiori nella donna: vedasi l’obesità, il fumo sia attivo che passivo anche quando la donna è in gravidanza, uso degli alcolici, intolleranza al glucosio (zuccheri), etc. Giunta alla adolescenza la prevenzione dovrebbe aver raggiunto un indice di “sicurezza”, in considerazione di altri aspetti che possono incidere sul futuro del giovane soggetto: stile di vita, vaccinazioni e contraccezioni». Alla luce di tutto ciò esiste una notevole opportunità per le donne di migliorare i propri stili di vita e di comportamenti per ridurre, ad esempio, il rischio di una gravidanza indesiderata, parte delle quali si risolve in una interruzione della stessa, e per evitare questa evenienza (l’aborto) è una contraccezione efficace; prevenire le malattie sessualmente trasmissibili (che purtroppo stanno aumentando notevolmente soprattutto fra i giovani), l’obesità, l’osteoporosi, le patologie neurodegenerative, cardiovascolari, oncologiche, etc. «Ma una ulteriore e importante opportunità – ha aggiunto – è la vaccinazione primaria con la possibilità di ridurre i tumori sia per le donne che per gli uomini: 99% dei tumori del collo dell’utero correlati all’HPV, 84% dell’ano, 70% della vagina,  50% del pene,  40% della vulva,  40% dell’orofaringe, 20% della cavità orale. Il vaccino è sostanzialmente innocuo in quanto contiene quelle proteine con la conseguente risposta immunitaria che protegge. Il vaccino HPV è gratuito per i giovani 12enni e con la garanzia della massima efficacia; ma anche a tutte le donne (dal 1993) di 25 anni, e a tutte le donne in cui sono state riscontrate e trattate lesioni cervicali per neoplasie inter epiteliali della cervice di grado 2 o superiore. Ma resta fondamentale la contraccezione attraverso una consulenza approfondita in modo da fare una scelta contraccettiva “personalizzata”, tenendo conto delle caratteristiche della persona. Tutto ciò, oltre a considerare i contraccettivi ormonali che favoriscono un minor rischio di infiammazione pelvica, insorgenza tardiva della menopausa, minor rischio di malattie cardiache, e di alcuni tumori, e riduzione per il 13% della mortalità».

Sul tema Farmacologia sesso genere-specifica: prevenzione e pratica di cura è intervenuta la dott.ssa Silvia De Francia (nella foto), farmacologa presso l’Università di Torino, il cui ruolo specifico consiste nel comprendere se il paziente abbia una adeguata compliance seguendo una determinata terapia, adeguata e impostata con farmaci efficaci e nel contempo quasi tossici…, in quanto le dosi di efficacia e tossicità sono molte vicine. «E questo in considerazione degli effetti collaterali inattesi – ha spiegato – ossia con una efficacia minore rispetto a quello che ci si attende e di fronte a popolazioni come le pediatriche, il cui fegato è in continua evoluzione, e alla popolazione più anziana che è molto predisposta ad assumere più farmaci rispetto alla fascia di pazienti più giovani». L’ottimizzazione delle terapie implica il concetto di curare i pazienti e non le malattie, adeguando la risposta farmacologica. Ma che cos’é la Medicina di genere? «Se ne parla sempre di più – ha precisato la relatrice –: è la Medicina che non cura le malattie ma le persone, con un approccio multidisciplinare volto a considerare la “barriere” di sesso e di genere, sull’incidenza e sul decorso delle principali malattie, e sulla risposta al trattamento farmacologico, quindi a garantire a tutte e a tutti il miglior trattamento possibile. La differenza fra il sesso e la nostra concezione biologica ci accompagna sin dalla nascita, e il genere è un costrutto sociale all’interno del quale rientrano molte variabili…, il genere è come si nasce e come diventiamo, o come siamo “forzati” a diventare dalla società». Il tutto rientra nell’espressione di genere e l’identità stessa di genere, ma bisognerebbe parlare anche della sperimentazione in quanto totalmente assente sulle persone transgender, toccando il tema dell’identità, ossia di quel senso di profonda appartenenza sin dalla nascita. Ma su questo aspetto è bene rivedere la comunicazione affinché sia più corretta…«Il problema – ha precisato – è che oggi le donne non vogliono essere uguali all’uomo: gli uomini  e le donne sono fondamentalmente diversi, e ciò va affermato con decisione anche se la storia, sinora, è stata imbarazzante in quanto ha sempre posto la donna in un ruolo inferiore dal punto di vista biologico e della rappresentanza sociale». Ma al di là della salute riproduttiva delle donne, per molto tempo non si sapeva quasi nulla… Negli anni ’80 il modello preferito era ancora quello del maschio di 150 anni prima, e il ruolo unico conferito alle donne per secoli, era quello di essere mogli e madri funzionanti… La Medicina di genere parte con la cardiologia, ma un’altra realtà è assai presente ad oggi in molte altre discipline specialistiche. «Le donne che vanno in menopausa precoce – ha spiegato la farmacologa – hanno un maggior rischio di incorrere in un declino cognitivo, ma questo vale anche per l’uomo. Ci sono inoltre fattori “non sesso specifici” per individuare il declino cognitivo nelle persone, come l’età e la depressione maggiore nelle donne, mentre le apnee notturne sono maggiori negli uomini. Va rilevato che non soltanto la Biologia può spiegare le differenze e l’incidenza delle malattie, ma anche i fattori di rischio sociali. La Medicina di genere studia anche questi». Le donne nel mondo sono mediamente meno istruite, fanno lavori meno stimolanti, sono più caregiver nella famiglia degli adolescenti e dei genitori anziani; per queste ragioni si dovrebbe pensare ad una istruzione per le donne, che sia paritaria rispetto agli uomini, e questo per proteggersi in vecchiaia dal declino cognitivo. «La donna – ha ancora precisato la relatrice – è maggiormente soggetta alla depressione, mentre il suicidio è molto più frequente nell’uomo. Il nostro SNC si basa sull’equilibrio di diversi neurotrasmettitori, che sono alla base del funzionamento dei principali farmaci. E l’uso di questi nella salute mentale riguarda le donne sotto i 54 anni e sopra i 74 anni di età, inoltre consumano più farmaci rispetto all’uomo. È quindi evidente che bisogna privilegiare l’indagine sulle cause dei problemi, come il “de-prescrivere” i farmaci per “ricostruire” la salute mentale e sociale delle persone». Ma va anche ricordato che esiste un sistema immunitario che funziona diversamente fra gli uomini e le donne, e il Covid ci ha fatto capire che ha coinvolto maggiormente gli uomini, quindi la necessità di approfondire le variabili che caratterizzano la popolazione maschile. «La farmacologia di genere – ha concluso la dott.ssa De Francia – deve proporre  dei trattamenti farmacologici per ciascun individuo: uomo, donna e persone transgender. I farmaci funzionano in modo diverso negli uomini e nelle donne per cinetica e per dinamica, ossia per effetto farmacologico a seguito del raggiungimento del bersaglio molecolare».

Il dottor Franco Ripa (nella foto), dirigente alla Programmazione Sanitaria in Assessorato della Regione Piemonte ha trattato Il modello di sviluppo della Medicina di genere, spiegando che in questi ultimi decenni la popolazione è mutata sensibilmente, sia uomini che donne, tant’é che a partire dalla seconda metà del secolo scorso, risultano meno giovani e più anziani, e il 65%  della popolazione è ultra 65enne. Ciò comporta risposte sanitarie sia dal punto di vista della programmazione che della organizzazione, tenendo conto nel contempo di quella che sarà l’evoluzione e prevedendo che nel 2050 la popolazione ultra 65enne sfiorerà il 34%. «In Piemonte – ha ricordato – nascono più maschi che femmine, ma con l’avanzare dell’età è predominante la popolazione femminile, con una speranza di vita maggiore per le donne rispetto agli uomini. Il Piemonte rappresenta il 7,2% della popolazione italiana, e al 31/12/2021 nella Regione subalpina risiedevano quasi 4 milioni e 300 mila abitanti, oltre 2 milioni maschi e altrettanti femmine ma più maschi entro i 65 anni con lieve tendenza ad essere superati dalle femmine. Per quanto riguarda l’aspettativa di vita, in Italia, è in aumento in tutte le Regioni, nella Regione subalpina è più alta tra le femmine e l’eccesso di mortalità maschile inizia dalla giovinezza permanendo in tutta l’età adulta». Ma perché parlare di Medicina di genere? Come si attua il piano per la MdG nella Regione Piemonte? E quali sono gli sviluppi futuri? L’Oms definisce la Medicina di genere  come lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso), socio-economiche e culturali (definite dal genere), e sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. «Con il DM del 13/6/2019 – ha spiegato il relatore – il Ministero della Salute ha adottato il “Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di genere”, fornendo un indirizzo sostenibile per la sua diffusione con la divulgazione, la formazione per le pratiche sanitarie he tengano conto  della ricerca, dei programmi di prevenzione, e nella diagnosi di cura; quindi al fine di garantire  qualità e appropriatezza delle prestazioni erogate dal SSN. La Regione Piemonte, per migliorare la qualità e l’appropriatezza  di tali prestazioni nella MdG, ha deliberato nel 2021 il Piano per l’applicazione e la diffusione della stessa, peraltro adottato a livello nazionale con il DM del 13/6/2019; tale Piano è articolato in due parti; l’inquadramento generale dell MdG, che viene spiegato che cos’é la MdG, gli ambiti di intervento e l’approccio di genere in Sanità; e la presentazione di un’analisi del contesto internazionale, nazionale e regionale. Si tratta di un programma che richiede il monitoraggio per la misurazione degli esiti degli interventi realizzati, e del loro impatto sul territorio regionale; tale monitoraggio consente di individuare gli sviluppi futuri». La Rete dei referenti regionali per la MdG è coordinata dai referenti regionali per la stessa, ed è organizzata per aree territoriali che, a loro volta, sono rappresentate nel Gruppo Tecnico Regionale istituito nel 2021.

Foto a cura di Giovanni Bresciani

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