Adele Costanzo dona consistenza ai cerchi nell’acqua
“La malinconia è la gioia di essere tristi”: quanto è vera questa frase di Victor Hugo, eh? Parto da questa citazione perché leggere Adele Costanzo mi rende felice e, probabilmente, mi rende felice perché i suoi libri sono malinconici: indugiare nella malinconia è, infatti, un piacere irrinunciabile… almeno per chi ha tendenze autolesionistiche. A pensarci bene, però, è forse un altro il sentimento che questa autrice sa evocare, quello che i tedeschi riescono a descrivere con una sola, intraducibile parola: Fernweh, che letteralmente significa “nostalgia dell’altrove” e che richiama la nostalgia di posti che non si sono mai visitati ma anche di esperienze mai vissute. Seguo da anni Adele Costanzo e sono queste le sensazioni che mi aspetto da un suo libro o racconto. Come mi aspetto che, variati i contesti storici e geografici, mi faccia comunque trovare atmosfere sospese e personaggi a cui non si può fare a meno di voler bene o che non si riesce del tutto a odiare. Finora le mie aspettative non sono mai state deluse e anche il suo ultimo romanzo, “La consistenza dei cerchi nell’acqua”, si è rivelato esattamente così come lo avevo immaginato.
Il libro comincia con un bellissimo incipit, che vi riporto perché meglio della trama può farvi capire se questo libro fa al caso vostro: «Quando Jan […] saluta Valentina prima di uscire di casa, le sue rughe non sono che l’espansione del sorriso e hanno la consistenza dei cerchi nell’acqua. Sono tre piccole linee curve che nascono agli angoli della bocca, una dentro l’altra, inclinate, e s’irradiano dal centro, dal punto esatto da cui si sprigiona questa sua nuova felicità». Sin da queste prime righe, ho ritrovato ne “La consistenza dei cerchi nell’acqua” la scrittura elegante, immaginifica e lirica («[…] quel che resta del giorno cola dagli interstizi tra le nuvole e immerge la città nella luce feroce che precede la notte e la pioggia.») ma non pretenziosa di Adele Costanzo. Una bella scrittura che, in questo libro, va a braccetto con una trama tecnicamente molto ben costruita e degna di un giallo che si rispetti. E “quello giusto” risulta anche il finale.
Come d’abitudine, anche l’anima del libro è all’altezza della sua veste esteriore: calate in un contesto datato e immaginario (ma quanto l’uno e l’altro?), troviamo considerazioni sociali, politiche in senso lato ed esistenziali in cui ritrovarsi è immediato. Non mi sembra, per esempio, attagliarsi solo all’immaginaria Herenia l’essere «Un mondo pigro e stupido in cui, per dirne una, i criteri di giudizio non sono soggetti a revisione». E certo non è capitato solo a Marcel – uno dei personaggi del libro – di desiderare di «possedere un paio di forbici per fendere quell’aria di cellophane, stracciarla, e svergognare la rozza falsità di quel fondale di carta incollato alla meno peggio sulla discreta, onesta opacità del mondo».
Il fulcro del romanzo – proprio come suggerisce il titolo – sono i cerchi nell’acqua (ma ricorrenti sono pure le rughe, la mappa che dipingono sui volti e che, se questi ultimi sono particolarmente amati, possiamo imparare a memoria). Che consistenza hanno i cerchi nell’acqua? “Alcuna”, vien subito da rispondere. “Caduca”, diranno i più poetici e malinconici. E allora perché dedicar loro un romanzo così bello, tanto più se è vero – come è vero – che «Siamo cerchi tracciati sull’acqua, noi e tutto ciò che ci riguarda e che ci appartiene: una lieve increspatura, un’eccezione provvisoria all’onnipossente indifferenza cosmica»? Per scoprirlo non resta che aprire questo libro e immergersi subito nelle atmosfere incantate che, ancora una volta, Adele Costanzo ci ha saputo regalare.