AI LUNEDÌ TORINESI SI CONTINUA A PARLARE DI PREVENZIONE
di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)
Rinverdire argomenti sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari è sempre un toccasana, poiché molteplici sono i comportamenti per mantenere un cuore sano e questo anche grazie ai progressi della tecnologia. “In era ipertecnologica e 3D, ragioniamo con il cuore”, è la relazione trattata dal dott. Gianluca Alunni (nella foto), cardiologo all’ospedale CTO della Città della Salute e della Scienza di Torino, che ha ripreso il concetto dello stato di salute che, come sintetizzato dall’Oms, è da intendersi “una condizione di benessere fisico, psichico e sociale, e non semplicemente l’assenza di una malattia organica e di sintomi invalidanti”. Quindi, il concetto di malattia comprende molteplici aspetti soggettivi e non è semplicemente basato su parametri oggettivi sempre misurabili. La nostra aspettativa di vita è notevolmente cambiata: all’inizio del secolo scorso l’età media era di 47 anni, e oggi ha superato gli 85 anni; in buona sostanza rispetto ad oggi si moriva più giovani ma le patologie, quali l’ictus e l’infarto, erano minori come causa di morte. «Ma oggi, anche se si vive di più – ha spiegato il relatore –, l’impatto delle malattie cardiovascolari è molto più elevato rispetto al passato. Tutte (o quasi) le malattie non trasmissibili sono tra le principali cause di decesso, e i più importanti fattori di rischio ne aumentano le percentuali di mortalità che, come è noto, sono soprattutto il fumo, il sovrappeso, il diabete, una scorretta alimentazione, etc. Ma non meno significative sono anche le modeste condizioni economiche e gli stili di vita in genere e, per alcune patologie cardiache anche il fattore ereditarietà». Per un buon stato di salute la Sanità contribuisce solo al 15-20%, ed è evidente che per il mantenimento dello stesso molto dipende dal comportamento individuale e quindi dal “criterio” di prevenzione, primaria e secondaria. «La vita sedentaria e lo stress – ha precisato – sono ulteriori fattori da evitare, e quest’ultimo potrebbe contribuire alla depressione che sembra essere associata all’infarto: condizione non diretta ma predisponente. Da evitare l’abuso di alcol in quanto la componente calorica può essere causa della cosiddetta cardiopatia alcolica».
Tra le malattie non trasmissibili sono da ricordare quelle cardiovascolari, metaboliche, respiratorie croniche e il cancro che sono oggi tra le principali cause di morte nel mondo, lo sviluppo delle quali è strettamente legato allo stile di vita. «I determinanti dello stato di salute – ha aggiunto il clinico – sono riconducibili nella misura del 40-45% ai fattori socio-economici, stili di vita in genere e alle condizioni di lavoro e sociali, come pure al reddito, alla dieta, all’attività fisica, al fumo, etc.; per il 20-30% alle condizioni ambientali, per un altro 20-30% all’eredità genetica, e per il restante 10-15% ai servizi sanitari. Quindi la prevenzione è l’insieme di tutte quelle misure di comportamento volte ad evitare l’insorgenza di una o più malattie in una popolazione sana. E la prevenzione primaria in particolare ha proprio lo scopo di evitare di ammalarsi, quella secondaria di interrompere od abbreviare la progressione del processo morboso evitando le ricadute (recidive)». Ma oltre alle varie fonti utili alla informazione su come attivare una buona prevenzione, primaria e secondaria, in caso di patologie cardiovascolari conclamate o sospette, il progresso è oggi notevole grazie alle nuove metodiche di imaging cardiologico non invasivo, ad elevato contenuto tecnologico, attualmente disponibili per la diagnosi accurata e tempestiva in grado di fornire un importante ausilio per la scelta della miglior strategia terapeutica, ad esempio, del paziente cardiopatico con particolare riguardo alle nuove procedure interventistiche ed ai nuovi farmaci disponibili. Il dottor Alunni ha rammentato inoltre la disponibilità della tecnologia ad ultrasuoni, con l’ecocardiografia-Doppler, in particolare, che rappresenta uno strumento indispensabile per la diagnosi e la gestione clinica di tutte le cardiopatie. Inoltre, le modalità più aggiornate e disponibili come lo strain bi-dimensionale e l’ecocardiografia tridimensionale, offrono un valore aggiunto diagnostico e possono essere applicate efficacemente nella pratica clinica. «L’integrazione con altre metodiche diagnostiche non invasive – ha concluso – come la Tac e la Risonanza magnetica, peraltro, risulta indispensabile per la caratterizzazione di patologie cardiache di notevole impegno clinico».
L’intervento del prof. Guido Gasparri, insigne cattedratico specialista in chirurgia toraco-polmonare ed esperto in chirurgia tiroidea e delle paratiroidi (già primario all’ospedale Molinette di Torino), ha trattato il tema “Osteoporosi ed iperparatiroidismo, un connubio ancora poco conosciuto”, richiamando l’attenzione sulla osteoporosi, una malattia sistemica assai ricorrente dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa ossea e dal deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità e predisposizione alle fratture soprattutto del femore, del bacino, della colonna vertebrale e del polso. «I fattori di rischio di questa patologia – ha precisato – sono l’età avanzata soprattutto nelle donne con pregresse fratture, soggette a prolungata terapia con cortisonici, affette da dimagramento eccessivo, familiarità per le fratture stesse, artrite reumatoide, malassorbimento intestinale, menopausa precoce, etc.». A riguardo il clinico ha consigliato di seguire una densitometria ossea in particolare per le donne con oltre 65 anni di età e in post-menopausa. Suggerimento non indicato agli uomini, ad eccezione di quelli che presentano manifestazioni cliniche con riduzione della massa ossea (osteopenia), e che abbiano avuto pregresse fratture a causa di traumi, prolungata terapia cortisonica e sospetto iperparatiroidismo. I fattori di rischio per l’osteoporosi sono molteplici fra cui l’iperparatiroidismo, carenza di vitamina D (il cui buon apporto favorisce l’assorbimento del calcio e ne aumenta il riassorbimento osseo, ndr); come pure le carenze nutrizionali, anoressia, fumo, terapie ormonali antitumorali, sedentarietà, ipogonadismo, eccesso di proteine, isterectomia, diabete, carenza di calcio, inadeguata massa corporea, stress, etc. «L’iperparatiroidismo primario – ha spiegato il relatore – è una condizione patologica in cui viene prodotto l’ormone paratiroideo in quantità superiore al necessario a causa di adenomi, iperplasie e carcinoma della tiroide. Quello secondario è una condizione patologica in cui l’eccesso di paratormone (PTH, ormone prodotto dalle ghiandole paratiroidi che servono a mantenere costante la concentrazione del calcio nel sangue, ndr) viene secreto quale compenso all’ipocalcemia indotta da diverse condizioni. Quello terziario è una condizione patologica in cui l’ipoparatiroidismo non diminuisce quando sono venute meno, per trattamento chirurgico, e le condizioni che hanno creato un iperparatiroidismo secondario». L’iperparatiroidismo primitivo si manifesta in 25 casi per 100 mila abitanti in Italia, e in 28 casi per 100 mila abitanti negli USA. L’incidenza aumenta con l’età a partire dagli oltre 60 anni nella misura di 5 volte in più nelle donne in menopausa. Questa patologia, che coinvolge specialisti di varie discipline, è trattabile con una terapia medica che consiste nella somministrazione di farmaci, e in taluni casi con la chirurgia, i cui precursori furono il chirurgo svizzero Emil Theodor Kocher (1841-1917), premio Nobel per la Medicina nel 1909; il tedesco Christian Albert Theodor Bilroth (1829-1894) e Albert Ghane. La chirurgia mininvasiva rappresenta oggi un ottimo approccio all’iperparatiroidismo primitivo, ma tutte le tecniche sono adeguate se praticate con la necessaria perizia.
Foto a cura di Giovanni Bresciani