AL MOLECULAR BIOTECHNOLOGY CENTER DI TORINO  INTERESSE  PER UROLOGIA E CHIRURGIA VASCOLARE

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Sempre più “coinvolgenti” gli incontri sulla prevenzione

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

Anche lunedì 25 novembre medici specialisti alla ribalta con relazioni dallo stimolo culturale sulla prevenzione delle patologie. Tra questi la relazione Non solo prostata… la prevenzione urologica per l’uomo e per la donna, a cura dell’urologo Mattia Sibona (nella foto); e Fake in chirurgia vascolare a cura della dott.ssa Claudia Melloni, ambedue dell’Università subalpina (ospedale Molinette). Dopo alcuni cenni sull’anatomia e fisiologia degli organi di competenza urologica, per quanto riguarda la vescica il primo relatore ha posto l’attenzione su uno dei classici sintomi che è dato dalla presenza di sangue nelle urine (ematuria), condizione apparentemente “innocua” ma sulla quale non bisogna indugiare nel rivolgersi al proprio medico di famiglia, una visita urologica, sottoporsi ad ecografia addominale e ad eventuali ulteriori esami delle urine. «L’ematuria – ha spiegato – può essere causata  da calcoli renali, infezioni, iperplasia prostatica benigna (d’ora in poi IPB), ossia l’ingrossamento della ghiandola, e uso di determinati farmaci. Relativamente al tumore della vescica, si manifesta dopo i 50 anni sia negli uomini che nelle donne, e quasi sempre si tratta di neoplasia maligna, peraltro molto aggressiva. Per questo tumore i fattori di rischio sono riconducibili al fumo, all’esposizione lavorativa in presenza di prodotti come vernici e solventi, all’inquinamento ambientale e alla genetica». Ma anche i reni (i filtri del sangue) richiedono una certa attenzione in quanto possono essere colpiti da tumore, che si manifesta quasi sempre in modo asintomatico soprattutto nelle fasi iniziali, e la conferma la si ha mediante esami di controllo in genere; ma in taluni casi produce sintomi come l’ematuria nelle sue fasi più avanzate, e il trattamento è solitamente chirurgico. Per quanto riguarda la prostata (piccola ghiandola dell’apparato genitale maschile posta appena sotto la vescica e davanti al retto), con l’avanzare dell’età è ormai noto che cresce di volume e quasi sempre origina disturbi. Ma cosa sono i disturbi prostatici? «In Urologia – ha ricordato lo specialista – i disturbi della funzione urinaria prendono il nome di “sintomi minzionali del basso apparato urinario”. La conseguente IPB, ad esempio, provoca molti disturbi quali minzioni frequenti, getto di urina molti debole, incapacità di trattenere lo stimolo specie di notte (nicturia)”. Sull’incidenza quasi tutti gli uomini over 70 hanno uno o più di questi disturbi della minzione, sia pur in gran parte lievi; la prevalenza degli uomini con sintomi moderati  è di oltre il 35%, e quella con sintomi lievi è dell’8%. In caso di poca attenzione ai sintomi minzionali, in certi soggetti il basso apparato urinario può subire conseguenze come l’ispessimento vescicale, diverticoli e calcoli vescicali, ritenzione urinaria. Tuttavia, l’IPB non è responsabile di tutti i sintomi minzionali, in quanto tali possono essere causati anche da altre patologie come infiammazioni della vescica e/o prostata, patologie urologiche e nefropatiche, endocrinologiche e tumori». È bene sapere che l’IPB (adenoma prostatico) non ha nulla a che vedere con il tumore della prostata, in quanto si tratta di una patologia diversa. Il tumore della prostata non è provocato dall’adenoma, poiché origina in una zona diversa dalla sede della ghiandola prostatica e spesso non dà sintomi; ma sia il tumore che l’ipertrofia di questa ghiandola non sono causati da attività sportive, e tanto meno come comunemente si tende a credere andando in bicicletta; per contro, in quest’ultimi casi possono peggiorare i sintomi minzionali. «Non esiste – ha specificato il clinico – un intervento preventivo per evitare l’insorgenza dei sintomi minzionali in età avanzata, o prevenire l’uropatia ostruttiva. Quindi, occorre intervenire sull’IPB quando i sintomi sono “particolarmente fastidiosi”, e quando vi sono ulteriori complicanze; e si può curare tale affezione modificando il proprio stile di vita, con terapie farmacologiche e con la chirurgia. La terapia farmacologica è indicata per il trattamento dei sintomi “fastidiosi” e quando non vi sono complicanze. L’obiettivo della terapia per l’IPB è l’eliminazione fisica dell’adenoma, e tale trattamento è generalmente “adattato” alle esigenze del paziente”. Da molti anni la chirurgia dell’IPB si è orientata su due tecniche: enucleazione dell’adenoma, specie se di notevoli dimensioni, e resezione endoscopica (intervento non tradizionale) per le prostate di dimensioni minori. Oggi, sono possibili tecniche mini-invasive. Ma quali gli obiettivi della chirurgia ultra mini-invasiva? «Minimizzare l’entità dell’intervento chirurgico – ha precisato e concluso il dott. Sibona –, estendere l’operabilità a pazienti borderline (con determinate caratteristiche), preservare l’eiaculazione. A questo riguardo, uno dei grandi svantaggi della chirurgia prostatica è la perdita dell’eiaculazione in oltre l’80% dei casi, mentre oltre il 40% dei pazienti operati esprime un significativo grado di disagio riferito alla perdita della eiaculazione, ma per questi casi vi è una tecnica (enucleo-vaporizzazione) che limita tale perdita nel 60% dei casi, e può essere applicata a pazienti sessualmente attivi e motivati alla preservazione della eiaculazione retrograda: momento in cui la parte della vescica che normalmente si chiude durante l’eiaculazione (il collo vescicale) rimane aperta, facendo sì che lo sperma viaggi all’indietro nella vescica».

Claudia Melloni

Anche la seconda relatrice ha passato “in rassegna”  alcuni aspetti della anatomia e fisiologia del sistema circolatorio, che si divide in arterioso e venoso. Entrando nel merito delle patologie venose la dottoressa Melloni (nella foto) ha ricordato che le più frequenti sono l’insufficienza venosa superficiale, la trombosi venosa superficiale e la trombosi venosa profonda. Nel primo caso è una condizione caratterizzata da un’alterazione del normale flusso di sangue, e i sintomi sono pesantezza degli arti inferiori, gonfiore, dolori, crampi notturni, prurito, varici, dermatiti, etc. La trombosi venosa è una condizione caratterizzata dalla formazione di un coagulo (trombo) all’interno di una vena. In questo caso i fattori di rischio sono da ricondursi a fattori genetici, vita sedentaria, obesità, traumi, stare molti in piedi, vene varicose, fumo, patologie oncologiche e a seguito di interventi. «Con la prevenzione – ha precisato – si tratta di correggere i fattori di rischio, ad esempio con l’utilizzo di calze elastiche per compressione, ed esercizi di mobilità. Le calze elastiche devono però essere indossate senza forzature e in estensione, possibilmente per tutto il giorno». Relativamente alle patologie arteriose la causa principale è l’aterosclerosi che può determinare la dilatazione dell’arteria o l’ostruzione con conseguente ischemia dei tessuti. Inoltre,  sono note l’angina pectoris, l’ictus, e dolore durante la deambulazione con comparsa di lesioni trofiche. «I sintomi – ha ricordato la dott.ssa – sono ad esempio il rischio di rottura di un vaso con l’aumento delle dimensioni dell’aneurisma. Più in generale, i fattori di rischio cardiovascolari possono essere suddivisi in modificabili e non modificabili. Sono modificabili quando un cambiamento dello stile di vita o un adeguato trattamento possono indurre la probabilità di ammalarsi. Anche il tabagismo è un importante fattore di rischio modificabile per la malattia ischemica cardiaca: nei fumatori, ad esempio, si ha un aumento dell’incidenza di cardiopatia ischemica e di aneurisma sia nell’aorta toracica che addominale. Va da sé che per trattare il tabagismo oltre ai farmaci basterebbe non fumare». Ma anche l’ipercolesterolemia è chiamata in causa in quanto richiede una adeguata alimentazione, specie adottando la ormai nota dieta mediterranea (vedi). Per quanto riguarda il diabete mellito, è una patologia responsabile della microangiopatia (retinopatia diabetica, nefropatia, neuropatia) e sviluppo dell’aterosclerosi, tenendo anche presente la malattia coronarica che ne può derivare in quanto è la più comune causa di morte nei pazienti con diabete mellito. «Ed è quindi opportuno – ha concluso la dott.ssa Melloni – apportare un compenso glicemico che si associa ad una riduzione dei danni a carico dei piccoli e grandi vasi. Va da sé che il trattamento antidiabetico deve essere personalizzato. Inoltre, l’ipertensione agisce determinando una disfunzione endoteliale i cui valori dovrebbero stabilizzarsi in 120-130/80 mmHg. Ma a fronte di tutto ciò è bene fare una costante attività fisica e una riabilitazione alla marcia».

Foto a cura di Giovanni Bresciani

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