Al Molecular Biotechnology Center di Torino per conoscere e prevenire le malattie gastrointestinali

di Ernesto Bodini (giornalista scientifico)

 

Al secondo appuntamento (affollatissimo) per il ciclo di conferenze sulla prevenzione in tema di salute, di lunedì 13 novembre, che si è tenuto nell’aula magna della sede universitaria torinese, è intervenuto il gastroenterolgo Floriano Rosina (nella foto) che ha sviluppato il tema “Strategie di prevenzione dei tumori dell’apparato digerente: dall’eradicazione dell’helicobacter alla colonscopia”. Argomento di notevole attualità dal punto di vista clinico-oncologico e della cultura medica in senso lato. Per quanto riguarda l’epidemiologia i tumori in genere sono sempre in primo piano e, a livello europeo, le statistiche dicono che il tumore del colon retto è al 2° posto per incidenza, al 6° vi è il tumore dello stomaco e all’8° il tumore del pancreas, seguono poi i tumori del fegato e dell’esofago. La mortalità dei tumori dell’apparato digerente in genere sempre in ambito europeo è stimata in 500 mila casi all’anno (2012); mortalità che è correlata, come ha precisato il relatore, soprattutto al fatto che maggiori sono le neoplasie relative al pancreas e al fegato (non tenendo delle patologie destinate al trapianto di fegato) nella misura del 98%; mentre migliore è il tasso di sopravvivenza nei casi colpiti dal tumore del colon a fronte però di una maggiore incidenza. Ma quale la tendenza di questi tumori? «Sempre nell’ambito delle statistiche europee – ha spiegato il dott. Rosina – i tumori dello stomaco hanno una minore incidenza soprattutto dal 1975 ad oggi, e di conseguenza una riduzione della mortalità. Tale incidenza si riduce di molto in oriente (Cina e Giappone), probabilmente per una consistente politica di diagnosi precoce; a fronte di ciò il tumore del pancreas è invece in lento ma progressivo aumento». Per quanto riguarda l’incidenza del tumore del colon è in aumento ogni anno in quasi tutti i Paesi, mentre la mortalità tende a ridursi; negli Stati Uniti, invece, minori sono i casi e maggiori le guarigioni. Ma cosa fare dunque dal punto di vista della prevenzione? È stato ricordato che vi sono tre forme di prevenzione: primaria, secondaria e terziaria. Nel primo caso si tratta di eliminare i fattori di rischio, potenziando nel contempo i fattori protettivi; nel secondo caso avvalersi della terapia per il trattamento della lesione precancerosa; nel terzo caso sono disponibili approcci terapeutici per prevenire le recidive. «Va precisato, però –, ha proseguito il clinico – che molti tumori possono essere condizionati dalle infezioni virali o batteriche, e in questi casi sono disponibili strategie di vaccinazione, ottimali nella prevenzione primaria in quanto prevengono l’infezione e le lesioni precancerose, e quindi il tumore». Il tumore del fegato insorge nel contesto della cirrosi epatica, e il virus dell’epatite B (scoperto agli inizi degli anni ’70) si trasmette per via ematogena (sangue) e per via sessuale (rapporti non protetti), ed è suscettibile di una prevenzione primaria grazie alla disponibilità di un vaccino molto efficace. A Taiwan, nel decennio 1984-1994 c’é stata una riduzione ad 1 caso su 10 di nuove infezioni da virus B, quindi si è osservata una riduzione del 50% del tumore epatico proprio grazie alla prevenzione di questo tipo di infezione. Alla fine degli anni ’70 in Italia c’era una prevalenza di infezioni da virus B pari al 50%. «Quando non è possibile la prevenzione primaria – ha sottolineato il relatore – si attiva la prevenzione secondaria, e ciò con la somministrazione della Lamivudina (nome commerciale Epivir), primo antivirale consistente per la cura dell’epatite B; ma permane un certo “rischio residuo” in quanto tutti i soggetti che hanno la cirrosi hanno dato adito alla precancerosi. Ma un altro virus che può essere causa dello sviluppo di un tumore epatico è quello dell’epatite C (scoperto nel 1989), che in Italia ha causato la cosiddetta “epidemia silenziosa”». Attualmente circa un milione di italiani sono affetti da epatite C, la cui prevalenza media dell’infezione standardizzata per età è di circa il 4%, soprattutto tra i 40 e i 60 anni. Questo virus, secondo gli esperti, da solo o in combinazione con altri fattori (alcool o virus dell’epatite B), è il maggior responsabile di cirrosi (72%) e di tumore del fegato (76%) in Italia. Per questo virus non esiste un vacccino ma è possibile intervenire con la prevenzione secondaria somministrando terapie che eradicano il virus nel 95% dei casi, e quindi la possibile riduzione del rischio di tumore. Il relatore ha citato anche la steatosi epatica (fegato grasso), morbosità causata dall’accumulo dei trigliceridi che però si può correggere con la dieta ed una adeguata terapia, tenendo presente che nel 5-10% dei casi può evolversi in cirrosi epatica, soprattutto per l’abuso di alcoolici. Nella dieta il caffè sembra essere un buon epatoprotettore (specie nei casi di epatopatie non virali), in quanto riduce il tasso di progressione del tessuto cicatriziale nel fegato e quindi il tumore della ghiandola epatica. Altro argomento affrontato dal grastroenerologo ha riguardato l’affezione causata dall’helicobacter pylori. Questo batterio (identificato per la prima volta dai medici australiani Barry Marshall e Robin Warren, che si aggiudicarono il Premio Nobel per la Medicina) colpisce lo stomaco, e non solo, responsabile dell’ulcera e della gastrite, patologie per le quali non è disponibile alcun vaccino, ma la triplice terapia e la terapia sequenziale. Ed è dunque importante eradicare questo batterio anche per prevenire episodi di precancerosi gastrica, che può evoleversi in gastrite atrofica, metaplasia intestinale e gastrite follicolare per poi causare l’adenocarcinoma dello stomaco. «Per il tumore dello stomaco e del colon – ha concluso il dott. Rosina – la prevenzione riguarda essenzialmente gli alimenti (limitazione del consumo di carne rossa, carne alla brace e di insaccati), utile invece consumare frutta e verdura, e ridurre l’eccesso di peso. Il tumore del colon è prevenibile se si interviene con la individuazione e l’asportazione di polipi in quanto condizione di precancerosi, e questo con la diagnosi precoce che consiste nel controllo del sangue occulto nelle feci, nella colonscopia, eventuale sigmoidoscopia, etc. Tuttavia, i programmi di screening in Europa hanno contribuito alla riduzione della mortalità, soprattutto in questi ultimi 15-16 anni; un dato non proprio trascurabile».

Altro argomento in tema di prevenzione ha riguardato l’ormai più che attuale problema del sovrappeso e dell’obesità, approfondito dal prof. Paolo Cavallo Perin , specialista in Medicina Interna, Diabetologia e Malattie del Ricambio. È noto che l’età media è aumentata ma contestualmente la popolazione è “sopravvissuta” a quelle cause che in passato erano motivo di molti decessi. Quindi, secondo il relatore, per il futuro bisogna pensare non tanto all’età ma più alla qualità della vita, e farmaci per prevenire l’obesità non esistono. «Le varie definizioni dell’obesità – ha spiegato il cattedratico – le abbiamo acquisite dall Compagnie di assicurazioni americane, le quali hanno constatato che le persone in sovrappeso ed obese tendevano a morire di più rispetto a quelle non obese o in sovrappeso, e si ammalavano anche di più contraendo più malattie associate: l’essere sovrappeso è uno svantaggio ed essere obeso è uno svantaggio “modificato”. Un soggetto su due nella popolazione adulta è obeso o in sovrappeso, ma il fatto che la metà della popolazione adulta sia in sovrappeso od obesa, è un problema che riguarda anche i bambini e gli adolescenti; una realtà purtroppo in costante aumento…». Quindi, appare evidente che l’obesità è una malattia: le condizioni che si associano all’obesità sono diverse e vanno dal diabete tipo 2 alle patologie cardiovascolari, dall’ictus cerebrale all’iperglicemia, dall’ipercolesterolemia all’ipertensione. «Nei rapporti tra obesità e tumore – ha aprecisato – il sovrappeso e l’obesità sono responsabili del 15% delle morti per cancro negli uomini, e di circa il 20% nelle donne. Ma il quadro è complicato dal fatto che la risposta alla terapia del cancro peggiora proprio a causa dell’obesità, incluse le recidive». Andando a vedere gli adolescenti di sesso maschile il rischio di mortalità per neoplasia è del 100% in più. Ma come si aumenta di peso? Va detto per inciso che l’obeso è un soggetto svantaggiato in quanto ha una predisposizione ad aumentare di peso, sia pur alimentandosi normalmente; è una causa rilevante che richiama il concetto di bilancia in quanto il peso si mantiene costante quando è giusto e si mantiene alto quando è in eccesso sulla base di due fattori: l’apporto calorico e la spesa energetica; inoltre non è l’esercizio fisico che si fa, ma è anche la quantità di cibo che si trasforma in calorie, ossia si usa più energia per l’attività cardiopolmonare e tutto ciò fa la differenza, oltre a considerare determinati fattori genetici, peraltro soggettivi che predispongono il soggetto all’aumento di peso in un certo periodo della sua vita. «L’aver coscienza di quello che si fa, o non si fa – ha precisato il cattedratico –, non è certo facile soprattutto in relazione al saper valutare il proprio apporto calorico. Da una parte c’é la sedentarietà che è un atteggiamento crescente e dall’altra l’eccesso di cibo che non si risparmia; due fattori entrambi sfavorevoli nel soggetto predisposto». Ma qual è l’attività fisica che risulta essere più efficace? Indubbiamente, è risaputo, è il camminare in quanto esercizio fisico, e in merito al quale esistono più studi che affermano essere particolarmente utile, a differenza della frequentazione (assidua o meno) di una palestra, mentre la sedentarietà è da mettere alla gogna sia negli adulti che nei bambini e/o adolescenti. Il punto critico, secondo il clinico, è che tra le terapie efficaci per il trattamento dell’obesità, quello relativo allo stile di vita sulla alimentazione ha un risultato variabile: le persone che riescono a mantenerlo più a lungo termine hanno un risultato migliore, quelle che non riescono e non correggono il proprio sovrappeso, hanno un risultato peggiore. E qual è l’unica terapia efficace per curare l’obesità? Si pensi alla chirurgia bariatrica, specie se tale affezione è grave con il 35-40% di massa corporea. «In sintesi – ha concluso il prof. Cavallo Perin – bisogna tener conto delle necessità nel senso di fame: non mangiare quello che ci piacerebbe ma quello che per noi è possibile fare, badando agli errori abituali che non danno nessuna soddisfazione e sono molto sfavorevoli sul peso, e nel contempo vigilare meglio sul bilancio famigliare e sul nostro peso corporeo, al fine di poter intervenire nel breve periodo e correggerlo». La saggezza vuole che per muoversi di più e mangiare meglio non sono necessari né sacrifici nè allarmi, quello che conta è un’informazione corretta e che ciascuno sia consapevole e convinto, trovando nei medici un buon esempio…
Foto di Giovanni Bresciani

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