Da Alessandro Magno ad Alessandro Baricco, dalla narrazione allo storytelling
Ho “incontrato” per la prima volta Alessandro Baricco con “Seta” ed è stato un colpo di fulmine; dopo “Castelli di rabbia” ma, soprattutto, “Oceano mare” ero già perdutamente innamorata della sua scrittura; fatale fu poi “Totem”, spettacolo teatrale con lui e Gabriele Vacis visto in tv, che mi rivelò un Baricco oratore capace di incantare quanto il Baricco scrittore. Da allora – e di anni ne sono passati parecchi – sognavo di ascoltarlo dal vivo, pur avendo iniziato a considerarlo anche io snob e pieno di sé. D’altronde, la valutazione della persona – peraltro qui supportata da ben pochi elementi – dovrebbe sempre essere scissa da quella dell’artista. Immaginate, quindi, l’entusiasmo quasi puerile con cui attendevo di sentirlo al Festival della letteratura di Mantova che, per il suo Ventennale, gli ha riservato ben tre eventi in prima serata al Teatro sociale. Delle sue “Mantova lectures” (mica potevano avere un nome dozzinale come “Lezioni mantovane” o un plebeo “Conversazioni mantovane”) ho scelto, in particolare, quella sulla Narrazione e su Alessandro Magno, in programma per giovedì 8 settembre 2016. Ovviamente le mie aspettative non sono state deluse: non solo Baricco si è confermato affascinante narratore orale, ma è risultato persino simpatico. Innegabile, inoltre, anche per chi si è recato al Teatro carico di pregiudizi sul suo conto, che sia stato straordinario nel concepire una simile mappa concettuale. Consapevole che non potrò trasmettervi lo stesso fascino e la stessa credibilità con cui lui l’ha esposta a noi, proverò comunque a ricostruire, per sommi tratti, questa mappa per voi.
“UN PIANO DEMENZIALE MA LOGICO” – Punto di partenza, ovviamente, è stato Alessandro Magno, di cui ha riassunto la storia, evidenziandone gli episodi-chiave. Alessandro «partì che aveva 22 anni con un progetto molto semplice: invadere e conquistare l’Impero persiano», un’idea che – ha precisato – ereditò da suo padre, Filippo Il Macedone. Il loro progetto «aveva un coefficiente di follia notevole», era un «Davide contro Golia», come a tutti è apparso chiaro quando ha mostrato una mappa che ricostruiva gli assetti geografici dell’epoca. Squilibrio di dimensioni, ma anche squilibrio di uomini: l’esercito macedone, ha rimarcato, contava a stento 50 mila uomini, mentre i persiani potevano radunare fino a 150 mila uomini e si dice che, in questo frangente, abbia potuto contare pure su 50 mila mercenari greci, allora molto quotati. «Di per sé era un piano demenziale, ma per Alessandro e Filippo era un piano perfettamente logico», per due motivi: potevano contare sull’esercito greco, tra i più sviluppati e geniali; «comunicarono cosa stavano per fare», cioè «spappolare l’Impero persiano». Perché? Per vendicare le razzie ai danni delle polis e, in particolare, la distruzione di Atene, templi compresi, subite dai greci nelle due guerre che li videro opporsi ai persiani nel IV secolo a.C. Qualcosa, però, in questo proclama non torna, ha fatto notare Baricco: Alessandro e Filippo erano macedoni e non greci, in più reclamarono vendetta circa 150 anni dopo quei fatti, troppi anche per chi sa che “la vendetta è un piatto che va servito freddo”. La verità è che loro volevano «essere un pezzetto di una saga»; il padre per motivi strumentali, Alessandro per «il desiderio di inserirsi in una storia molto più lunga di lui».
A testimoniarlo sono i racconti che ci sono stati tramandati («certezze sui fatti non ne abbiamo», ha precisato lo scrittore) e che narrano di scelte bizzarre ma altamente simboliche compiute da Alessandro prima della battaglia contro l’Imperatore Dario. Il primo gesto è una sosta in Tracia per omaggiare la tomba di Protesilao: come questi, secondo la leggenda, fu il primo acheo a metter piede a Troia (e a morire come previsto dalla profezia), così Alessandro – ha spiegato Baricco – si proponeva di essere il primo “greco” a mettere piede in Persia (ovviamente senza subire la stessa sorte). Poi fece un’altra sosta, stavolta proprio a Troia, presso la tomba di Achille: Alessandro «voleva avvitare se stesso e la propria visione in una leggenda pazzesca: quella della guerra di Troia, di Achille e degli Achei» perché «Achille era il suo faro» e perché «lui non era nessuno, quindi aveva bisogno di appoggiarsi a una Storia e di entrare nella leggenda, sovrapponendosi a questo personaggio». Per Baricco, però, la sua «non era propaganda: lo faceva anche per se stesso, per i suoi, per i suoi soldati», in più tutto questo «Atene non lo sapeva, l’avrebbe saputo tempo dopo». Dopo la conquista dell’Egitto, compì poi un terzo gesto simbolico: Alessandro si avventurò nel deserto libico per fare una visita al tempio del dio egizio Amon (in greco Ammone). Secondo un’ipotesi accreditata, a lui voleva «chiedere “chi sono?”, ossia “Sono un dio o sono un uomo?”». Noi ci abbiamo riso su di gusto, ma lui davvero «si credeva discendente di Achille prima e figlio di Zeus dopo».
REALTÀ = FATTI + STORYTELLING – La storia del grande condottiero ma soprattutto questi suoi tre gesti simbolici mostrano, secondo Baricco, che «Alessandro Magno era un genio dello storytelling». Quest’ultimo, infatti, «non è un fenomeno moderno»: «gli umani usano la narrazione a tutti i livelli della società e nel tempo» ha rimarcato. A suo parere, peraltro, quello in cui viviamo è «uno dei tempi meno narrativi della storia dell’umanità». Ma cos’è lo storytelling? «È ogni narrazione» e «questa è una delle due componenti della realtà. L’altra sono i fatti». Per cui, ha affermato, «non esiste nulla che non sia anche storytelling: se questo manca, un fatto è come se non fosse mai avvenuto». Storytelling, però, non è sinonimo di menzogna: «è nobile, affascinante e più complesso della balla». Tutti noi, ha aggiunto, siamo «il risultato di un racconto quotidiano di noi stessi» e tutti, magari inconsapevolmente, usiamo questa tecnica perché anche «vestirsi è un gesto di storytelling». Per questo ci ha esortati a non diffidarne: dobbiamo solo acquisire la consapevolezza che «tutti abbiamo un bilanciamento tra fatti e storytelling» e che «ognuno poi si posiziona più verso gli uni o l’altro». Per spiegarlo ha preso a modello Barack Obama e Mario Draghi, due uomini che si sono posizionati sui poli opposti (narrazione il primo, fatti il secondo) ma che sono entrambi «esempio di coerenza nel bilanciamento tra storytelling e fatti», «cosa che a noi riesce raramente» ha aggiunto.
Lo storytelling, però, comporta dei rischi innegabili in quanto «può essere uno strumento di dominio, di controllo del reale» e non sempre «siamo in grado di controllare il rapporto fatti-storytelling», anche perché spesso è proprio quest’ultimo «a produrre i fatti, non il contrario». Il che, ha precisato, non succede sempre per colpa dei “cattivi”: «è una rotazione che accade» con effetti talvolta negativi, talaltra positivi. Emblematico il caso da lui citato della protesta dei librai francesi – poi divenuta insurrezione a livello internazionale – contro “Merci pour ce moment”, libro-vendetta con cui Valérie Trierweiler ha cercato di punire l’infedele François Hollande. In ogni caso, quando lo storytelling mette in moto questo meccanismo «non c’è niente che lo possa fermare», «non lo possiamo controllare. Possiamo solo reagire».
CAPIRE LA MAPPA PER CAPIRE LA PERSONA – Il viaggio con Baricco si è chiuso da dove è partito: con Alessandro Magno e con una mappa. Ha raccontato lo scrittore che, dopo la conquista della Persia, l’eroe macedone si mise in testa di conquistare anche le terre dell’India, situate proprio oltre i confini dell’Impero. I suoi fedeli soldati, però, non vollero seguirlo in questa nuova impresa folle e questa «fu la prima sconfitta vera della sua vita». Una sconfitta che, peraltro, ci insegna che «sono sempre i tuoi che ti fermano se non sei in grado di dar loro una narrazione». O se loro non vedono la tua mappa, abbiamo poi capito: la mappa del mondo di Alessandro Magno – ha spiegato Baricco, mostrandocela – «era molto più ristretta di quella che conosciamo. Lui aveva in testa di essere un dio che doveva arrivare alla fine del mondo», ma «questa storia i suoi uomini non l’hanno capita, per questo non l’hanno seguito in India». «Il primo e principale storytelling è la geografia, è dato dalle mappe in cui si collocano i movimenti degli umani», ha affermato Baricco, aggiungendo che «ognuno ha la sua mappa, per questo non sempre capiamo gli altri».
Applausi allora e silenzio ora, che è tempo di meditare.
Foto Silvia Onnis