Alla scoperta della poesia pop-orale con Giuseppe Antonelli

Giuseppe Antonelli

Giuseppe Antonellidi Marcella Onnis

Voglio confessarvi una cosa: con Giuseppe Antonelli è stato amore a prima vista, ovviamente a sua insaputa. Paladino dell’italiano, brillante comunicatore, mago della multimedialità e, diciamolo, pure gran figo: come non innamorarsi di lui? Non paga di averlo ascoltato al festival L’isola delle Storie di Gavoi, ho quindi voluto seguire l’incontro “Una poesia pop-orale” che lo ha visto protagonista al Festivaletteratura 2017 di Mantova …e il giorno dopo ne ho seguito un altro in cui faceva da moderatore, di cui, però, vi parlerò in seguito. Insomma, rischio una denuncia per stalking (e se non da lui, potrebbe arrivarmi da Diego De Silva o da Marcello Fois).

Ma veniamo al contenuto dell’incontro che – come ormai mi aspetto da Antonelli – è stato molto divertente e illuminante, oltre ad avermi fornito un’altra rivelazione: il mio vizio di usare le congiunzioni “e” e “ma” a inizio frase (vizio in cui sono appena incorsa e che il correttore ortografico di Word si è ormai stufato di segnalarmi come scelta poco corretta) ha un nome: ispessimento delle congiunzioni. Dunque, la premessa di Antonelli era ed è che la canzone popolare è una poesia pop-orale. Da qui, innanzitutto, l’osservazione che la canzone popolare è tendenzialmente demodée: «Per molti anni ha conservato la lingua tradizionale. È arrivata sempre in ritardo, almeno di 90 anni, sulla lingua usata dalla poesia». Tant’è vero che – ha fatto notare attraverso numerosi esempi – «ci sono licenziosità poetiche – troncamenti, apocopi… – che si prendono ancora anche le canzoni rock» (sulla definizione di Negramaro e Ligabue come rock non solo Pino Scotto avrebbe da ridire, ma in questa sede possiamo sorvolare). Va riconosciuto, però, che il ricorso a quello che ha definito «poetese tradizionale» è anche dovuto al fatto che «i versi devono tornare con il ritmo».

Giuseppe AntonelliNonostante possa risultare talvolta anche ridicola, tuttavia, la poesia pop-orale ci cattura, ci entra nella testa e non ce ne liberiamo: «La poesia pop-orale è così perché porta sempre con sé la musica che ha dentro», ossia quando leggi un verso di una canzone popolare lo fai pensando al ritmo e alla melodia di quella canzone. Chiarito perché si tratti di “poesia”, scontato che sia “pop” perché è popolare, restava da spiegare – seppur la ragione sia intuitiva – perché “orale”: «perché passa inevitabilmente attraverso la voce (perché la canti)».

C’è, però, un rapporto ambivalente tra musica leggera/popolare e poesia: l’idea che la prima ha della seconda è, infatti, molto vaga, ha fatto notare Antonelli, sciorinando una lunga serie di versi di canzoni, riconducibili a due opposte visioni. Per la prima la poesia «risveglia emozioni», per la seconda «delude altre aspettative», ha efficacemente sintetizzato l’autore di “Ma cosa vuoi che sia una canzone” (eccolo là, l’ispessimento!). Non avendo preso nota di tutte le citazioni, sono in grado di richiamarvi solo “Che ne sai tu di un campo di grano, poesia di un amore profano”, perché “Pensieri e parole” è una delle canzoni di Battisti che amo di più, e “Che resta di un sogno erotico se al risveglio è diventato un poeta?” di “Maledetta primavera”, perché io vado pazza per questa canzone. Immaginatevi, quindi, la mia gioia quando Antonelli ha fatto partire un frammento di video con Loretta Goggi che la canta. Ho per lui una riconoscenza tale che gli perdono anche di aver indicato come anno il 1983 anziché il 1981.

Dopo aver ricordato la diatriba sulla consegna del Nobel a Dylan, Antonelli ha rimarcato che «le canzoni sono, con maggior forza dagli anni Sessanta, un surrogato della poesia: rispondono a un bisogno di quel tipo di letteratura che c’è sempre stato nell’Uomo occidentale. È un fatto che le canzoni, ormai da tanto tempo, rispondono allo stesso bisogno di poesia dei secoli scorsi». Ed è anche un fatto che «la poesia da sempre si è accompagnata alla musica». Antonelli ha poi fatto notare che, un po’ paradossalmente, proprio la branca della canzone italiana più letteraria, più “alta” (l’aggettivo è mio), ovvero la canzone d’autore, sia «quella che ha preso più distanza dalla poesia», come testimoniano vari brani tra cui “I poeti” di Pierangelo Bertoli (il quale, però, gli piacesse o no, gli piaccia ancora o no da Lassù, Poeta comunque lo è stato). Tuttavia, ha proseguito, attualmente c’è una tendenza dei cantautori a interessarsi alla poesia: tengono le due passioni separate, in quanto di poesia scrivono libri, «ma non rinunciano a praticarla». Impossibile, infatti, considerarle entità separate, per i motivi già ricordati e perché «c’è comunque una parte tecnica in comune: ritmo, rime, metrica… quella che possiamo chiamare l’ars poetica».

A te che leggi, dunque, parafrasando Fossati, dico: “Alzati che sta passando la poesia pop-orale”!

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