L’angolo di Full: “Flash di luna”
Era un ruggito mescolato a un lungo lamento ripetuto nel buio.
I cacciatori bianchi erano appostati, l’occhio allineato con la canna del fucile di grosso calibro.
La guida masai sedeva in disparte dando loro le spalle. Indispensabile per trovare le piste, la sua presenza era altrimenti ignorata.
«E’ strano» disse il cacciatore più anziano «s’avvicina sopravvento.»
«E’ una femmina, e vuole morire» disse il masai che sapeva leggere la savana.
Un gemito più cupo e straziato sembrò dargli conferma.
Poi una nuvola coprì la luna e gli uomini strinsero lo sguardo sulla macchia arbustiva.
«Ha perso i suoi cuccioli e non mangia da molti giorni», il masai parlava incurante d’essere ascoltato, «in ultimo si sarà ingoiato le feci. Ora vuole solo morire.»
«Di solito si coricano e aspettano l’agonia» disse un cacciatore innervosito da quel verso tormentato.
«I predatori non lo fanno» gli rispose quello più anziano, «non ci stanno a farsi spolpare vivi dalle iene.»
«Se vuol vendere cara la pelle, io sono pronto» sfidò il cacciatore che aveva parlato prima.
Il masai parlò senza voltarsi: «Non è in grado di lottare, vuole solo morire. Per questo ci avvicina sopravvento.»
I ruggiti erano cessati da qualche minuto quando la belva comparve improvvisamente. A venti metri, forse meno.
S’udirono gli scatti delle armi che ricaricavano. Poi fu silenzio.
Anche da quella distanza si vedeva che l’animale era allo stremo.
La belva fece qualche passo verso i cacciatori mettendosi un po’ di traverso, quasi volesse allargare il bersaglio.
«Sta aspettando» mormorò il masai che nel frattempo s’era alzato e guardava l’animale.
Nessuno si mosse.
Così malconcio, l’esemplare non valeva nulla. Non aveva senso cacciare a quel modo. Come non aveva senso uccidere senza arrecare offesa. Quei cacciatori non l’avevano mai fatto.
«La legge ci vieta di abbatterla» giustificò uno di loro che, di solito, stava attento alla legge soltanto per evaderla.
Passarono un paio di minuti poi la belva si voltò adagio verso la macchia e, lentamente, andò ad incontrare la propria tragedia.
La luna uscì dalle nuvole a testimoniare.
Poco dopo s’udì uno schianto secco di rami spezzati seguito da un profondo rantolo e i cacciatori tornarono a puntare i fucili verso la macchia.
Dagli arbusti che sembravano sbracciarsi per acclamarlo, uscì una sorta di dio guerriero, alto, agile e lucente. Brandiva un machete insanguinato e scintillante come la sua corazza di pelle bronzea. L’immagine durò pochi secondi poi la luna scomparve portandosela via.
Perplessi e intimoriti, i cacciatori s’accamparono per la notte e la mattina dopo trovarono la carcassa della belva con la gola tagliata.
La scorta d’acqua si stava esaurendo, così decisero di rientrare al campo base e cercarono la guida masai perché rintracciasse la pista.
Ma il guerriero dalla pelle bronzea, se n’era andato con la luna.
Fulvio Musso