L’angolo di Full: “Il chiacchierone”
M’accorgo quasi subito che è un chiacchierone. Davvero un bel chiacchierone.
Avrà la metà dei miei anni: apposta sa tante cose.
Noto che parla compiaciuto, ascoltandosi molto. Così decido di dargli una mano ascoltandolo anch’io, pur tentando di divagare dalle sue astrazioni:
«Lei è di questa zona?», butto lì con indifferenza.
Com’è scontato, risponde prendendola lunga e larga:
«Lo vede quel campo? Mio padre c’ha passato la vita… sino al giorno prima di morire. E io sono orgoglioso dei suoi calli, sono fiero di queste mie origini. Comunque deve capire una cosa…», e riparte con un’altra questione fumosa:
«Nella stessa misura in cui mi rapporto a lei, deve parimenti riconoscere…»
«Certo. Capisco…»
«Parallelamente, occorre stabilire le concause per le quali…»
Gli concedo mezz’orecchio d’attenzione e mando a spasso i miei pensieri: avere una buona parlantina è certamente utile, ma è ancora più proficuo saper ascoltare. Si possono persino guadagnare dei soldi, anche cento euro in dieci minuti, quanti ne guadagnerò, probabilmente, alla fine di questo mio paziente ascolto. Tutto sta procedendo secondo la regola.
Senza dare a vedere, guardo l’orologio e mi sembra di essermi concesso abbastanza come uditore, così prendo un’espressione conclusiva… ma non c’è proprio verso.
Paziento un altro paio di minuti, poi decido di risolvere giocandomi il jolly.
Assumo un’aria ammirata: «Sa… sono convinto che suo padre non l’abbia mai lasciato quel suo amato campicello. Penso che lui sia sempre lì e la stia guardando… chissà con quale fierezza, con che orgoglio di padre!…»
Ed ecco che s’interrompe (con certi tipi, onori e onoranze funzionano sempre). Con un gesto che dev’essergli abituale, si sistema gli occhiali a specchio usando entrambe le mai inguantate di pelle nera.
È arrivato il momento fatidico. Mi metto quasi sull’attenti e fisso dimessamente la punta dei suoi stivali da telefilm americano.
Come da prassi, il tizio assume ora un tono sufficiente: «Cosa devo fare con lei?», sbuffa, «sono centoventi euro», sbuffa ancora, «centoventi euro e sei punti della patente…».
Finalmente, come previsto, rivolge altrove la sua attenzione dimenticandosi di me. Le ultime parole le spara al vento che me le riporta al volo, ben diluite nell’aria fresca di questo mattino di primavera: «Per questa volta…vada! E stia più attento, stia!».
Fulvio Musso