L’angolo di Full: “Il pensionato bello”

Il pensionato bello

Amerigo Caperlingua, snello, ben modellato, col baffo morbido che sembrava spumeggiare sul labbro e i folti capelli appena brizzolati, a cinquantasei anni rimaneva quello che si dice un bell’uomo, restio ad accedere alla categoria, appena più pesante e morbida, del “bel signore maturo”.
Originario della provincia di Salerno, risiedeva da decenni nel suggestivo varesotto. Una singolare provincia, esasperatamente produttiva, eppure incantata a specchiarsi, con le verdi e rigogliose chiome, nei suoi grandi e piccoli laghi.
Le Ferrovie l’avevano messo in pensione con quattro anni d’anticipo dopo una vita spesa –e incassata– nella manutenzione dei tozzi locomotori che s’inerpicavano sui monti a ridosso del confine elvetico.
Nelle Ferrovie non ero che un carrello di manovra” ripeteva amareggiato per l’estromissione. La consorte, signora Olga, abituata a gestire se stessa e la propria casa nella più completa autonomia, si ritrovò quel carrello dirottato su un binario morto del soggiorno o che manovrava in giardino, fra le sue aiuole, se non addirittura in cucina.
Non avevano figli perché, dopo due gravidanze finite male, lei non aveva più voluto saperne. In un primo tempo s’era adattata ai contraccettivi e poiché era una devota parrocchiana, consapevole delle proprie infrazioni, dopo l’atto si metteva in pace la coscienza con una o due preghiere in misura del piacere goduto. Ma in seguito subentrarono degli scompensi linfatici che le comari beghine addebitarono prontamente alla pillola di Satana e la povera donna, dopo essersi aumentata inutilmente la penitenza sino a tre pater-ave-gloria, risolse per una totale e definitiva disfatta del demonio riprendendosi la perduta castità. Rinuncia che causava, al prorompente sangue del marito, qualche ebollizione segnalata da una spia azzurrina sulla tempia destra, una piccola vena che pulsava, pulsava, allarmante come la spia dell’acqua sul cruscotto.

     Nei primi mesi che seguirono il pensionamento, Amerigo cercò di riattivarsi con domestici progetti, costruzioni, riparazioni, fra mille critiche e mugugni della moglie. In un mese di assiduo lavoro costruì un ricovero per gli attrezzi del giardino, talmente simile a una pensilina ferroviaria che la moglie, prima di attraversare il prato per riporvi un arnese, si volgeva guardinga a destra e a sinistra.
Amerigo tornava così a respirare un po’ dell’atmosfera del suo rimpianto piazzale ferroviario con la differenza che la signora Olga era un capo turno ben più severo del vecchio Filippone, ma con opposte mire: mentre quello lo voleva sempre presente, questa cercava solo di toglierselo di torno. Cominciò a mandarlo per supermercati fornendolo di lunghe e minuziose liste, oltre a mille raccomandazioni: le carni bianche andavano comprate al tal mercato, quelle rosse all’altro e i salumi al banco della gastronomia: “Non importa se devi fare la coda, più lunga è la coda, migliore è la merce”. In conclusione: “non m’interessa quanto stai via purché tu compri bene”.
La precisazione conteneva una bugia di fondo perché, alla signora Olga, interessava soprattutto che il marito stesse via molto, moltissimo, e la scelta dei supermercati dipendeva esclusivamente dalla maggiore distanza da percorrere.

Amerigo aveva un animo mite e i continui rimbrotti della moglie, più che irritarlo, lo avvilivano. Accettò dunque di buon grado queste mansioni del tutto nuove per lui e dopo pochi giorni metteva già in atto il trucchetto di “dimenticare” qualche articolo per stare fuori casa ancor più a lungo. La signora Olga si ritrovò il doppio risultato di una casa sempre vuota e una dispensa sempre piena, così la situazione tornava anche a favore del marito che godeva una tavola sempre imbanditissima. E le lunghe sieste imposte da quelle abbuffate collimavano perfettamente con l’orario di chiusura degli esercizi alimentari.

L’indole serena, la personalità estroversa, l’effervescente fantasia l’aiutarono a trasformare l’incombenza impostagli dalla moglie in uno svago.
Dopo una vita scandita dagli orari ferroviari, imparò presto a distinguere i diversi tempi dei supermercati. C’era quello degli impiegati, frettolosi nelle corsie e singolari alle casse dove digitavano il bancomat anche per un misero dentifricio e c’era il tempo dei pensionati, lunghi e indecisi agli scaffali quanto rapidi all’uscita dove presentavano pochi articoli e moneta spicciola. C’era l’orario delle famigliole con carrelli stracolmi e bambini strarompi… e c’era infine il tempo delle casalinghe sole, al quale, ben presto, il bell’Amerigo adeguò il proprio.

    Scoprì che l’approccio verbale con una signora, così inopportuno in qualsiasi altro luogo pubblico, diviene naturale in un “super”. Si comincia con un banale “Saprebbe dirmi dov’è il sale grosso?” per fare progressi inauditi col suggerimento complice e confidenziale: “Guardi signora che l’olio extravergine è in offerta speciale in testa alla corsia sette”.
Un’informazione del genere strappa sempre la ricompensa di un sorriso anche alla più incavolata e insoddisfatta delle casalinghe e la volta successiva, che capiterà, visto che si praticano gli stessi orari, la signora saluterà con lo stesso sorriso, specie se si dispone del baffo morbido e dello sguardo vanigliato del bell’Amerigo.
Per potersi muovere con tempestività, aveva abbandonato l’equipaggiamento pesante rappresentato dal carrello, per quello leggero –o d’assalto– costituito dal cestino. Era invece controproducente circolare a mani vuote; poteva destare sospetti nelle clienti che lo scambiavano per un sorvegliante e nei sorveglianti che non lo prendevano per un cliente.
Imparò ad evitare l’arida zona degli alimenti dietetici a favore del banco dei salumi dove le procaci clienti inducevano il suo sguardo al volo radente dell’uccello padùlo che, si sa, plana sempre all’altezza del c…

    Il bell’Amerigo cominciò allora a godersi veramente la pensione.

   «Non vedo gli hamburger!»
Ondeggiando con calcolata moderazione un deretano notevole, la giovane signora andava e veniva a passetti brevi con gli occhi sui vassoi. La tremula carne delle prosperose natiche sembrava ammiccare alla testina di vitello e al bell’Amerigo che restò subito ammirato dal modo accurato, controllato con cui la donna depositava il suo considerevole e appetitoso corpo sul pavimento.
«Li sto cercando anch’io…» intervenne prontamente lui «…però mi sa che oggi restiamo senza e dovremo darci un altro appuntamento» concluse lasciandosi stirare i bei baffi morbidi, alla tedesca, da quel suo sorriso latino, alla vigliacca.
Dalla risata grassa e gorgogliante che gli rispose, capì che la spesa s’era ben conclusa e la settimana successiva, la procace signora Elvira e Amerigo, avrebbero scelto insieme hamburger, carpaccio e ossibuchi inaugurando la nuova, succosa vita del pensionato bello, sbolognato dalla moglie per mercati e… qualunque fosse l’elenco della spesa, finiva sempre a far man bassa nel reparto carni.

     Qualcuno, contrario al matrimonio, poneva il quesito: Perché rendere infelice una donna quando puoi farne felici cento?
Il bell’Amerigo le rese felici tutte. Cento e una.

Fulvio Musso

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