L’angolo di Full: “Il santo”
Il sentiero si snodava intorno al monte con pendenze proibitive e frequenti interruzioni che costringevano a salti da capre. Abbarbicata sul picco più scosceso, la dimora del Santo sembrava sorta per volere divino.
Era un santo molto venerato ed essendo di elezione popolare, poteva evitarsi tutta la trafila della canonizzazione post mortem. Era dunque un santo vivo, vegeto e nemmeno tanto vecchio.
Ogni giorno, decine di devoti si inerpicavano su quel sentiero la cui ripidità rendeva più agognata la meta e offriva quel senso di appagamento e purificazione che consegue il duro sacrificio.
Il pellegrino era in marcia da tre giorni. L’arsura gli aveva spaccato le labbra, il sole l’aveva spellato a sangue e i suoi piedi erano coperti di piaghe per aver percorso l’ultimo tratto scalzo come voleva la consuetudine. Durante il tragitto aveva soccorso un viandante, azzoppatosi nel dirupo, portandolo sulle spalle per lungo tratto. Era poi rimasto senz’acqua avendo lasciato la sua borraccia ad un vecchio colpito da insolazione e nella notte, mentre riposava in una spelonca, gli avevano rubato la sacca con il cibo e il denaro. Nello stesso luogo era stato aggredito dalle pulci che lo stavano ancora divorando.
Giunto in qualche modo alla meta, il pellegrino attese il proprio turno per molte ore, avendo ceduto il passo ad altri viandanti più provati di lui. La mancanza di denaro gli impedì di procurarsi un qualsiasi genere di conforto presso le bancarelle che attorniavano il luogo di culto secondo la norma che miscela da sempre il sacro col profano.
Ma non poté evitargli l’oneroso acquisto rateale dell’intera opera letteraria del Santo, raccolta in quattro volumi fregiati in oro zecchino e propostagli con soave insistenza da un discepolo: una calamità commerciale ineluttabile che il viandante accettò piamente.
Al limite di ogni risorsa, il pellegrino venne infine introdotto nella confortevole dimora del Santo che riceveva i devoti seduto in un’ampia scranna rivestita di raso rosso, assistito e probabilmente sorvegliato da alcuni discepoli pronti, peraltro, ad ogni suo cenno. Aveva un’aria più rassegnata che mistica, vestiva un candido saio e teneva in grembo un gatto sonnacchioso. Davanti a lui, il pavimento era leggermente infossato nel punto in cui i fedeli, da anni, s’inginocchiavano per chiedergli grazie, perdoni, indulgenze.
Il pellegrino s’accostò umilmente cercando di non apparire troppo sofferente, posò le ginocchia scorticate sulla ruvida pietra, baciò, come tutti, i piedi ignudi del Santo che odoravano di talco, poi il suo sguardo attraversò per un lungo momento quello del venerando.
Con tono sommesso, ma fermo, il pellegrino formulò infine la sua domanda, improvvisamente diversa da quella che l’aveva ispirato e sorretto nell’aspro pellegrinaggio:
«Dimmi figliolo, cosa posso fare per te?».
Fulvio Musso
Un brano cui sono particolarmente affezionato. Nell’ultima riga, il pellegrino si appropria del titolo del brano: è lui il Santo.
Ce ne fossero ancora di così santi…
Ciao Fulvio.Sempre molto piacevole rileggerti, si scopre sempre qualche particolare in più.:-))